008 M’ arcordo….. quando s’ andava a Montecasale
M’ arcordo….. quando s’ andava a Montecasale.
(un grazie a Bernardo e a Massimo, che m’ hanno rinfrescato la memoria)
Da sempre sapevo che su a mezza costa, dopo esser entrati nella stretta val d’ Afra e poco prima della forca della Basilica si prendeva la stradina sulla sinistra si saliva fino a Montecasale. E là c’ era il convento con la chiesina, una sorgente d’ acqua freschissima e un pochino più in su c’ era l’ albergo del Pasquini. Montecasale era e credo lo sia ancora una destinazione preferita per escursioni avventurose dei ragazzi e di scampagnate familiari. Queste comincivano a primavera ed erano ideali in estate. Quando al Borgo si moriva dal caldo, ci si muoveva a Montecasale e sotto gli alberi secolari si trovava un po’ di refrigerio. La sorgente con l’ acqua fresca che sgorgava dal greppo era un invito da non rifiutare. C’ erano alter mete nella zona per chi cercava la frescura e per noi ragazzi c’ era la speranza di vedere le citte col bikini ed erano i gorghi dell’Afra dai mitici nomi: la Cadutina, il Cadutone, le Vasche, lo Smeraldino ed infine il Gorgo del Ciliegio (i ricercatori del quaternario hanno prove che anche i nostri lontani antenati non solo ci andavano a fare il bagno ma ci stavano di casa, ivono capito ‘du se steva bene).
Mia madre mi aveva narrato storie, quando lei era cittina, proprio dopo la Grande Guerra, di memorabili scampagnate estive nei giorni di festa. Avevano perfino un cavallo con un carro per trasportare vivande, pentole, piatti e damigiane di vino, allestivano una vera e propria cucina da campo. Ero geloso, volevo un cavallo anch’io, e mi dovevo accontentare della Vespa GS del mi’ babbo, che non era male. In quei tempi lontani tutto il vicinato (via San Puccio e via Santa Caterina), si muoveva come in una transumanza verso Montecasale. Gli organizzatori erano il Callisti (babbo di Adriano) e il mi’ nonno materno Giuseppe Taba (si, di cognome si chiamava Taba, e nussuno mi ha mai saputo dire che cognome sia), ma anche questa è un’ altra storia. La mi’ mamma mi diceva che mangiavano gamberi d’ acqua dolce, ma non si ricordava dove li trovassero, forse nell’ Afra. Massimo mi ha detto di averne visti sul torrente Meta, oltre Bocca Trabaria (quello che poi si unisce al torrente Auro e sfocia a Pesaro col nome di Metauro).
Da ragazzo io avevo invece scoperto Montecasale come meta da raggiungere dopo epiche avventure. Ogni volta cercavamo un tracciato differente, una scorciatoia piu’ veloce e magari piú pericolosa, che poi alla fine era spesso una lungatoia. L’ importante era di non pendere la strada. La prima tappa era quella al convento a salutare i frati, sempre ospitali e gentili. Poi spesso si scendeva lungo un costone di pietra, come una cornice scavata nel lato della montagna, al centro di questo c’ era un rivolo che saltava dall’ alto e formava un modesta cascata: lo Spisciolo, e noi ci si poteva camminare di sotto, nel dietro senza bagnarsi. Mi ricordava la caverna di Zorro, quella dove teneva il cavallo nero, nascosta dietro la cascata. Ci si sedeva e da dietro questo getto d’ acqua si poteva vedere la valle sotto di noi. Era un luogo fraschissimo. Risalendo ancora lungo la strada si raggiungeva l’albergo del Pasquini, l’ incontrastato “signore” di Montecasale, ma questa è un’ altra storia, lunga!
Bernardo mi ha ricordato: “Negli anni cinquanta il convento ebbe un periodo di grave decadenza ed i fabbricati stavano andando in rovina. C’era rimasto un solo custode, e mi ricordo che un inverno questo morì e lo ritrovarono dopo tre giorni. Fu allora che l’Ordine di Firenze, iniziò i lavori di restauro che furono appaltati alla ditta Pasquini e che riportarono il Convento nelle condizioni in cui lo vediamo oggi. Fu anche “ripopolato” ed mi ricordo in particolare di due Padri: Pancrazio e Eugenio. Pancrazio era la mente, si diceva fosse nobile di casato, colto e diplomatico; Eugenio è (penso sia tuttora vivo) ma si può usare il passato per quei tempi, un campano scuro di pelle, intelligentissimo e attivissimo che ridiede al Convento dignità e decoro. Furono rimessi i termini della proprietà dei Cappuccini, furono tolte diverse reliquie (?) di frate Cipolla, quello del Boccaccio, furono ricaptate le acque di Greppa d’ Orso e risistemati gli orti e il pollaio e la colombaia. A quel tempo c’era anche un frate di cui ho dimenticato il nome (da quello che ricordava il nonno di Massimo potrebbe essere stato Fra’ Melitone) , molto
bravo a scolpire il legno e credo che siano rimaste alcune sue sculture. Poi c’ era Mansueto (qui a sinistra) , laico e già vecchio, ottimo cuoco e, per questo motivo, accorrevano spesso alla mensa del Convento ghiottoni e gaudenti del Borgo, anche se i suoi criteri igienici non erano certo quelli delle Usl di oggi! Lo dico perchè, una volta che i miei erano a passare le acque a Bagno di Romagna, ci stetti a mangiare una settimana. A questo proposito, mi ricordo (doveva essere il settembre del ‘71 o ‘72) che più che studiare, andavo a caccia. Un giorno ammazzai 5 o 6 “gagge” o ghiandaie che furono viste dal padre Eugenio e che mi raccomandò di consegnarle a Fra’ Mansueto. Non so per quali intingoli e ripieni del cuoco, le gagge si trasformarono in squisiti “piccioni”, servite tagliate a metà con un buon sughetto. Un altro piatto forte e tradizionale della festa di San. Francesco il 4 Ottobre erano i gobbi. Abitudini che penso siano ormai trascurate, anche nei più tradizionali Conventi dove la cucina è affidata a qualche cuoca che viene dalla città.”
Poi iniziò, quando eravamo più grandi, la tradizione dell’ escurzioni notturne della vigilia di Natale e siamo a metà degli anni 60. Si partiva verso le 8 di sera e con gli zaini pieni di vettovagliamenti vari e tante bottiglie di vino, pesanti. Si partiva nella notte buia con pile e torcie per salire fino al convento. Confessione: non si andava alla messa di mezzanotte, ma ci si installava in cucina con Fra Mansuato, Si sbibbociava attorno al focolore, aspettando gli altri frati che ci raggiungevano dopo la messa. Non ho grandi memorie dei ritorni al mattino, effetto del vino, credo. Non si guidava e non c’ erano i carabinieri a ritirarci la patente.
Vigilia 1966 ma non sicuro, potrebbe essere 1965
fra Mansueto
(foto in alto – da sinistra) al bivio di Montecasale: Leonardo Carloni con la torcia, Fausto Braganti, Paolo Salvi e Massimo Carlotti (con la mantellina del nonno anghiarese, Prima Guerra Mondiale)
(foto in basso –da sinistra) in piedi: Ezio Berghi, Fausto Braganti, Bernardo Monti,
seduti: Leonardo Carloni, Paolo Salvi (era il nipote di Santino la guardia, ed è morto di malaria a Malindi 10 anni fa)
E per finire: una volta, durante una delle visite al convento, sono dovuto andare al gabinetto dei frati Ne ho trovato uno bellissimo, nuovo e pulitissimo, ma c’ era li, vicino al water, una vecchia sedia di paglia sgangherata con una doppietta poggiata sopra. Inutile dire che la cosa mi sembrò strana, anzi molto strana. Così, appena uscito, corsi subito a cercare uno dei frati per risolvere il mistero. Non ricordo chi trovai e alla mia domanda sul perchè del fucile, questo mi rispose, come se fosse la cosa più normale del mondo, che spesso quando uno era seduto sul gabinetto vedeva dalla finestra degli uccelli, poveri sprovveduti, che si posavano sul ramo d’ un albero di fronte. Non c’ e’ bisogno che dica il resto. Penso che forse sia l’ unico esempio di licite-nocetta!
Marblehead, 18 aprile 2008
settembre 11, 2010 alle 3:11 am |
Carissimo , in una di quelle foto troverai anche me. Ricordo la cucina con fra Mansueto. C’era PIERO DOMINI, Franco chimenti? il Braganti vestito da Brigante. Rra verso Natale, mi sembra. se trovo la foto te la mando.
Mi fa piacere sentirti e leggerti.
E’ la senectute che fa questi schersi……..
ottobre 4, 2012 alle 11:29 am |
Il tuo post riesce a coinvolgere chiunque nei tuoi ricordi e nei tuoi pensieri, grazie per averlo condiviso
giugno 1, 2018 alle 4:36 PM |
Grazie per questa gradevole rievocazione. Sono Marino, cugino di Bernardo e ho passato a Montecasale le estati degli anni quaranta, nella casa del nonno Bernardo, di fronte al Pasquini. Noi si abitava di sotto e al piano di sopra, sotto il tetto, ci stavano Enzo e Gagliano (Brilli), due ragazzini simpaticissimi, con cui giocavamo io, mia sorella e le mie cugine (Bernardo è nato nel 1950). Quindi ricordo altri tempi e altri frati, come Padre Corrado. In particolare la festa del Perdono, quando veniva su dal Borgo una gran folla e poi facevano musica e ballavano dal Pasquini, oltre a consumare grandi quantità di vino e porchetta. E poi ricordo bene le battiture del grano, con la “scala” che veniva su piano piano e i contadini che “andavano a opra”, scambiandosi l’aiuto con grande attenzione alle giornate che avevano da rendere a chi era già venuto da loro. Tutti poderi intorno erano abitati e coltivati. A Vesina, in particolare, il podere sotto la Rocca, c’era Menco, che aveva un somaro grigio attaccato a una treggia. Veniva spesso a portare ricotta e formaggio e al ritorno noi ragazzini si saliva sulla treggia – spesso sporca di letame, perché la usava anche per quello – e ci facevamo portare in su, passando da Greppa d’Orso. Là a volte si scendeva e si andava a chiappare i ranocchi nelle pozze del torrente. E’ stata la mia infanzia e la rimpiango ancora.
luglio 17, 2018 alle 8:14 am |
Grazie Marino, scusami solo oggi ho letto il tuo commento, bellissimo!
Hai rievocato con amore dei tempi lontani.