104b M’Arcordo…quando non ho incontrato Anthony Clarke
Ovvero un M’Arcordo d’appendice (seconda parte)
Terza Puntata
H.V. Morton fu un giornalista ed un scrittore inglese di viaggi. Aveva iniziato la sua carriera prima della Grande Guerra e continuò a farlo per il resto della sua vita e l’Italia divenne la sua destinazione preferita. Fu molto prolifico e di gran successo anche se probabilmente oggi non sono in molti quelli che lo leggono, diciamo che è passato di moda.
I limiti dello scrittore di viaggi, nella grande maggioranza dei casi, sono dettate dal fattori contingenti, descrivendo dettagli ed esperienze soggettive che si limitano al momento della “suo viaggio”. Potremmo quasi paragonarlo ad un giornalista di cronaca ed i suoi scritti quando arrivano nelle mani del lettore sono già in gran parte obsoleti. Nella migliore delle ipotesi acquistano col tempo un valore storico.
Proprio per questo alcuni son giustamente sopravvissuti sino ad oggi e noi non ci stanchiamo di leggere Marco Polo, Ibn Battuta, Mongo Park e tanti altri. Loro sono ancora capaci di stupirci con le loro avventure e trasportarci in posti misteriosi e lontani nel tempo e nello spazio.
H.V. Morton, dopo la Seconda Guerra Mondiale alla fine degli anni ’40, ed in questo fu un precursore di Clarke, si trasferì a Cape Town. Mi domando che cosa sperava di trovare in quella città così lontana, in fondo all’Africa, e che allo stesso tempo tanto cercava d’essere europea? Penso che fu fra quelli che andarono in Sud Africa con la speranza di trovarci ancora la parvenza o meglio l’illusione del grande impero coloniale inglese che stava morendo. Ma forse cercava, come in seguito fece Clarke, un ambiente dove si sarebbe sentito piú libero.
Non so molto, anzi non so proprio nulla, degli ambienti culturali di Cape Town, ma non ci vuole molto ad immaginare che, dopo pochi anni, quando arrivò Clarke con la sua libreria questa presto divenne un centro dove gli uomini e donne di cultura e con interessi artistici si ritrovavano, ed anche Morton fu uno di quelli. Forse i due diventarono amici: credo che sia quasi inevitabile fra uno scrittore ed un libraio.
E fu proprio allora che Clarke gli raccontò le sue esperienze di guerra e in particolare quella di Sansepolcro durante la campagna d’Italia.
Dato che vado avanti supponendo continuerò a farlo, sperando solo di non andare troppo fuori via, e poi dato che tutti i protagonisti se ne sono andati, non ci sarà nessuno pronto a correggermi e questo mi rattrista un po’.
Quando Morton cominciò a programmare il suo prossimo viaggio in Italia agli inizi degli anni sessanta di certo i due parlarono molto in proposito e magari fu proprio Clarke che suggeri d’inserire Sansepolcro nell’itinerario: anche lui doveva rendere omaggio all’opera di Piero, doveva vedere “The Best Picture in the World”. Non ho dubbi: di certo anche Morton conosceva l’opera di Huxley.
Ora assieme seguiremo la sua visita al Borgo, probabilmente era il 1962 o ’63, come la narra nel libro. Penso che sia interessante per riscoprire com’era il paese cinquant’anni fa e come veneva percepito da uno straniero che veniva alla scoperta di Piero. Allora non erano in tanti, non si pagava biglietto, e non c’erano autobus carichi di pensionati in gita.
Dapprima si fermò ad Arezzo e ci parla con entusiasmo del suo amico Alberto, a real gentleman di gran cultura che lo invitò anche a casa sua. L’aiutò molto nel programmare le sue visite e nel dargli suggerimenti dove scoprire nuovi luoghi di interesse e si offri di accompagnarlo nelle sue visite.
Non mi ci volle molto a capire che parlava del mio amico Alberto Droandi, l’allora direttore dell’Ente del Turismo della provincia d’Arezzo. Tempo addietro parlando con Lella Droandi, la figlia che mi ha aiutato nel raccogliere materiale per questo M’Arcordo…, questa mi confermò delle visite di Morton a casa loro.
Dopo aver visto la Madonna del Parto a Monterchi continuarono il viaggio e da Val de Gatti il panorama della valle si aprì davanti a loro piena dei colori d’un giorno d’estate.
E là, oltre il Tevere, c’era Sansepolcro come l’aveva visto quasi vent’anni prima quel giovane ufficiale inglese. Si emozionò? Non lo sapremo mai.
Ci dice che al Borgo era giorno di mercato e la piazza davanti alla Pinacoteca, come si chiamava allora, era piena di bancherelle. Salendo la scalinata entrarono per il portone, adesso chiuso, che dà su Piazza Garibaldi e si ritrovarono nell’aula di quello che lui chiama tribunale (la pretura) dove si stava discutendo una causa. Un usciere fece loro cenno di far silenzio e poi con la mano li invitaò a seguirlo nella prossima sala, ed eccola, li davanti a lui, in tutta la sua gloria, La Resurrezione di Piero, “The Best Picture in the World”.
Dopo avere descritto le sue varie impressioni ed emozioni davanti al dipinto che giudica differente da qualsiasi altro che abbia mai vista, pensa che questo sia il momento giusto di inserire la storia di Anthony Clarke, il libraio artigliere che ha incontrato anni prima a Cape Town. Anche lui vuole credere che la sua decisione d’interrompere quel bombardamento abbia salvato dalla distruzione l’opera d’arte che sta ammirando.
Ci narra del loro fortunato incontro avvenuto due o tre anni prima in una libreria di Cape Town. Infatti era entrato nel negozio cercando un un libro su Firenze e si era messo a parlare con il proprietario, Anthony Clarke. Questi gli narrò la sua storia cominciando così:
“I like to think … that I am resposable for the safety of Piero della Francesca’s Resurrection in Sansepolcro …” (Mi piace pensare che io sono responsabile d’aver salvato La Resurrezione di Piero della Francesca a Sansepolco) e poi continua la dettagliata seguenza degli eventi di quella fatidica giornata dell’estate del 1944.
Conclude con queste parole:
“Il giorno dopo entrammo a Sansepolcro senza problemi. Chiesi subito di vedere il dipinto. L’edificio non era stato colpito e corsi dentro e lo trovai intatto, magnifico. La gente aveva cominciato ad accumulare sacchetti di sabbia ma erano arrivati a farlo solo all’altezza della vita… Qualche volta mi domando come mi sentirei sapendo ch’ero stato il responsabile della distruzione del La Resurrezione. Una volta ho anche pensato di scrivere ad Aldous Huxley… questo è il tipico esempio che la penna è potente della spada.”
Ci racconta poi che quando Alberto cercò di fare una foto col flash gli impiegati del tribunale trasporterono da un’altra stanza un pesante tavolo per poi salirci sopra e avere un’inquadratura migliore. Certo questo non sarebbe successo agli Ufizi, commenta Morton.
Raccontandoci la sua visita al Borgo non ci racconta solo il suo incontro con Piero, ma anche la sua visita allo stablimento Buitoni. Descrive con termini altisonanti le macchine meravigliose capaci di sfornare a gran velocità kilometri di spaghetti. A quei tempi, quando c’era qualche ospite importante, spesso era proprio il mi’ babbo quello che aveva la responsabilità di guidare la visita. E a lui questo incarico piaceva moltissimo, era fiero di spiegare come si faceva la pasta e far vedere quegli enormi macchinari capaci di produrre tanti tipi differenti di prodotti. Credo che fosse convinto che in fondo fossero roba sua. Non è improbabile che fu proprio il mi babbo quello che lo accompagnò in giro. Il babbo non parlava inglese, se la cavava abbastanza bene col francese ma forse Morton parlava l’italiano, per anni aveva girato per l’Italia. Ma poi c’era anche Alberto Droandi che parlava un ottimo inglese.
Prima di ripartire dal Borgo Alberto decise di far una visita a sorpresa ad un suo amico che abitava in una villa appena fuori le mura, così Morton ce la descrive. L’amico non c’era, ma la moglie gentilissima li invitò per un vermouth. Non ho alcun dubbio, l’amico era di certo Luigi Giovagnoli a quel tempo presidente della Società dei Balestrieri ed Alberto era balestriere adottato, perchè non era del Borgo, ma d’Arezzo.
E questa fu la fine della visita.
Come ho già detto il libro “A Tourist in Italy” fu pubblicato nel 1964 e questa storia straordinaria dell’ufficiale inglese e della sua decisone di interrompere il bombardamento di Sansepolcro di vent’anni prima divennero conosciuta nel mondo, almeno quello che capace di leggere in inglese.
Al Borgo non credo ci fosse ancora nessuno che la sapesse, ma ce n’era uno ad Arezzo: Alberto Droandi e questo non era uno da poco, era uno che se si poneva un obbiettivo avrebbe fatto di tutto per raggiungerlo. Credo, ma di questo non son sicuro, che sia stato proprio lui uno di quelli che crearono la Fiera Antquaria d’Arezzo.
Son certo che fu lui, vecchio partigiano, che pubblicizzò la storia.
Quarta Puntata
Questo è certo la parte piú misteriosa della storia: come Anthony Clarke ritornò a Sansepolcro. I protagonisti, quelli della foto, son tutti morti (non l’interprete, spero: inoltre non ho dubbi che lei sarebbe stata un’attima ragione per essere presente a quell’incontro). Io abito lontano e ho fatto del mio meglio per mettere insieme le varie tessere del mosaico.
L’unica testimonianza che ho sono le fotografie della cerimonia in comune e non è stato facile trovarle assieme a delle lettere di Henrietta Dax di Cape Town,
Quindi posso solo continuare ad ipotesizzare, non ho nessuna prova di quello che successe ma non credo di sbagliarmi. Come ho detto prima credo che fu Alberto Droandi la persona chiave che non solo fece conoscere la storia ma mise anche in moto gli ingranaggi giusti per riportare Anthony Clarke al Borgo poco piú di vent’anni dopo l’estate del ’44.
Forse fu lo stesso Morton quello che ritornando a Cape Town portò il primo messaggio che sarebbe stata una buon’idea ritornare a Sansepolcro.
L’amministrazione comunale era comunista, con molti dei partigiani ancora attivi nella scena politica e di certo molto interessati a ricostruire tutto quello che in qualche modo metteva in buona luce, anche se inderettamenre, il loro operato. Le truppe alleate, in questo caso quelle inglesi nella persona del giovane ufficiale, avevano agito bene, avevano salvato il Borgo dalla distruzione. I tedeschi dall’altra parte erano quelli che avevano fatto saltare in aria la Torre di Berta.
E fu così che un giorno del 1965 Anthony Clarke artornò al Borgo. Ho solo delle foto della cerimonia in comune. Da sinistra si vede l’interprete seduta, Anthony Clarke che attentamente ascolta il sindaco Ottorino Goretti e infine Alberto Droandi direttore dell’Ente del Turismo d’Arezzo, sembra pronto a fare il suo intervento. Per anni ho creduto, forse qualcuno me l’aveva detto, che in quell’occasine gli fu data la cittadinanza onorario, ma successivamente mi fu confermato che fu solo dato un attestato di benemerenza.
Di certo ritornò a vedere La Resurrezione, ma non sappiamo quali emozioni provò, questa volta le circostanze eran molto differenti.
So solo che quando tornò in Sud Africa raccontò di incredibili pranzi e cene con un’infinità di portate e fiumi di vino. Era soddisfatto.
Fu allora che nello sviluppo urbanistico di quegli anni cercavano nomi per le nuove strade; se c’è via Gandhi che al Borgo un c’è mai venuto perchè non intitolarne una ad Anthony Clarke che al Borgo c’era venuto due volte? E in che circostanze!
Quinta Puntata
La corrispondenza con Lella Droandi mi ha ricordato con affetto la memoria del padre Alberto, per me uomo eccezionale che è stato un esempio di vita da seguire. Prima di partire per gli Stati Uniti andai a salutarlo ad Arezzo. Quando seppe della mia decisione, mi abbracciò e con gli auguri di buona fortuna mi disse che facevo bene, ero il tipo che avevo bisogno di spazio e non aveva dubbi che la mia avventura sarebbe andata bene. Era come mi dicesse: “il Borgo te sta stretto!”
Qui negli Stati Uniti ho un amico, un produttore televisivo, di nome David Fanning, originario di Cape Town e grande amante dell’arte e dell’Italia. Un giorno scoprii che poche settimane prima era stato al Borgo per vedere Piero e fu allora che gli raccontai la storia del cannoniere inglese. Gran sorpresa! Anni fa quando era ancora ragazzo aveve conosciuto Mr. Clarke e spesso era andaro nella sua libreria di libri vecchi, una vera miniera di materiale interessante. Mi disse anche che sapeva ch’era morto prematuramente da tempo.
David mi ha aiutato a mettermi in contatto con Herrietta Dax, attuale titolare del Clarke’s Bookstore, che gentilmente mi ha messo a disposizione del materiale fotografico. Mi scuso con lei per aver lasciato passar così tant’anni (almeno cinque) per scrivere queste mie riflessioni sulla storia.
E qui entra in ballo l’amico Giovanni, che nonostante gli impedimenti d’una malefica frattura mi ha inviato un ritaglio di giornare che riportava nuovamente la storia del giovane ufficiale che per amore dell’arte rischiò la corte marziale. Questa è stata la goccia: non ho potuto più procastinare e mi son messo a scrivere.
Considerazioni finali
Nella foto a fianco, (viene dagli archivi dell’IWM di Londra) sempre dell’estate del 1944, si vede un cannone inglese piazzato verso la metà della salita d’Anghiari. Non è uno di quelli del tenente Clarke, ma di certo molto simile e nel mirino ha lo stesso obbiettivo: Sansepolcro. E laggiù, alla fine della Dritta, ci sono anch’io, anche se non mi si vede.
Una sera, quando eravamo sfollati nella casa della zia Jennie, all’angolo del Borgo Novo con via Sant’Antonio, una cannonata colpi il tetto della casa di fronte e cominciò un incendio, ricordo le fiamme che uscivano dalle finester piccole della soffitta.
Che fosse quallo uno dei pochi colpi sparati da Clarke? E se avesse continuato, forse io non sarei qua a scrivere i M’Arcordo…
Questo M’Arcordo… non sarebbe stato possibile senza l’aiuto di:
Henrietta Dax, attuale titolare della libreria Clarke di Cape Town, South Africa.
David Fanning (anche lui originario di Cape Town) che mi ha messo in contatto con Henrietta.
Lella Dreandi, figlia di Alberto Droandi.
La famiglia di Ottorino Goretti.
Libero Alberti, amico paziente che sa trovare le risposte alle mie domande.
Rosanna Besi che mi ha permesso d’usare la sua foto delle macerie della Torre di Berta.
18 marzo 2012, Marblehead, MA USA
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