005 M’ Arcordo …. du’ Borghesi a Londra.
M’ Arcordo …. du’ Borghesi a Londra.
Quando sono arrivato in Inghilterra, settembre del ’68, sapevo che a Londra c’ erano due persone che conoscevo ed avevo i loro indirizzi. La prima era Roberta, una fiorentina con cui avevo avuto una difficile relazione, sarebbe meglio dire incasinata, durata due anni. Lei era partita per Londra all’ inizio dell’ anno per dimenticarmi, così mi aveva detto in un melodrammatico “ultimo” incontro. Le dissi “buon viaggio” e rimasi a Firenze con la stessa intenzione: dimenticarla. E c’ero anche riuscito, o almeno credevo. In ogni modo mi scrisse dandomi l’ indirizzo ed io, anche se non le risposi, non lo buttai via. Dopo una settimana dal mio arrivo andai a cercarla e sarebbe stato meglio non l’ avessi fatto, ma questa è un’ altra storia, molto piú incasinata della prima.
Poi c’ era Angelo Fausto, che i cattivi chiamavano “Lonzone”. Non ricordo il suo vero nome, ma tutti lo conoscevano così. Per anni aveva lavorato all’ autostazione, poi un giorno stanco di vendere biglietti, decise di comprarne uno per se stesso e se ne andò a Londra. Poco prima di partire trovai il suo indirizzo. Era quello d’ un ristorante dove lui faceva il cameriere, dalle parti di Piccadilly.
Un sabato mattina, mio giorno di riposo, decisi d’ andare a cercare l’ altro Borghese. Quello era il ’68 ed era un buon anno per uno come me. Ho sempre amato sfoggiare cappelli strani ed abiti diciamo non tradizionali. Ed a Londra in quegli anni si trovava di tutto, e si metteva di tutto. I resti del glorioso impero britannico erano in vendita e per poco in tutti i mercatini e quella per me fu una vera pacchia. Quella mattina fredda ed umida mi ero messo un cappottone blu, quasi nero, lungo fino ai piedi, doppio petto e con tanti bottoni. L’ avevo comprato a Portobello Road ed era quello d’ un autista d’ ambulanza della seconda guerra mondiale, era tutto scritto in una etichetta nella fodera. Avevo anche un cappello grande nero a Lobbia, quel tipo che ha un risvolto di seta tutto intorno al bordo dell’ampia tesa, potevo quasi passare per un rabbino. E così partii per Piccadilly alla ricerca del conterraneo.
Trovai facilmente il posto, era in Haymarket. Scoprii che in realtá non era un vero ristorante, ma piuttosto una specie di tavola calda, dove si vendevano panini ed altre semplici vivande senza gran sapore per gli inglesi dalla limitata immaginazione e tanto tè. Dalla strada, attraverso la vetrina, riconobbi subito Angelo Fausto che in piedi dietro il banco preparava panini. Dopo poco piú d’ un mese, a Londra, sperduto in mezzo a milioni di sconosciuti, avevo trovato uno dei miei: un Borghese Che successo ragazzi! Aveva allineato davanti a se tanti inglesi affamati, per un dei suoi panini, ma certo non era come quelli d’ Adriano Callisti. Così entrai, e ligio alle regole mi misi in fila, a testa bassa, il volto coperto dalla larga tesa del cappello. Nell’ attesa del mio turno ebbi modo di vedere come Angelo Fausto operava. Questi predeva una fetta di pane con la mano sinistra e cominciava subito a spalmare del burro con una specie di coltello-spatola mentre il cliente ordinava cosa voleva, prosciutto cotto, o mortedella o del roast beef , una foglia d’ isalata, una sottiletta di formaggio ed il panino era pronto. Un altro cameriere allienava sul banco le immancabile bianche tazze di tè ed erano tante.
Così arrivò il mio turno. Sempre con la testa bassa, inriconoscibile, ordinai:
“ ‘Na ciccia fritta!” Angelo Fausto, giá pronto con la sua fetta di pane in mano a mezz’ aria ed il coltello nell’ altra, rimase come congelato: lui silenzioso ed io immobile. Son rimasto sempre con la testa bassa, controllandomi. Poi dopo quello che mi parve essere un tempo lunghissimo, sollevai la testa e guardandolo in faccia:
“ Oh, alora, me la dei o ‘n’ me la dei ‘sta ciaccia fritta! Saleme!”
“Oh, si’ te, sambudello,.”
Una gran risata, sfrenata esplose alla mia sinistra: era Marcello Santucci della Montagna, seduto li, accanto al banco; poi seppi che suo fratello Benito era quello che aveva preso in gestione il caffè di Gerasmo. Non lo conoscevo e quel tempo faceva il cameriere in un hotel non lontano. Veniva spesso a far compagnia ad Angelo Fausto nei suoi turni di riposo. Quella specie di rabbino che “voliva ‘na ciccia fritta” l’ aveva colto di sorpresa. Così alla fine i Borghesi a Londra diventarono tre.
PS: Angelo Fausto rimase in Inghilterra, Dopo circa vent’ anni un’ estate lo riincontai al Telebar. Come me si trovava in vacanza, mi disse che aveva sposato un’ inglese e che non viveva più a Londra. La storia della ciccia fritta non gli piaceva. Sembra che al Borgo molti sapessero del nostro incontro, e quando veniva erano in troppi quelli che gli “domandevono si c’ iva‘na ciccia fritta”.
PPS: Marcello Santucci venne trovarmi in America, tantissimi anni fa. Da Londra era andato a Bermuda. Aveva conosciuto un’ americana e s’ era sposato. Era di passaggio dalle mie parti, e andava a Miami dove intendeva aprire un ristorante. Mi fu detto che ha avuto successo.
1 aprile 2008
I vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese. Mi raccomando, scrivete!
Fausto Braganti
ftbraganti@ verizon.net
settembre 30, 2008 alle 8:49 am |
Nota a margine: nel novembre del 1968 venne a trovarti a Londra una ragazzetta del Borgo, una spilungona impacciata recante qualcosa da mangiare (ma non ricordo cosa) preparato dalla tua mamma. Ricordo che entrando in casa tua hai urlato: Ehi amigos!! (credo per proteggermi da spettacoli poco consueti per una bamboccia campagnola quale io ero). Ricordo che abbiamo scartocciato i mangiarini del Borgo in una tavola calda londinese, bevendoci sopra probabilmente della limonata, e che tu avevi un colbacco, insierme al mitico cappottone che descrivi. M aricordo giusto?
Ciao