116 Non M’Arcordo… del Natale del 1944.
Ero troppo picino e non me n’arcordo. Posso solo immaginarlo seguendo il filo conduttore di quello che poi mi han raccontato e di quello che ho sentito dire. Diciamo che ho libertà di creare e spero di non d’andare troppo lontano dalla realtà che fu. Invece di chiamarla “licenza poetica”, conio un nuovo termine: “licenza d’arcordo”.
Il fronte era passato da poco più di tre mesi e Sansepolcro era occupato dalle truppe alleate. La guerra non era finita, e non era neache lontana. Diciamo che con il freddo dell’inverno era andata in ibernazione. I due eserciti, che si fronteggiavano lungo la Linea Gotica nell’Appennino tosco-emiliano-romagnolo, cercavano di stare al caldo il più possibile. Quella linea aveva tagliato fuori da Sansepolcro quei Borghesi che all’inizio dell’estate avevano deciso d’andare al nord. C’erano famiglie divise fra le due parti e di loro non si sapeva nulla. Quella era anche una tragica guerra civile, fratricida.
Alcuni giovani di Sansepolcro erano caduti in rastrellamneti ed “arruolati” forzatamente dai
tedeschi in ritirata nella cosidetta Organizzazione Todt e portati in montagna a lavorare nelle fortificazione. Fu per loro un inverno freddo e duro e chissa’ che fecero per Natale. Era successo la stessa cosa a mio suocero Roland, lo presero a Le Havre e lo spedirono a costruire il Vallo Atlantico lungo la costa della Normandia; fu quella la volta che incontrò Rommel e dato che parlava tedesco ebbe anche una piccola conversazione con lui, e di questo n’era fiero. Non era mica da tutti d’aver parlato con Rommel, nemico si, ma sempre eroe era: aveva avuto il coraggio de mettersi contro Hitler.
A Sansepolcro si respirava un aria di sollievo, il grande incubo anche se non finito s’era allontanato, almeno d’un po’. I reduci, gli sbandati, quelli che erano rimasti al sud lentamente cominciarono a ritornare a casa. Viaggi epici di gente che artonò anche a piedi da lontano, da molto lontano. Danilo raccontava che, dopo aver traversato a piedi la penisola venendo dalla Calabria, quando fu ad Anghiari trovò uno che gli offrì un passaggio nel sidecar della sua moto. E Danilo lo rifiutò:
“Moh che ho fatto tutta ‘sta fatigheta fin quì al Borgo ci voglio arivere co’ i mi’ piedi.”
Danilo come tanti altri ebbe quella iniziale gioiosa esperienze di rivedere Sansepolcro da lontano inaspettatamente e tristemente turbata. Ma quello non era il paese che aveva lasciato, mancava qualcosa. Ma cosa?
“Oh no!!!!Non c’e’ piu’ la torre!”
Mario arrivò da Selci, lungo l’argine del Tevere passando per il Trebbio e Fernando da San Giustino. In tanti piansero. Ma loro eran stati più fortunati di quelli ch’eran ancora prigionieri lontano con le famiglie che non sapevano s’eran vivi o morti.
Ma molti non ce la fecero, dispersi, morti lontano da casa, lontano da quell’amata torre che come loro non faceva piu’ l’ombra. I morti in guerra non sono ne vincitori, ne vinti, son solo morti. Ogni giorno, in questa casa dove abito, vedo l’immagine incorniciata dell’Oncle George (il prozio di Pascale) che cadde cobbattendo in una delle battaglie de Chemin des Dames, lungo il fiume Aisne, nel 1915. George fu insignto della Medaille Militaire e nell’attestato c’è scritto “Mort pour la France”, aveva vent’anni. Nella cornice c’è anche la medaglia. Aver vinto la guerra ed aver avuto la medaglia alla memoria non credo che fu una gran consolazione per la famiglia.
Quella fu un battaglia memorabile, la notizia arrivò fino a Sansepolcro ed una bambina fu chiamata Aisne, chi se la ricorda? Era un’amica de la mi’ mamma. Allora dalle nostre parti era frequente la ricerca d’un nome che non avesse un santo e ci furono quelli che si ritrovarono bollati per la vita: vi ricordate Belgio?
Per quel Natale del ’44 non ci furono luci o decorazioni per la Via Maestra o in Piazza, ancora piena di macerie che lentamente venivan portate via. La luce elettrica andava e veniva, e di questo me n’arcordo. Quando artonava, dopo una pausa di buio, c’era un grido di contentezza che avviluppava ed univa all’unisono tutto il paese.
In qualche casa forse fecero il Presepio, mi domando se i frati dei Cappuccioni allestirono il loro. Vorrei pensare di si.
Come ho già arcontato un altra volta penso che l’unico albero di Natale, e forse il primo nella storia di Sansepolcro, fu decorato al Circolo delle Civiche Stanze che le truppe alleate avevano requisito. Questo è l’albero dei polacchi, mi domando dove l’avevano trovato? Forse salendo verso Montecasale? Questa foto, assieme ad altre, mi fu data Giovanni Acquisti, erano del su’ babbo Angiolino. Di certo quel Natale del ’44 fu per loro pieno di speranze e si scambiarono gli auguri con la speranza che il prossimo l’avrebbero passato a casa loro in Polonia con le loro famiglie. Quasi tutti eran via da almeno cinque anni. Quei polacchi avevano gli stessi sogni, aspirazioni e desideri dei Borghesi ch’eran da poco ritornati a casa, la sola differenza era che il loro paese aveva un altro nome, probabilmente impronunziable per un Borghese, ed era ancora lontano. Erano arrivati a Sansepolcro con l’esercito inglese dopo incredibili avventure ed il loro futuro era incerto per dir poco. Avevano due governi in esilio, uno in Inghilterra ed uno in Russia (Unione Sovietica), E per loro la fine della guerra, la sconfitta della Germania nazista, fu l’inizio d’una nuova tragedia. Avevano vinto la guerra e perso la pace. Il Natale del ’45 forse fu ancora più triste, molti avevan perso anche la speranza, molti non tornarono mai a casa, alcuni armasero al Borgo e si sposorono.
Noi s’abitava in via della Firenzuola e la nostra cucina era un sottotetto, fredda d’inverno e caldissima d’estate, niente riscaldamento centrale o condizionatore. Quando la Torre di Berta saltò in aria una pietra volò in alto e cadde sul tetto sfondandolo e si posò sul tavolo della cucina senza fracassarlo. Noi quella mattina eravamo nella cantina della casa di Dante Trefoloni per la Via Maestra. l buco rimase li per un bel po’. Il babbo l’aveva fatto coprire con un telo incerato. La mamma diceva che quel pietrone sul tavolo sembrava una marmitta.
Forse per il nostro Natale c’era ancora il buco. Era difficile trovare coppi e tegole, e c’era un frequente rubacchiere da un tetto per accomodarne un altro. Oggi s’andrebbe dal Giorni.
A Sansepolcro di lavoro ce n’era poco. La Buitoni era ancora una montagna di macerie ed è difficile immaginarlo ma c’era addirittura una carestia di pasta.
Una della storie che chiedevo a mia nonna di raccontarmi, anche se l’avevo sentita un’infinità di volte, era quella del ritorno di Pandolo, il vero nome era Vinicio. Ogni volte il racconto si arricchiva di qualche dettaglio che m’era sfuggito in precedenza. Penso che lui, giovane e forte, fosse uno di quelli arruolati nella Todt. Finalmente un giorno artonnò a casa in via santa Caterina e la zia Carolina, ch’era piccola piccola, fu felicissima d’arvedello. Era artonnato!
“Zia, ho tanta fame, ma tanta. Voglio un piatto, ‘na teghemata de spaghetti!”
“Ma io i spaghetti ‘n c’è l’ho mica! I spaghetti ‘n se trovan piu’ da nessuna parte.” Rispose la zia dispiaciuta e sconsolata di non poter accontantere l’amato nipote, il suo eroico reduce.
“Ma alora che c’hai?”
“La farfalline.” Rispose a mezza voce, in imbarazzo.
“Ma come? Le farfalline? Quelle per la minestra?”
“Si. Proprio quelle, e siam fortunati d’avelle. ‘n se trova gnente de ‘sti tempi. Se voi te faccio la pasta con la farina, ma l’ova ‘n ce l’ho.”
Vinicio non ci pensò molto e rassegnato.
“Alora famme quelle. Mica ci ho ‘l tempo d’aspettare che fai la pasta.”
La zia aveva ancora dei pomodori, di quelli che mettevano ‘n bottiglia e gli fece un sughetto veloce.
“Vinicio, ‘l formaggio ‘n c’e”
Non so se rispose, forse fece un grugnito.
Fine della storia: Pandolo se mangiò da solo quasi un kilo de spaghetti che s’erano mimetizzati da farfalline. Poi, forse Via Santa Caterina gli armaneva stretta, fece la valigia e ando’ in Argentina.
Ed io giù grandi risate, grazie nonna Santina!
A Sansepolcro per quanto ne sappia io non si patì la fame, come successe nelle grandi città. La campagna ricca era vicina e quelli che abitavano in paese, anche coloro che avevan guardato con disdegno e pregiudizi i contadini, scoprirono parenti ed amici pronti ad aiutare. Naturalmente il mercato nero imperversava.
L’inflazione, l’avvento delle AM-lire, stampate a ruota libera dagli alleati, che erano una specie di
banconate come quelle che si usano per giocare a Monopoli, aveva polverizzato i risparmi di tanti e come diceva il babbo:
“In poco tempo ci siam mangiati i risparmi di vent’anni.”
E tutto questo con gran tristezza. Lui era stato un buon fascista, ci aveva creduto, “avevamo creato un impero, eravamo rispettai nel mondo e poi… e poi alla fine guarda come siamo andati a finire” Si sentiva tradito, tradito da Mussolini. La colpa era la sua con le sue false promesse; era lui assieme a tutti quei marpioni opportunisti che s’era messo intorno, proprio lui che non era stato un buon fascista. Ma questo che mi diceva l’avrei capito molt’anni dopo.
Non so cosa mangiarono i miei in quel Natale del ‘44 e non importa, ma erano contenti? Anche questo non lo so. La buriana era passata, ma il futuro era incerto e all’appello mancava Tonino della Pieve Vecchia, ancora prigioniero in Germania e non si sapeva se fosse vivo o morto. Ritornò a casa dopo quasi un anno, a settembre del ’45.
E la gente se lamentava? Direi proprio di si, e c’erano tante buone ragioni per farlo, ma c’era anche la riscoperta novità di poterlo fare liberamente. Adesso si poteva parlare senza timori, anche troppo per qualcuno.
Eran passati i tempi di improvvise drastiche punizioni, come quella che capitò ad un Borghese dalla facile battuta. Un giorno, mentre era in barbieria, ebbe l’infausta idea di sussurrare:
“Bravo, allora doveva fare il capostazione.” A quello che poco prima aveva dichiarato che da quando c’era Mussolini i treni erano sempre in orario. Dopo pochi giorni si trovò spedito al confino.
In questi giorni, anzi direi da molto tempo, continuo a leggere di lamentele, tante critiche, commenti negativi, vere proprie invettive, alcune che suggeriscono drastiche soluzione, che secondo me sarebbero ben più tragiche dell’attualità.
Ma come dico sempre, e non mi nascondo dietro la solita affermazione, io son lontano e non faccio commenti ma ‘sta volta formulo una richiesta, almeno nel clima di questi giorni di festa. Ma che non c’è nessuno che possa dir qualcosa di positivo? Di buono? Cercatelo, lo troverete. L’illuminazioene festosa per la Via Maetra è un bel dono che dovrebbe far sorridere,
Per il Natale del ’44 non ci furono luci in piazza o per la Via Maestra, ma non credo che ci fu nessuno che si lamentò di questa mancanza. Esser vivi alla fine della giornata era già un bel dono, come avrebbe detto la mi’ mamma.
Ho visto dalle foto in FaceBook che quest’anno non ci sono più le palle illuminate, ma dei festoni di lampadine. Dopo tutte le lamentele che ho sentito l’anno scorso quando ero a Sansepolcro doversti esser contenti. In tanti mi dissero:
“Ma come son brutte ‘ste palle!!!”
Ed io rispondevo: “A me ‘ste palle piacciono !” e molti me guardarono male. E aggiungo che, rispetto all’illuminazione di quest’anno, preferisco le palle, e i Medici non c’entrano per niente.
Finisco con una richiesta, anzi chiamiamolo fioretto, per queste feste cercate il lato positivo delle cose, con un po’ di volontà e sopratutto d’ottimismo si trova.
Pensate al successo di tutte le varie iniziative degli ultimi anni organizzate da Borghesi per i Borghesi dove tutti sono i benvenuti. Il gran successo di questo è l’amicizia che ci affraterna cementata dal poter ridere assieme.
E m’arcomado tutti al Veglione de la Sporta! E ‘n ve scordete del Borgo Grease.
E infine viva il Solstizio d’Inverno ed anche Buon Natale!
Vedete, questa è la mia prova d’ottimismo.
21 dicembre, 2013, Marblehead, MA USA
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Skype: Biturgus (de rado)
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