106 M’Arcordo… la prima volta che ho visto Guernica.

 ovvero io e la Guerra Civile Spagnola

Nel gennaio del 1971 per la prima volta andai a New York, prima c’ero stato solo di passaggio. Finalmente era in quella città piena di grattacieli che avevo visto nei libri di scuola o in qualche film; m’era sempre sembrata così lontana. Sarei stato ospite del cugino americano Umberto e fu proprio allora che questi mi informò che il suo vero nome era Giovanni o meglio John, ma questa storia l’ho già arcontata.

https://biturgus.com/2009/05/06/56-m’arcordo-del-cugino-umberto-ovvero-i-braganti-in-america/

Quello fu per me un periodo difficile: ero da pochi mesi in America, alla vigilia dei trent’anni ero disoccupato, e sopratutto ero incerto, confuso, non sapevo in che direzione andare e mia moglie incinta mi manteneva insegnando francese al liceo di Waltham.

Not a very rosy situation!

In ogni modo andai a New York per vedere i miei parenti, per incontrare delle persone con cui discutere un possibile lavoro ed anche per scoprire un po’ quella mitica città. La prima sensazione arrivando con l’autobus al Port Authority fu quella d’aver raggiunto un obbiettivo: quello che m’era parso irrangiungibile era diventato una realtà.

Nei giorni a venire avrei fatto anche il turista, avrei esplorato la città. La lista di quello che “dovevo” fare era breve: salire in cima all’Empire State Building e vedere Guernica di Picasso al MOMA, per il resto ci sarebbe stato tempo.

Guernica di Picasso (1937)

Voler salire su quello che allora era l’edificio piú alto era l’aspirazione piú comune di quasi tutti quelli che andavano a New York per la prima volta (le torri gemelle del World Trade Center non erano state ancora costruite), ma Guernica? Perché? Questa é una storia piu lunga e complessa. Farò un passo indietro, cercherò d’esser conciso, in fondo rappresenta l’evoluzione del mio pensiero politico, sempre pieno di dubbi. Questo é un discorso forse un po’ confuso e non vi voglio annoiare, forse un giorno ci scriverà un M’Arcordo… L’atto di scrivere spesso mi serve per capirmi meglio, o almeno mettere in ordine i miei pensieri.

Dirò che con l’andare a Firenze nel 1961 l’ambiente universitario rapidamente mi allargò gli orizzonti, le mie incerte simpatie per la destra nazionalista che mi avevano ammaliato con il suo patriottismo e sopratutto con le glorie coloniali perdute non mi soddisfacevano piú. L’incontro con degli algerini del Front de Libération Nationale mi fece capire che anche gli altri avevano il diritto di combattevano per la loro indipendenza. Non avevamo forse studiato a scuola che noi italiani avevamo fatto tre guerre per la nostra indipendenza? Conclusi che avere posseduto delle colonie non era stato nulla di buono e tantomeno esserne fieri come indirettamnete m’aveva fatto credere il babbo, reduce della Libie e fascista disincantato non di prima linea.

Quando passai da farmacia a scienze politiche il processo evolutivo si accellerò e riinventai me stesso. E in tutto questo processo Paolo Massi fu parte integrale, diciamo che ci siamo influenzati a vicenda lungo questo cammino, anche se io poi mi feci crescere la barba e lui no.

Durante una conversazione casuale con Omero Roti, vecchio compagno del liceo, questi mi suggeri di leggere “Omaggio alla Catalogna” di George Orwell. Secondo lui opera fondamentale per conoscere lo scrittore e capire la Guerra Civile Spagnola. Lessi il libro, aveva ragione, e fu così che mi appassionai ai suoi scritti. Poi lessi in inglese quasi tutto quello che Orwell aveva scritto, oltre ai due classici “The Animal Farm” e “1984”. Avevo letto anche “La fattoria degli Animali” a fumetti; questa era un’edizione pubblicata dalla DC ai tempi dell’elezioni del 1953. Orwell era un marxista convinto ed aveva scritto la parabola degli animali che s’erano ribellati per poi divenire le vittime della rivoluzione tradita per denunciare il totalitarismo sovietico. Stalin era un dittatore come Hitler e Mussolini. Orwell non era contento quando il suo libro veniva sfruttato come strumento propagandista dalla destra conservatrice.

Nel 1964 andai ad abitare alla pensione Parterre, condividendo con Paolo la stanza grande, quella d’angolo colla terrazza,. Un giorno fu proprio lui che arrivò con un manifesto con la riproduzione di Guernica di Picasso, quasi di certo l’aveva trovata nella libreria Feltrinelli da poco aperta. Forse non fu decoroso attaccarlo al muro in compagnia dei sederi e seni nudi delle ragazze voluttuose di Playboy, ancora censurato in Italia che riuscivamo occasionalmente a trovare. Si, c’é stato un tempo che le copie della rivista arrivavano in Italia di contrabando.

Da letto ogni giorno studiavo Guernica nei suoi dettagli e mi rattristavo e con rabbia mi perdevo nel groviglio di quei corpi dilaniati. A quel tempo oltre ad Orwell cominciai a leggere tutto quello che trovavo sulla Guerra Civile, poi assieme a Paolo vedemmo il film di Rossif “Mourir a Madrid” e un altro amico ci fece scoprire tanto un repertorio di canzoni repubblicane.

C’era poi il coinvolgimento familiare con quella guerra: da una parte c’era stato il cugino Umberto (John, quello di New York) che era andato volontario nelle truppe franchiste e poi dall’altra c’era stato un altro cugino socialista del babbo, questo da parte di mamma, che aveva lasciato Siena ed il posto sicuro al Monte dei Paschi per l’incerto destino dell’esilio in Francia per poi arruolarsi nella Brigata Internazionale Garibaldi. Dalle storie raccontate si sapeva che probabilmente avevano combattuto l’uno contro l’altro, ma loro non erano parenti, nella battaglia di Guadalajara. Molti anni piú tardi appresi che c’era stato anche Dario di Perugia, cugino del nonno Taba, anche lui rifugiato comunista a Marsiglia che s’era poi arruolato nelle Brigate Internazionali. E parlandomi di lui una volta un perugino mi disse:

“Dario Taba, un nome mitico del comunismo umbro.”

E con le mie letture capii che non sarei mai potuto diventare comunista, il totalitarismo sovietico staliniano non faceva per me. E anche se c’era stata una grande evoluzione l’obbedienza cieca nel partito era simile al sostituire una fede religiosa con un’altra: non faceva per me. Nelle mie fantesie pensavo che se fossi vissuto ai tempi della guerra mi sarei unito agli anarchici della FAI (Federación Anarquista Ibérica) o forse come Orwell mi sarei arrualato con le truppe del POUM (Partido Obrero de Unificacion Marxista) di tendenze troskiste, fortemente antistaliniste.

Ritorniamo a Guernica. Picasso aveva dipinto il quadro nel 1937 a Parigi dopo il tragico bombardamento della cittadina basca. Le bombe lanciate dagli aerei tedeschi ed italiani profocarono danni tremendi uccidendo piú di mille persone: viene considerato il primo bombardamento moderno, non un bel record.

Non ricordo quando lessi da qualche parte che all’inizio della guerra (1939-40?) il dipinto era stato spedito a New York. Di certo il comando tedesco dopo l’occupazione di Parigi nel giugno del 1940 aveva avuto ordini precisi sul da farsi, e distruggere Guernica doveva esser quasi in cima alla lista, forse solo dopo il saccheggio delle cantine de La Tour d’Argent.

Come l’amico Giorgio mi ha ricordato c’era una vecchia battuta in cui si raccontava che un tedesco che era andato a vedere il quadro chiese a Picasso:

“Avete fatto voi questo orrore, Maestro?” e lui aveva risposto:

“No, e’ opera vostra.”

E con tutto questo bagaglio di pensieri una fredda mattina di quel gennaio 1971 salii una scala del MOMA e d’improvviso mi trovai Guarnica balzare davanti a me. Fui sorpreso, sapevo ch’era grande ma non mi l’aspettavo che fosse così grande e la sala era piccola. Non riuscivo a vederla nella sua totalità. Non ricordo ma anche se non fui proprio deluso di certo non fui soddifatto, forse avevo delle aspettative molto alte.

E per molt’anni non pensai molto a Guernica ed anche la Guerra Civile Spagnola venne riposta da parte, con rari momenti d’interesse.

Alla fine di novembre del 1975 con Stephanie andai a cena in un ristorante pertoghese (allora non ce n’erano di spagnoli) a Cambridge per celebrare la morte di Franco. Nel luglio del 1986 l’amico Joel mi invitò a cena, questa volta in un vero ristorante spagnolo, per commemorare l’inizio della Guerra Civile. Avevamo ed abbiamo ancora interessi comuni.

Quando Tanya faceva l’high school aveva dimostrato molto interese nel suo corso di spagnolo così decisi di portarla a Madrid, era il novembre del 1988. Sarebbe stata la prima volta anche per me. Con l’aiuto della sua insegnate Tanya aveva fatto la lista delle cose doveva vedere e fra queste c’era Guernica.

Picasso a suo tempo aveva donato il dipinto alla Spagna, ed era rimasto a New York tutti quegli anni aspettando che Franco morisse per poi esser trasportato a Madrid.

Dall’hotel per andare al parco del Buon Retiro il cammino fu breve. Ci fu indicato el Cason dove era stato sistemato Guernica e non ho un chiaro ricordo, era un grande edificio che sembrava un cinema, forse una gran rimessa. Un lungo corridoi d’accesso era tappezzato con tanti disegni e studi che Picasso aveva freneticamente buttato giú come studio preliminare al lavoro. Alla fine il corridoio girava a sinistra per dara accesso alla sala.

E li d’improvviso mi son trovato davanti al quadro, distante abbastanza per peterlo ammirare in tutte le sue forme. Ecco: questa era per la prima volta che lo vedevo, quella volta a New York non contava piú, l’avevo visto troppo da vicino, a ridosso. Mi parve di sentire il sibile terrificante delle bombe, l’urlo del terrore e della morte esplodere dentro di me. Il tutto fu questione d’un momento, una forte emozione, del tutto inaspettata di sorprese, mi pervase e in quell’androne dove Guernica riempiva tutto lo spazio, mi misi a piangere. Non m’era mai successo, mai: piangere davanti ad un quadro! Tanya sorpresa mi abbracciò. Mai avevo recepito un messaggio cosi forte, direi violento, da un opera d’arte. Poi mi sentii imbarazzato.

Per fortuna nella lista del da vedere di Tanya c’erano anche le opere di Goya e così andammo al Prado ed ammirando le forme sinuose e sensuali della Maya Desnuda rivissi le mie emozioni erotiche che da dodicenne avevo provato tant’anni prima. L’avevo vista per la prima volta riprodotta in una foto in bianco e nero in una rivista del babbo, L’Europeo. Ma questa é un’altra storia, e forse un giorno la scriverò. Davanti alla Maya non piansi, e non mi dilungai a studiare i dettagli di quella vestita.

Nell’estate del 2004 ritornai a Madrid con Pascale e per lei questa era la prima volta. Anche lei aveva fatto un elenco di quello che voleva vedere, ora non ricordo se in cima alla lista Guernica veniva prima o dopo Il Trittico del Giardino delle Delizie di Hieronymus Bosch.

Guernica era stata spostata un altra volta ed ora si trovava al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia e questa era la sede definitiva. Questo museo é locato in un vecchio edificio che, anche se ha ricevuto un sacco di lavori, ha ancora l’aspetto severo e tetro del vecchio ospedale che era. Proprio entrando mi ritrovai circondato da un pesante colonnato su vari piani che davano nel cortile. Cominciai subito a pensare alla Guerra Civile e a tutti quei feriti che durante la lunga battaglia per la difesa di Madrid erano passati per quella stessa porta. Poi raggiunto il piano mi ritrovai in una galleria con le parete coperte dalle immortali fotografie di Robert Capa, fra le quali vidi subito quella del miliziano colpito a morte.

La Morte del Miliziano di Robert Capa

I miei occhi cominciarono ad inumidirsi. Questa volta Guernica non mi sorprese, l’avevo intravista da lantano avvicinandomi alla sale ed infine le fui davanti. Per un attimo nuovamente mi parve d’esser travolto dall’orrore della guerra, dalle sofferenze di quei corpi dilaniati, fatti a pezzi, le urla degli uomini e degli animali che sanno di non avere scampo. Ed anche questa volta mi son messo a piangere. Pascale, come Tanya la volta precedente, mi abbracciò per farmi coraggio. Avevo colta di sorpresa anche lei e poi pian piano sian sortiti dalla sala.

Nel negozio del museo comprai una cartolina e la scrissi subito all’amico Paolo che era morto due anni prima e che non aveva mai vista Guernica. Dovevo sfogarmi, dovevo condividere con lui le mie emozioni, lui sarebbe stato l’unico che m’avrebbe capito. La prima volta che tornai al Borgo andai al cimitero e lasciai la cartolina sul piccolo altare della cappella accanto alla sua tomba. La consolazione d’un miscredente come me é quella di sapere che la nostra amicizia supera la morte con l’amore e la memoria, quando anche questa non ci sarà piú allora davvero tutto é finito.

17 aprile 2012, Marblehead, MA USA

ftbraganti@verizon.net

Facebook: Fausto Braganti

Skype: Biturgus (de rado)

 

Appendice

Robert Capa fu un fotografo di guerra e quella di Spagna fu la sua prima. Nel giugno del ’44 sbarcò sulla spiaggia in Normandia con la prima andata di truppe americane. Lui non imbracciava un fucile lui aveva una Laica. Morì in Indocina (1954) saltando in aria per una mina. Lo sempre molto ammirato e non nego una buona dose d’invidia per il suo lavoro fatografico ed anche per avere avuto Ingrid Bergman come amante.

Pochi anni fa dopo tantissimi anni saltò fuori a Città del Messico una valigia piena dei suoi negativi della Guerra di Spagna. Questa poi arrivò misteriosamente all’ ICP (International Center of Photography) a New York. In tanti pensavano che quel materiale fosse andato perso, per poi scoprire che mistoriosamente era stato trafugato fuori della Francia durante l’occupazione tedesca.

Due anni fa andai a vedere la mostra allestita all’ICP, “The Mexican Suitcase”, sempicemente favolosa ed emozionante, ma non preoccupatevi, questa volta non ho pianto.

http://museum.icp.org/mexican_suitcase/story.html

Grazie a YouTube potete vedere:

Morir En Madrid – Frédéric Rossif (1962) In francese con i sottotili in spagnolo (!!!)

http://www.youtube.com/watch?v=zo3lAGwi9Ks

Land and Freedom – Ken Loach (1995) In inglese e spagnolo niente sottotitoli

http://www.youtube.com/watch?v=Gsfc9q3wsbo

e potete anche ascoltare anche:

Los cuatro generales

http://www.youtube.com/watch?v=KnRRBY7F_yM

Ay Carmela, Viva la Quinta Brigata

http://www.youtube.com/watch?v=Fko5fYIBJFU&feature=related

 

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