109e Non M’Arcordo… quando il mi’ babbo incontrò la mi’ mamma, anche lei lavorava alla Buitoni.
Il 25 ottobre 1937 era un lunedi ed alle sei di mattina, quando era ancora buio, il mi’ babbo e la mi’ mamma si sposarono nella chiesa della Madonna delle Grazie a Sansepolcro, quella chiesa che non m’é mai piaciuta con quegli scheletri sulla porta e le teste di morto nel soffitto. Arnaldo Buitoni, che sarebbe dovuto essere il testimone del babbo non si presentò, non s’era svegliato in tempo dopo aver gozzovigliato troppo la sera prima. Il babbo dovette sortire dalla chiesa e chiedere ad un operaio che andava a lavorare di venire a sostituirlo. Anche se quello non fu un evento di portata storica fu importantissimo, almeno per me. C’era voluto un bel po’ per convincere l’arciprete del domo Don Bista Ravanelli ad officiare un matrimonio a quell’ora, non era mai successo prima. La mi’ mamma Luisa Taba aveva ventidue anni, undici in meno del mi’ babbo, Renato Braganti.
Ma come era successo che i sentieri di questi due erano arrivati ad incontrarsi in quella fatidica mattina per dire “si”? Temo che dovrò procedere a tentoni, supponendo. Comincerò con quello che so ed é poco.
Lei veniva da una famiglia modesta di Via San Puccio ed anche lui da un’altra famiglia modesta, ma i suoi a forza di stare vicini ai signori alla fine credevano d’esserlo anche loro; la nonna si metteva il cappello ed il nonno qualche volta portava la camicia col solino a becchi inamidato.
Ma facciamo un passo indietro: ma chi erano i genitori de la mi mamma? Anche di questi ne so ben poco. La nonna Santina Giunti (1879-1956) era nata a Baldignano (Pieve Santo Stefano) ed era rimasta orfana di mamma a solo due anni e come Cenerentola si ritrovò in una casa con una matrigna cattiva ed un babbo inesistente, che non la proteggeva. Giovanissima e semianalfabeta fu poi mandata a servizio prima a Firenze e poi andò a Roma. Bella, alta e fiera, con i capelli rosso fuoco e seno prosperoso di certo faceva la sua figura. Lavorò in grandi case patrizie, inclusa quella d’un principe russo, giovane, bello e tanto gentile come diceve lei, che veniva con la famiglia a svernare a Roma. Le storie del principino che mi raccontava mi facevano ridere, come quella che un giorno lei scopri nelle sue tasche tante palline nere, cacche di capra, che lui mangiava credendo che fossero liquerizie. Un principino che mangiava le cacche di capra! Ma questa era la storia piú buffa del mondo.
E fu a Roma che incontrò Giuseppe Taba (1878-1945) perugino, che lavorava come maggiordomo in un altra casa di signori. I due si sposarono (1910) e si trasferirono a Sansepolcro, dove non avevano mai vissuto e dove non conoscevano nessuno. Controllando certi documenti mia madre poi scoprì che la zia Maddalena, la sorella piú grande, era nata a Sansepolcro solo un mese dopo il matrimonio avvenuto a Roma. Ma era la figlia di Giuseppe? Fu proprio mia madre ad avere i primi dubbi, delle teorie, specialmente dopo la storia che la Bianca Fiordelli le raccontò. Questa era la sorella di Bruno pasticciere che assieme al marito, il Faffini, aveva un negozio di nastri, fili e chincaglieria varia all’angolo di Via Gherardi con la Via Maestra. Una sera a veglia la Bianca fece una battuta rivolgendosi a la mi’ mamma dicendole che se le cose fossero andate diversamente saremmo stati parenti.
“Ma come parenti?” chiese mia madre.
“Ma come, non sai la storia di mio zio … (non ne ricordo il nome), quello che fu ammazzato dall’amante gelosa la mattina che doveva sposare la Santina, la tu’ mamma?”
Mia madre rimase sbigottita, a bocca aperta:
“Cosa?”
Bianca sorpresa di quell’ignoranza, continò:
“Io so solo che la tu’mamma ed il mi’ zio erano fidanzati, stavano a Roma, e la mattina quando sortirono di casa per andare in comune[i], un’amate gelosa li aspettava e lo uccise sparandogli un colpo di pistola. Poi non so altro.” E a questo punto sembrava pentita d’aver aperto bocca. Roba da romanzo d’appendice.
Il giorno dopo la mi’ mamma corse da sua madre per saperne di piú. La nonna non solo fu sorpresa della domanda ma lei ch’era sempre calma, si arrabbiò e la scacciò dicendole che non aveva altro da dire e che certe storie vanno dimenticate, e non serve a niente ricordarle e così chiuse l’argomento, ma non lo negò: era la conferma che la storia era vera.
E che la nonna fosse incinta del Fiordelli? E che il nonno Giuseppe, amico dell’ucciso la sposò per salvaguardarne l’onore? Poi lasciarono Roma ed andar lontano a farsi una nuova vita. E loro abitarono sempre in Via San Puccio. Lei aveva dei lontani cugini contadini dalle parti della Madonnuccia.
E se invece il babbo fosse stato il principe russo di cui lei parlava sempre con tanto affetto? Questi poteva aver convinto il nonno Taba, magari dopo una generosa buonuscita, ad un matrimonio di comodo ed andarsene lontano per evitare lo scandalo. Cose che succedevono a quei tempi.
La prima fu la zia Maddalena (1910-1960), poi venne un altra bambina, la zia Maria (1912-1932) che morì di tifo a vent’anni ed infine Luisa, mia madre (1915-1987). E dopo pochi mesi dalla sua nascita il nonno, come tanti altri, fu richiamato e partì fantaccino per la Grande Guerra. Ritornò dopo dieci mesi di trincea, non aveva ancora quaranta anni ed era diventato vecchio. Non era stato colpito da nessuna pallotola, ma aveva perduto tutti i denti e con una pleorite che non voleva andar via. Come si diceva allora: era debole di polmoni, e passò il resto della sua vita malaticcio e spesso con bronchiti e tanta paura che potesse venire la tubercolosi. Non gli riconobbero nessuna invalidità o pensione. Da maggiordomo, quando si vestiva come il signore della casa con impeccabili colletti inamidati e l’immacabile tubino duro, era diventato un barrocciaio silenzioso che fumava con le pipe di coccio. La mamma diceva che lo vide arrabbiato solo una volta, la sera che ritornò a casa bionda, con in capelli ossigenati. Non andava alla messa ed molti dei suoi amici erano socialisti e massoni, so solo che era inscritto alla Società di Mutuo Soccorso. Con l’avvento del Fascimo divenne ancora piú silenzioso, e non si inscrisse mai al partito. Rimase un semplice barrocciao che segretamente amava cucinare pasti elaborati seguendo attentamente le ricette dell’Artusi, quella era la sua bibbia.
La mamma era bellina e quando nel 1925 ci fu lo scoprimento del monumento ai caduti al Parco delle Rimembranze, fuori Porta del Castello, fu scelta come una delle guardie d’onore assieme un altro bel bambino Luigi Giovagnoli (il futuro Sor Gigino). Lei ci teneva molto a raccontare questa storia e non l’era facile nascondere d’esser vanitosa.
Fatta la quinta elementare andò come apprendista dalla signora Ginna Marcelli, la rinomata e premiata maestra del merletto, ad imparare a far la trina a spilli come la chiamavano allora. Ancora in cantina c’é un tombolo. A sedici anni entrò alla Buitoni come operaia alle confezioni, ma non per molto, infatti passò a fare l’infermiera nella piccola infermieria che allora era vicino all’ingresso dello stablimento ed al centralino telefonico. Non credo che facesse gran cose a parte qualche inizione, mettere un ceretto o fasciare una ferita leggera. Per gli incindenti piú gravi si portava il ferito all’ospedale, che non era lontano. In compenso era in una posizione privilegiata, vedeva tutti quelli che entavano e tutti quelli che uscivano e di certo pettegolava con la Silvia, la telefonista, che divenne una delle sue migliore amiche.
Assieme alle sue amiche divenne attiva nell’organizazioni delle Gioveni Italiane, ed era sempre presente alla varie manifestazioni del PNF, come in questa foto, sotto il gagliardetto.
E quando aveva quindici anni incontrò Beppe P. l’amore della sua vita (?). Lui era un po’ piú grande di lei ed un apprendista meccanico che faceva anche l’autista di camion. E penso che fu proprio che per colpire Beppe che la mamma convinse il cognato, lo zio Nello Ciuchi, ad insegnarle ad andare in motocicletta. Quando anni fa mia figlia Tanya comprò una motocicletta pensai che forse aveva ereditato qualcosa dalla nonna.
Naturalmente io non sapevo nulla della storia di Beppe. Per una tradizione molto antica i figli sono sempre gli ultimi a sapere le altre storie sentimentali e segrete dei genitori. Mia madre, molti anni dopo la morte del mi babbo, divenne molto aperta con me. E se intorno al collo portava un medaglione d’oro con l’immagine di mio padre, nella borsa aveva una foto del famoso Beppe, ed un giorno me la mostrò, era giovane e certo molto bello e aggiunse:
“Guarda come assomiglia a Clark Cable?” Ed anche lui era morto, lontano a Joannesburg in Sud Africa.
Una sera nella primavera del 1937 come al solito i due fidanzati si incontrarono e Beppe le disse che il giorno dopo non si serebbero visti e solo dopo l’insistere di mia madre le confessò che l’indomani sarebbe partito per l’Africa Orientale. Si era arrulato come camionista per andare in Abissinia, e non le aveva mai detto nulla. Per lei fu un colpo terribile, da sedotta e abbandonata. Ecco dove si trovava la mamma all’inizio del 1937, lungo quel sentiero dei destini incrociati che l’avrebbe portata alla Modonna delle Grazie alle sei di mattina d’un buio lunedì di fine ottobre.
E il babbo? A proposito di lui ne so anche di meno, forse morì troppo presto e non ebbi mai modo d’avere le sue confessioni. Qualche cosa di grave doveva esser successo anche a lui in quello stesso periodo. So d’una fidanzata, di certo innocente ma travolta in una situazione familiare difficile che fece gran scalpore e forse ci furono altri eventi a me sconosciuti. Si allontanò dai suoi vecchi amici anche se i rapporti rimasero cordiali. Si distanziò anche per quanto fosse possibile dal Partito Fascista. Mi é sempre sembrato di capire che non ci fu mai una vera ragione politica, diciamo ideologica, ma piuttosto una di carettere personale con alcuni mebri del partito. Ma anche di questo non ne parlava.
E ci fu anche un cambiamento fisico: il babbo sempre magro ed elegante, si mise a mangiare e si ingrassò rapidamente e si lasciò andare. L’unica testimone di quei giorni che m’é rimasta sono le parole della cugina Silvana infatti fu lei stessa che una volta mi disse che non capiva come il mio babbo avesse potuto cambiare così rapidamente e ridursi così grasso.
Luisa e Renato di certo di vista si conoscevano e a Sansepolcro, e specialmente quelli che lavoravano alla Buitoni, si conoscevano tutti. Il babbo di certo aveva notato questa bella ragazza in infiermaria ed un giorno l’invitò ad andare al cinema e lei disse di si. Le strinse la mano nel buio della sale e lei rispose alla stretta? Forse lui sapeva la storia del fidanzato che l’aveva lasciata? In una piccola cittadina come la nostra andare al cinema assieme era un evento che non passava inosservato.
Gli eventi si sussegurono rapidamente ed il babbo le regalò un braccialetto d’oro e non un anello e lei un paio di gemelli per camicia. E decisero di sposarsi, subito. Forse a questo punto la nonna Vittoria che cominciava a temere che il babbo non si sarebbe mai sposato decise ch’era meglio star zitta, anche se la future sposa non era una maestrina.
Il babbo che non andava in chiesa si impuntò e che l’avrebbe fatto solo ad un ora dove non ci sarebbero stati curiosi. Si, per tutto Sansepolcro c’erano le chiacchiere che questo era un matrimonio riparatorio perché la mamma era incinta. I pettegoli furono delusi, io nacqui dopo quattro anni.
La cerimonia fu breve e le due famiglie si ritrovarono poi riunite per un rinfresco, ma senza i novelli sposi. Fuori della chiesa c’era una vettura con autista della Buitoni che li attendeva per accompagnarli ad Arezzo a prendere un treno per Roma, era l’inizio del viaggio di nozze, evento abbastanza raro per quei tempi, roba da signori. La mamma, che non era mai andata da nessuna parte, per la prima volta s’era messa un cappello con la veletta che le faceva il solletico al naso e non solo: le scarpe nuove erano strette e le facevano male ai piedi.
Non esistono o almeno non lo ho mai viste, foto del matrimonio e del viaggio di nozze.
Molt’anni dopo un giorno a Roma il babbo mi indicò l’albergo all’inizio di via Nazionale, dalla parte di Piazza Venezia, della loro prima notte di nozze, ma era davvero la loro prima?
25 settembre 2012, Marblehead, MA USA
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[i] Al tempo di questa storia 1909-10 circa, prima del Concordato del 1929, l’unico matrimonio riconosciuto ufficialmente era quello contratto in comune.
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