120a M’Arcordo…quando il babbo artorna a lavorate alla Buitoni

“Io sono R… il mio nonno era F… il fascista cattivo!”

Queste furono le prime parole che mi disse al telefono. Di certo fu un’insolita maniera di presentarsi, considerando che fino a pochi minuti prima non sapevo neanche che esistesse. Ho subito capito chi fosse e le sue parentele varie son subito diventate chiare. Di quel nonno, che non avevo mai conosciuto, ne avevo sentito parlare molto ed la nomea che aveva lasciato a Sansepolcro non era una delle migliori.

Ma cosa era successo? Circa tre o quattro anni fa mia figlia Tanya, durante un servizio fotografico in un nuovo ristorante a New York, incontrò un signore dal cognome inconfondibile: doveva essere di Sansepolcro… infatti. Mi telefonarono subito dal ristorante stesso e fu allora che R… mi si presentò con quella categorica affermazione.

Fu gentile e mi invitò a pranzo, mi voleva incontrare: io venivo da quel posto di cui aveva tanto sentito parlare e per questo sembrava contento. Lui era nato molti anni dopo la guerra in una città del nord. Per lui io rappresentavo quella cittadina in un angolo della Toscana dove la sua famiglia aveva per tanto tempo vissuto e prosperato. Io venivo da quel posto misterioso che per lui rimaneva luogo lontano ed interdetto.

Mi misi d’accordo con Tanya e nella mia susseguente visita a New York andammo a trovarlo, per pranzo. Le tagliatelline fresche al burro coi tartufi bianchi d’Alba furono l’inizio d’un pranzo memorabile. Mangiare col padrone ti garantisce anche un impeccabile servizio. Si dall’inizio la conversazione fu aperta e senza alcuna esitazione mi ripeté:

“Mio nonno era un fascista cattivo, ma era cattivo non perché fascista ma lo era di natura. Era cattivo con tutti, anche con noi, i nipotini. Lui era eternamente arrabbiato. Ne hai sentito parlare, vero? Di certo male.”

Si, ne avevo sentito parlare ed anche del fatto che aveva avuto vari figli sparsi mai poi riconosciuti. Parlammo a lungo. R. aveva avuto una vita avventurosa ed essere a New York sembrava essere solo un altro capitolo. Ci furono riferimenti alla vita randagia della sua famiglia che sembrava ancora sentire il peso dell’esilio.

“Ricordo che da ragazzo una volta arrivammo col nonno a Sansepolcro da Milano. Era buio e non vidi nulla, eccetto l’albergo. Si unirono a noi un paio di vecchi amici in una saletta un po’ in disparte del ristorante dell’albergo. Ancora, dopo più di trent’anni, si nascondeva.”

Con la fine della guerra venne la resa dei conti. I rancori sopiti spesso esplosero in violenza che infiammarono le parti. Ci furono abusi e vessazioni, spesso furono gli innocenti a pagare per quello che altri avevano commesso. Il momento politico era difficile ed infuocato dalle passioni di parte.

Furono i giorni anche della speranza, in tanti trepidavano aspettando quelli che ritornavano dalla guerra, dalla prigionia. E ci furono anche quelli che non sarebbero tornati e fra questi uno degli amici più cari del babbo, tragicamente morto proprio negli ultimi giorni della guerra, anzi quando la guerra era già finita. Il babbo ne parlava poco, anzi quasi mai, ma ricordo bene se per qualche ragione c’era un riferimento allo scomparso lui si rattristiva. C’era stato il momento della grande scelta, e i due si ritrovarono separati. Che il babbo si sentisse colpevole di non aver seguito l’amico? D’averlo abbandonato? Non lo saprò mai.

Anche nella nostra famiglia c’era ansietà, si aspettava che tornasse Tonino (Antonelli), il cugino prigioniero in Germania di cui non si sapeva se fosse vivo o morto. Ecco un vecchissimo ricordo a cui posso dare una data, solo perché me l’hanno detto: 15 settembre 1945. Il babbo corse in casa gridando:

“È tornato Tonino!” ma questa storia l’ho già raccontata.

Ci furono quelli che rimandarono il ritorno, aspettando che gli odi di parte si attenuassero e quelli che decisero di non tornare mai più, come il nonno cattivo del ristoratore. Fu strano riscoprire a New York, dopo più di sessant’anni, che i ricordi di quel lontano esilio fossero ancora ricordati. Forse la vita avventurosa per il mondo di R… aveva le sue radici in quella affrettata partenza dei suoi nel giugno del ’44, tant’anni prima che lui nascesse.

Non m’arcordo quando il babbo artonnò a lavorare alla Buitoni. Per me ci ha sempre lavorato e per questo lui mi pareva importante. Penso che doveva essere nel 1945 e come lui furono in tanti a cercare di rimettere in sesto l’azienda e ricominciare la produzione il prima possibile. La gente aveva bisogno di mangiare.

Il primo grande evento fu il referendum: Repubblica o Monarchia? Di questo non ne ho memoria, di certo in casa non ci furono dubbi sulla scelta. Per quello che imparai poi, specie per il nonno, non era un discorso istituzionale ma piuttosto un atavico disprezzo per i Savoia. Così il 2 giugno 1946 l’Italia divenne una Repubblica. Immagino che ci furono feste e balli. La gente si voleva divertire. Le ragazze erano in maggioranza ed i ragazzi facevano man bassa: arcattavano. C’era posto anche per i polacchi (truppe nell’esercito inglese)

Il babbo era politicamente fuori gioco, era stato fascista si dall’inizio e ci aveva creduto, anche con una buona dose di conformismo. Ho anche capito tanti anni dopo che intimamente ci voleva ancora credere, molte cose buone erano state fatte durante il regime e me le enumerava, cominciando sempre dale famose bonifiche. Cresciuto con una mentalità coloniale, rafforzata dalla sua esperienza in Libia, aveva creduto quasi in un dovere morale di creare l’impero, di portare la “civiltà”, non eravamo noi i discendenti dei Romani? E così via. Ma poi alla fine si sentiva tradito, soprattutto tradito da Mussolini. Era stato proprio lui che non aveva mantenuto le promesse, che aveva portato il paese in una guerra rovinosa, che aveva permesso di farsi circondare da opportunisti adulatori, corrotti e ladroni. Una delle considerazioni preferita del babbo era quella che chi l’aveva messo in minoranza, chi l’aveva silurato, era stato proprio il Gran Consiglio del Fascismo. Non erano stati i comunisti o i socialisti o democristiani (ancora non si chiamavano così), ma proprio quei fascisti che cercavano di salvare l’Italia, e forse la propria pelle, da ulteriori disastri. Per lui quelli erano stati i veri coraggiosi e non dei traditori da fucilare come furono poi tacciati dai “fedelissimi” repubblichini. 01 luomo-qualunque

In casa si leggeva La Nazione e c’erano in giro sempre molti settimanali, ma quello che mi piaceva era L’Uomo Qualunque con quell’omino schiacciato nella pressa. Poverino! Anche se ero piccolo il babbo mi leggeva le vignette e cercava di spiegarmele, credo che c’era in lui uno smoderato ottimismo sulle capacità intellettive del figlio. Mi parlava sempre come se fossi un adulto.

Una vignetta che ricordo e che mi faceva ridere era quella di Togliatti che andava a letto con Nenni, vestito da sposa con tanto di velo.

I lavori di ricostruzione dello stabilimento Buitoni furono rapidi ed in breve tempo fu di nuovo in funzione. Alcune parti che erano state solo parzialmente distrutte come l’ingresso, gli uffici amministrativi e gli appartamenti della famiglia, furono per il momento solo riparati. Ritornarono in tanti a lavorare, direi che quasi ogni famiglia ne aveva almeno uno. Di certo non mancava la pasta in tavola, Lo spaccio aziendale continuava a sfamare l’intero paese. Ogni dipendente aveva diritto all’acquisto di 20 chili di pasta al mese a basso prezzo. Considerando che erano più di mille non ci vuole Luca Pacioli per calcolare la gran quantità distribuita in paese.

lo spaccio Buitoni

lo spaccio Buitoni

Le prime grandi elezioni della nuova repubblica dalla costituzione fresca furono quelle dell’aprile del 1948, e me n’arcordo benissimo con tutti i muri impastoiati di manifesti. Ovunque c’erano gli scudi crociati della Democrazia Cristiana e quelli con la testa stellata di Garibaldi, simbolo del Fronte Popolare, la grande alleanza comunisti e socialisti, ma poi c’erano anche gli altri, troppi da enumerare. A quei tempi comparve un cugino del babbo da parte di  sua madre di cui non ricordo il nome, era di Siena, era venuto a fare un comizio per il Fronte Popolare. Era un socialista, aveva lasciato il lavoro al Monte dei Paschi ed era emigrato in Francia negli anni trenta. Poi si era arruolato nelle Brigate Internazionali per combattere nella Guerra Civile Spagnola, mentre Umberto, cugino da parte di babbo, era partito volontario nel contingente fascista, diciamo che la famiglia era ben rappresentata ed ancora non sapevo nulla di Dario Taba, cugino del mio nonno materno. Rientrato in Italia dopo essersi unito ai maquis in Francia, e si era immerso con fervore nella nuova vita politica. Con quelle credenziali avrebbe di certo fatto una gran carriera, diceva il babbo, almeno deputato. Non molto dopo quella visita arrivò la notizia che era improvvisamente morto d’un attacco di cuore. Aveva poco più di quarant’anni.

Capii poi che quei giorni che precedettero le elezioni furono di gran tensione, diciamo di paura. Circolò un anonimo foglio con una lista di nomi di quelli che sarebbero stati impiccati all’Arco della Pesa. Mio padre era nella lista. Molti anni dopo, quando il babbo mi raccontò l’episodio, minimizzò il tutto dicendo che era stata di certo la singola stupida iniziativa d’un invasato, dietro al quale non c’era nessun partito, se ci fossero state vendette del genere sarebbero successe prima, nell’estate del ’44.

Diciamo che il babbo era politicamente confuso od era diventato semplicemente un cinico, aveva perso la fede. I due parole potrei definire il babbo era “politicamente orfano”. Temeva l’espansione sovietica e per questo penso che all’ultimo momento, nella cabina elettorale, invece di votare repubblicano mise la croce sullo scudo crociato.

Per Sansepolcro l’evento più importante del 1948 non furono le elezioni, ma piuttosto il terremoto del 13 giugno. Una fatidica domenica mattina, il giorno dopo il memorabile matrimonio di Tonino con la Graziella, fummo tutti svegliati da questo terribile evento. La mamma mi prese in collo e mi porto’ nell’orto del Melandri, il babbo in biciclette corse a vedere come stavano i nostri parenti, gli Antonelli della Pieve Vecchia (oggi l’Oroscopo), che poi ci accolsero ancora una volta, eravamo di nuovo sfollati solo dopo quattro anni dal passaggio del fronte.

Nel mio piccolo mondo di bambino quello fu l’inizio d’una gran bella estate, libero di correre per i campi. Il mio vasto territorio si estendeva dal Fiumicello, Colaccia, la Sassaia fino al Roccolo della Villa Nomi. Ma di questo ne ho già parlato.

La casa dove abitavamo aveva subito dei gravi danni come tantissime altre e la Buitoni stessa. Alcuni come noi avevano trovato ospitalità presso parente o amici che avevano subito meno danni, ma la maggior parte della gente trovò rifugio nelle tende militari che le autorità tempestivamente avevano inviato. Proprio mentre stavo scrivendo questo M’Arcordo… la Giuliana miracolosamente ha ritrovato una foto della tendopoli fuori Porta Fiorentina lungo le mura. Questa è un’immagine ben chiara nella mia mente. 

terremoto del 1948, tendopoli fuori Porta Fiorentina

terremoto del 1948, tendopoli fuori Porta Fiorentina

La gran differenza per il babbo era che doveva far una bella camminata per andare a lavorare. Non avevamo la macchina.

La situazione dopo tutto non doveva esser così brutta almeno per noi infatti a luglio, come l’anno prima andai al mare a Riccione con la mamma, e fu l’inizio d’una tradizione che durò almeno 15 anni, ma anche di questo ne ho parlato. Voglio solo ricordare che c’erano sempre tanti altri Borghesi e la sera camminare nel lungomare di Miramare o Rivazzurra sembrava d’essere per la Via Maestra a Sansepolcro. Il babbo rimaneva a casa, alla Buitoni c’era molto da fare con tre turni di otto ore al giorno, sette giorni la settimana. Per anni non prese le ferie, ci veniva a trovare la domenica.

sul moscone

sul moscone

 

La Buitoni per chi ci lavorava, operai ed impiegati, non era solo un datore di lavoro, era davvero una gran famiglia. Lo stesso tipo di gestione della vecchia famiglia Buitoni che si identificava nel paternalismo bonario del Sor Marco e per un po’ ancora col Sor Gherardo dava un senso di tranquilla sicurezza, ci sarebbe stato sempre un lavoro ed un piatto pieno di spaghetti sul tavolo ed in casi eccezionali di bisogno ci sarebbe di sicuro stato l’aiuto necessario.

A proposito del Sor Gherardo Buitoni debbo aggiungere che il nonno Barbino era il suo fattore, di conseguenza la nostra famiglia era ulteriormente legata ai Buitoni.

il sor Marco al centro con giacca ma senza cravatta

il sor Marco al centro con giacca ma senza cravatta

Dopo l’incubo della guerra ancora vicina, una delle più delle più semplici iniziativa fu quella di fare scampagnate. Pochi avevano la macchina e le montagne vicine erano facilmente raggibili a piedi. Ed il Sor Marco con il suo modo faceto non disdegnava d’unirsi ai suoi operai ed impiegati. In questa occasione andarono ai Pratalti e si tolse la cravatta, il che non era poco.

E questo fu solo l’inizio…

  

 

 

7 maggio 2014, Marblehead, MA USA                                                  

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