110 M’Arcordo… quando se faceva festa il 4 novembre.
”… I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.”
Questo è l’ultimo paragrafo del Bollettino della Vittoria. Si dice che lo aggiuse a mano lo stesso capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Armando Diaz.
Era il 4 novembre del 1918. La guerra, quella Grande, era finita. Il mi’ babbo s’arcordava dello scampanio senza fine per celebrare il grande evento, ma poi aggiungeva che non tutti eran felici, infatti vide un vicino di casa (non m’arcordo il nome) che piangeva, suo figlio non sarebbe tornato, era morto. E i guai non eran finiti, l’influenza, la cosidetta Spagnola, imperversava ed alla fine fece piú morti della guerra
Questi austriaci non risalgono in disordine, ma scendono al piano come una fiumana ben controllata con l’aiuto delle baionette in canna: loro sono stati presi prigionieri, la guerra è finita. E tanti di loro di certo non sono neanche austriaci, son stati conscritti in tutti gli angoli dell’impero, croati, slovacchi, boemi, ungheresi, cechi, trentini, sloveni, dalmati, istriani e cosi via. Ho sempre sentito dire che uno dei propblemi dell’esercito italiano impantanato nelle trincee era quello dalla lingua, con tutti i varii dialetti parlati era spesso difficile comunicare, ma immaginate quello austriaco, quelli non erano dialetti ma vere e proprie lingue.
Diciamo che questa foto è “mia”, anche se non l’ho scattata io. Ne possiedo la negativa, la lastra di vetro. La ritrovai fra tante della Grande Guerra che Odilio Goretti mi regaló tant’anni fa.
“Queste son per te, tu sai cosa farne!”
Aveva ragione, io avevo una camera oscura e così ne stampai tante, questa per me é la piú interessante.
Neanche lui sapeva chi fosse stato il fotografo; aveva comprato dei mobili antichi in Umbria e fra questi aveva trovato una cassa, pesantissima, di lastre di vetro. Alcune foto mi fanno pensare che il fotografo fosse stato un medico.
Questa foto mi ha segito, l’ho sempre portata con me nei miei trasferimenti ed appesa nei miei vari uffici. E l’ho studiata attentamente. Ognuno di questi sconosciuti ha la sua storia che non fu mai scritta. Ma cosa pensa il soldato col capo chino? Quello anziano, quello proprio sopra il chepì del soldato italiano un po’ fuori fuoco in primo piano sulla destra. Si sente umiliato? Forse teme di come sará trattato dagli italiani? Ma forse la sola cosa che conta è che la guerra è finita. Meglio esser un prigioniero vivo che un eroe morto.
La baionetta del 91 lungo è l’elemento chiave della foto, divide perfettamente a metá l’immagine e ci ricorda brutalmente gli orrori della guerra.
I due nemici, Ulisse, il nonno dell’Aidi e d’Attilio, e l’ufficiale austriaco senza nome, non ce l’avevano fatta ad arrivare a quel fatidico 4 novembre. Ulisse non aveva vinto la guerra e l’ufficiale non l’aveva persa. Loro erano sotto terra, in un cimitero lontano da casa. Nessuno sarebbe mai venuto a portar loro un fiore, anche se il dolore della loro scomparsa fu sentito per tanto tempo a venire.
Il maestro Guerri era un uomo dell’ottocento anche se era nato nel 1911, per lui la Grande Guerra era la Quarta Guerra d’Indipendenza combattuta per liberare le terre irrendenti. Proprio sopra il suo computer c’era Mazzini incorniciato. Alle elementari, dopo aver imparato le poesie (pallosissime) di Pascoli e Carducci, ci fece studiare a memoria il Bollettino della Vittoria. Forse questa era anche una sua maniera per rendere omaggio alla memoria di suo padre morto nell’Adriatico. La sua nave diretta verso le Bocche di Cattaro(oggi Boka Kotorska, Montenegro)affondò dopo essere stata colpita da un siluro austriaco, ma questo l’appresi molti anni dopo. Lui era un orfano di guerra.
“La compagnia del babbo” mi raccontó una volta il maestro “aveva subito delle perdite gravissime sul Carso e il comando aveva deciso di ritirare i pochi suspestiti dalla prima linea e riposizionarli in Montenegro, zona tranquilla, ma lui non ce la face ad arrivare su quelle coste che promentevano un momento di riposo dopo gli orrori delle trincee.”
Quando arrivai in prima media mi accorsi dell’importanza del 4 novembre: quattro giorni (i Santi, i Morti, un ponte e poi l’anniversario della Vittoria) senza scuola, che poi potevan diventare cinque se c’era una domenica da attaccare a questa mini vacanza. Allora si ch’ero contento!
So che la mattina del 4 c’era una messa in onore dei caduti nella chiesa di Sant’Antonio, e credo che fosse l’unica volta che lo zio Nello Ciuchi andava in chiesa. C’era poi un corteo dei reduci e delle autorità per portare una corona a quello che rimaneva del monumento al parco, fuori Porta del Castello. Infatti il monumento non c’era piu, solo il piedistallo, un gran cubone di marmo con una placca di bronzo sul davanti, la placca aveva dei fori dovuti a colpidi fucili sparati nell’estate del ’44.
Il monumento non fu inugurato un 4 novembre ma il 28 giugno del 1925. Era l’opera dello scultore Giulio Robbiati, di cui non son riuscito a trovare nessuna informazione, fu svelata davanti ad una gran folla. E tra tutta quella gente c’era anche la mi’ mamma, che aveva dieci anni e faceva parte della guardia d’onore, almeno così mi raccontava. Il mi’ babbo non c’era, lui era in Libia.
Assieme al monumento fu costruito il Parco della Rimembranza, che si intravede sulla destra, con le panchine di pietra. Inoltre lungo la via della Piaggia e lungo quella verso San Leo vennero piantati degli ippocastani ed ognuno aveva una targhetta con il nome d’uno dei caduti in guerra. Già negli anni quaranta non c’erano piú ed il mi babbo un giorno quando si passò di lì mi disse con tono triste ed arrabbiato piú o meno così:
“Siamo un popoli di cialtroni, prima han divelto il monumento di bronzo per farci i cannoni e poi hanno rubato da ogni albero anche le placche alla memoria dei caduti.” Ed in lui c’era tanta amarezza.
Penso che con il monumento ed il parco ci fu l’inizio dello sviluppo edilizio sulla collina. Lo sfortunato abbattimento di Porta del Castello fu giustificato con la scusa che l’allargamento della strada avrebbe permesso un miglior flusso del traffico.
Questa villa del Ghirga fu una delle prime costruzioni, lo stile coloniale fa pensare che sarebbe stata piú consona al lungomare di Tripoli, le palme nel davanti non sono ancora cresciute.
Non so esattamente quando il monumento fu divelto, ma immagino sia stato nel 1940, all’inizio della guerra. La Patria aveva bisogno del bronzo, e questa fu la ragione di chiedere ai caduti di sacrificare anche la loro Rimembranza. E portarono via anche l’inferiata che lo circondava.
M’Arcordo il gran cubone del piedistallo di marmo e rimanevano solo dei tronconi di ferro contorti che dovevano esser stati di sostegno al monumento, era una cosa triste.
Nel linguaggio dei ragazzi di Sansepolcro c’erano due termini specifici: il Parco ed il Giardino, non c’era bisogno di dire altro; il secondo era il giardino Piero della Francesca. Rimasero i luoghi preferiti dei nostri giochi e col crescere anche luoghi dei primi incontri romantici, ognuno offriva angoli riservati. Io aspettavo l’autunno quando il buio arrivava prima ed anche se le panchine di cemento del Parco eran dure e fredde non scoraggiavano le nostre imprese.
Oggi è il 4 novembre, in non è piú celebrato come giorno festivo, di certo ci saranno delle cerimonie commerative . Forse il babbo avrebbe ancora detto che siamo dei cialtroni e non aggiungo per non essere pubblicamente blasfemo quello che penso avrebbe aggiunto. I francesi, gli inglesi (Poppy Day) e gli americani hanno conservato la Rimembranza dei loro caduti, e l’11 novembre per loro è festa, le ostilità finirono “at the 11th hour of the 11th day of the 11th month.”Anche quì a Marblehead ci sarà una piccola parata dei reduci di tutte le guerre per The Armistice Day.
Oggi, come ho fatto in passato, voglio offrire la mia Rimembranza ad Ulisse, il nonno dell’Aidi e d’Attilio ed anche al suo nemico senza nome, l’ufficiale austriaco ed anche a tutti i milioni di caduti di tutti gli eserciti, anche a quelli nemici.
Questi sono i due vecchi M’arcordo… dedicato a loro.
https://biturgus.com/2008/11/04/26a-m’arcordo…il-nonno-ulisse-di-giovanni-acquisti/
(di Giovanni Acquisti)
Le nostre truppe durante la Grande Guerra erano armate con il mitico Carcano 91 lungo, come si vede nella prima foto dei prigionieri austriaci. Anche la sciabola-baionetta era lunga. Io ne ho uno, fabbricato a Terni nel 1895, con bainetta, mi manca solo il caricatore. Lo ricevetti in regalo anni fa dal comandante della polizia di Paterson NJ.
I nostri fanti, come i francesi, gli inglesi ed infine gli americani, indossavano le modeste fascie mollettiere, ed affusolarle perfettamente era un punto d’orgoglio per molti. Si, so mettermele e ne son fiero, ma non a spina di pesce come si vede in certe foto del mi’ babbo; Odilio Goretti cercò di farlo ma poi dovette ammettere che s’era scordato.
Ricordate quando Mussolini minacciò i nemici con otto milioni di bainette? Pensò forse di farlo con sedici milioni di fasce mollettiere?
ed infine dato che in Youtube adesso si trova quasi tutto suggerisco di rivedere “La Grande Guerra” di Monicelli,
http://www.youtube.com/watch?v=YhvD9rGUnrE
4 novembre 2012, Marblehead, MA USA
ftbraganti@verizon.net
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Skype: Biturgus (de rado)
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