100 M’Arcordo… quando s’usavano le lire

“Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andare…” ecco quanto ci voleva per andare in America. Questo non sarebbe stato un viaggio in prima classe, cibo orribile e di certo dormendo in un letto a castello in fondo alla stiva puzzolente d’un vapore pieno di gente che non si lavava da giorni, se non da settimane. Ma tutto é relativo: quella era una somma rilevante all’inizio del secolo scorso. Il nonno Barbino avrebbe detto 20 scudi (1 scudo = 5£), che sarebbero corrisposti a 20 dollari. A quei tempi s’era raggiunta una specie d’unità monetarie, certe monete d’argento e d’oro, essendo dello stesso peso e misura, erano intercambiabili fra diversi paesi.

Questo mi sembra l’inizio giusto per il mio centesimo M’Arcordo… ed é solo una coincidenza; infatti da tempo volevo scrivere sulle lire. In ogni modo non ho nessuna pretesa di raccontarne la storia e tanto meno impostare una mia teoria di politica monetaria. Se non ci hanno capito niente i grandi geni della finanza figuratevi io. Sono solo un po’ dei miei ricordi che hanno a che fare con i soldi, che non sono mai abbastanza.

Alla fine degli anni trenta fece furore una canzone dall’emblematico titolo “Se avessi mille lire al mese…”. Il nostro ottimista pretendente sperava di conquistare la sua bella con la promessa di guadagnare quella somma ed in tal modo assicurarsi la felicità. Non so se ce la fece, anche perché dopo pochi mesi con lo scoppio della guerra penso che le sue preoccupazioni furono bel altre.

Non so veramente quando fra le tante monete che circolavano in Italia nell’ottocento comparvero le lire, ma penso che fosse con Napoleone. Con l’Unità (1861) il nuovo regno savoiardo impose la lira a tutti, niente piú baiocchi, carlini, paoli, grane ecc. Così, forse per la prima volta dai tempi dell’impero romano, s’era raggiunto un sistema d’unità monetaria per tutta la penisola.

Moh v’arconto la storia del cappotto novo.

Nel 1939 il Dott. M., babbo d’un amico mio ed alto funzionario in un qualche ministero a Roma, decise d’andare in Abissinia. Sarebbe stato uno dei responsabili prima della creazione e poi del curare l’efficienza della nuova amministrazione coloniale. Poteva rifiutare, ma quella era un’ottima occasione per far carriera e sopratutto guadagnare di piú, molto di piú. A parte lo stipendio che penso rimanesse piú o meno lo stesso, avrebbe avuto un compenso rilevante come indennità per lavorare in una sede disagiata ed Addis Abeba, capitale del nuovo creato impero, di certo lo era. Sarebbe stato un sacrificio anche per la giovane moglie lasciata a casa con un bambino piccolo. Era convinto che alla fine il suo sacrificio sarebbe stato ricompensato.

E così partì per l’Abissinia.

La nostra gloriosa avventura imperiale, che si era materializzata con la fondazione dell’AOI, durò poco. Nella primavera del 1941 le truppe inglesi entrarono in Addis Abeba, ed il Dott. M. anche se civile, fu fatto prigioniero e spedito in India. Ritornò in Italia solo alla fine del 1945. La moglie, che aveva sempre lavorato come insegnante, durante tutto il periodo dell’internamento aveva ricevuto regolarmente lo stipendio del marito ma non l’indennità, e lei aveva depositato ogni mese tutto l’ammontare in un libretto di risparmio. Non aveva toccato niente.

Ma perché vi racconto questa storia? Semplice. Per ricordare a quelli che non l’hanno mai vissuta cosa succede durante una rapida svalutazione del valore del denaro. Diventa carta straccia. Alla fine con tutto quello che trovò nel libretto di risparmio, quasi cinque anni di lavoro, il Dott. M. si poté comprare un cappotto nuovo, ora ne avebbre avuto bisogno, non era piú in India o in Abissinia.

La stessa cosa successe alla mia famiglia e di certo a tante altre. I miei avevano sempre risparmiato, invece di comprare case o campi avevano messo i soldi in banca e da buoni cittadini avevano dimostrato il loro patriottismo e fiducia nel governo comprando buoni del tesoro, sia quelli ai tempi della campagna d’Abissinia, sia quelli per la Seconda Guerra mondiale. Con la sconfitta e la penisola occupata, tutto si polverizzò in pochi mesi, come diceva il babbo. E un giorno mi regalò i buoni del tesoro. Erano grandi e belli. Attacati c’erano dei fogli con delle cedole, che ogni sei mesi, ma forse era un anno (?), tagliavo con le forbici, poi le portavo in banca e questi mi davano i soldi degli interessi accumali. Ed io mi ci pagavo il biglietto per andare al cinema, quello dei preti che costava meno.

“Ecco cosa vuol dire perdere la guerra!” commentò un giorno il babbo, ma poi, riferendosi a tempi piú lontani, “Ma poi alla fine si perde sempre anche quando si vince, forse si perdo solo di meno.” A quei tempi questa frase mi pareva sibillina.

Quando le truppe alleate arrivarano al Borgo alla fine d’agosto del ’44 in tasca avevano i loro soldi, le AM lire (Allied Military Currancy), ancora fresche di stampa. Penso che siano queste le prime banconete di cui abbia memoria.

M’arcordo che un giorno eravamo in una casa d’amici in via San Nicolò (Adriano e Bruna Canosci) e venne qualcuno ed annunciò:

“Gli inglesi buttano i soldi dalla finestra!”

Uscimmo ed infatti c’erano dei militari alle finestre del Circolo delle Stanze che gettavano delle banconote ad una folla di ragazzi che s’erano ardunati nella strada. Questi correvano e si azzufavano per arraffarsi i soldi piovuti dal cielo. I soldati alla finestra, forse erano anche ubriachi ridevano e sghignazzavano e si divertivano con solo poche lire. Arpensandoci di certo fu uno spettacolo umilliante, da paese di pezzenti sconfitti.

In fondo ancora una volta s’erano confermate le possimistiche visioni dell’Avv. Nomi, che andava sempre in giro con il borsone pieno dei suoi libri, promettendo la soluzione a tutti i guai dell’economia con l’adozione della sua invenzione: la “raz-moneta”. Questa sua idea fissa non ebbe seguito.

Con la svalutazione di quei tempi tutte le monete anteguerra avevano perso il loro valore, divennero, come i soldi del “Monopoli”, un mezzo per giocare. Per alcuni anni, almeno fino al ’48 –’49, noi ragazzi si girava ancora con le tasche pieni di ventini e mezze-lire. Mi piaceva quella donna nuda che volava nel cielo.

Una consequenza di questa svalutazione fu il numero degli zeri che continuavano ad aumentare. Il sor Pampurio (quello arcicontento) che prima della guerra veniva premiato con £1,000 adesso prendeva un £1,000,000. Anche se ogni tanto se ne parlava, nessuno ebbe il coraggio di riformare la denominazione e si, ci siam portati questi numeroni fino al 2001, assurdo! Io, anche se abitavo negli Stati Uniti, lavorando all’Alitalia, facevo il mio budget in ITL e così erano in ITL tutti i tabulati che ricevevo da Roma. Un incubo.

Lavorando nel mondo del turismo spesso i viaggiatori che ritornavano dall’Italia si lamentavano. Quante volte mi son sentito dire: “Ma perché non cambiate la lira? Volete avere l’illusione d’esser milionari?”

Anche i francesi dopo la guerra avevano avuto il problema dei grandi numeri senza valore, ma già nel 1961 decisero di togliere due zeri ed un giorno fr.100 divennero fr.1.

Quando ero un cittino le mie esigenze economiche erano molto limitate, dieci lire per andare da Gerasmo a prendere un gelato nel cono più piccolo, oppure un giornalino, uno di quelli tascabili, Gordon Flash costava troppo. Al cine mi ci portava la mi’ mamma ed allora i soldi non li vedevo, pagava lei. Poi arrivarono le collezioni di figurine ed allora i miei bisogni aumentarono, ero sempre in giro implorando genitori e parenti vari per farmi dare dieci lire così potevo correre dalla Sora Cecca a comprare una bustina di figurine. Che emozione aprirla e scoprire che erano tutte quelle che mi mancavano. Se c’erano i doppioni mi consolavo con la speranza che li avrei potuti scambiare. Dieci lire di felicità.

Infine arrivarono le monetine leggere della nuova repubblica di bassa denominazione che sembravano di latta; ancora circolavano le 50£ e 100£ cartacee. E le 10,000 erano grandissime, forse volevano con la loro estenzione signifacare l’immenso valore che avevano. Non stavano in nessun portafoglio a meno che non fossero ripiegate in quattro e ed eran spesso chiamate “lenzuolo”.

Non m’arcordo quando arrivaro le £50 e le £100 di metallo, ma queste erano pesanti. Infine (1958?) comparvero le £500 d’argento. M’arcordo i commenti positivi del babbo ed anche della zio Nello Ciuchi che consideravano questo un evento storico, incoraggiante: se lo stato si poteva permettere il lusso di coniare delle monete d’argento era un buon segno: l’economia andava bene. Anche questo era una prova del miracolo economico. Fu una moneta memorabile anche nella mia storia personale, £500 di sfuggevole e squallida felicità.

Quando andai vivere negli Stati Uniti (1970) mi resi conto che le monete o le banconote non erano cambiate molto negli ultimi cento anni. Si, il dollaro d’argento era sparito da tempo, ma per il resto il colore ed i disegni eran sempre gli stessi. Al contrario quando tornavo in Italia mi sembrava che le banconote e le monete eran sempre differenti. Siemo un popolo di fantasiosi. Durante uno di questi viaggi vidi per la prima volta le mille lire con Giuseppe Verdi.

Fu proprio quest’immagine che ispirò qualcuno ad appiopparmi un soprannome. Io, che non ne avevo mai avuto uno almeno che io sapessi, per la prima volta me n’artrovai uno a Boston. Forse fu un agente di viaggio italiano del North End o forse un collega dell’Alitalia, non l’ho mai saputo, che venne fuori con l’idea di chiamarmi “Millelire”. A dir la verità l’idea d’esser paragonato a Verdi non mi dispiacque. Ma poi non durò molto, anche perchè cambiarono la banconota.

Un’altra volta arrivando in Italia (forse 1976) ebbi un’altra sorpresa monetaria. Forse in un caffé o in qualche ristorante mi diedero per resto un assegno da cento lire.

“Ma cos’è questo?” fu la mia pronta domanda.

“Lo vede, é un miniassegno da cento lire, ci dispiace ma spiccioli non ne abbiamo.” Ecco, avevo imparato una nuova parola: miniassegno. Allora scoprii che negli ultimi mesi l’Italia era stata invasa, tappezzata, dai miniassegni.

Poi mi raccontarono una varietà di storie fantasiose per dare una spiegazione della scomparsa delle monete da cinquanta e da cento lire. Una delle piú belle era quella che i giapponesi venivano in Italia per farne l’incetta e poi le usavano per farci le casse degli orologi.

In generale erano le banche quelle che facevano stampare gli assegni in vari tagli, ed i piú comuni erano quello da cinquanta e cento lire. Un Borghese esperto in materia, Elio Mezzabotta, che ha raccolto un gran numero di questi assegni, mi ha detto che ci sono state anche delle emissioni con dei tagli stravaganti, per esempio come un miniassegno da £350. Queste erano speculazioni create per allettare il mercato dei collezionisti. Spesso c’erano anche dei commercianti, e ce ne sono stati alcuni anche al Borgo, che emettevano i loro assegni. Inutile dire che in circolazione comparvero molti falsi. Poi com’erano arrivati all’impovviso altrettanto rapidamente sparirono.

Poi finalmente si cominciò a parlare di euro, almeno non ci sarebbero stati piú tutti quegli zero, ed avremmo potuto viaggiare per mezza Europa senza cambiar soldi. Ancora non si pensava all’inflazione.

I primi euro li vidi a Cuba, dove mi trovavo con Tanya durante le vacanze di Natale del 2001. Incontrai un turista italiano che poco prima di partire aveva prelevato in banca un sacchetto con tutti le taglie della nuova moneta. L’euro sarebbe entrato in circolazione dopo una settimana, con l’anno nuovo.

A febbraio di quell’anno quando andai in Italia, vidi che gli euro erano circolazione ovunque, ma poi scopri che lire erano ancora indispensabili, almeno nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma. Ero andato per vedere i dipinti di Caravaggio ed in particolare “La Vocazione di San Matteo”. Sorpresa: la macchina infernale mangiasoldi dove si inseriscone monete affinchè si accenda la luce ancora ingoiava solo monete da cento lire ed io non ne avevo e come nessuno degli altri turisti. La cappella Contarelli era praticamente al buio. L’ultima speranza: avevo visto entrando una mendicante seduta per terra fuori della porta della chiesa. Andai da lei e le offrii un euro per le 6 o 7 monete da cento lire che aveva nella ciotola. Dire che fosse sorpresa è dir poco, era diventata una cambiavaluta e quello era stato il migliore affare della sua vita,

“Che pazzi questi turisti!” avrà pensato e chissà cosa avrà raccontato a sera quando sarà ritornata alla sua baracca.

Io dall’altra parte ritornai in chiesa e generosamente illuminai tutta la gloria di Caravaggio, per pochi minuti fui l’eroe who saved the day!

Grazie 100 lire!

PS: per coloro che sono in vena musicale ecco Gigliola Cinquetti che canta “Mamma mia dammi cento lire…”

http://www.youtube.com/watch?v=mh2hfU5rl24&feature=related

e Gilberto Mazzi (1939)

“Se avessi mille lire al mese…”

http://www.youtube.com/watch?v=amK4GBT7DGA

Marblehead, 7 dicembre 2011

 

Una Risposta to “100 M’Arcordo… quando s’usavano le lire”

  1. fiorella Says:

    queste cose dovrebbero saper tutti !

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