123 M’Arcordo…il miracolo economico, anche gli operai della Buitoni si possono permettere la motocicletta.
Penso che fu verso gli inizi degli anni cinquanta che la situazione economica in generale cominciò a migliorare, almeno dalle nostre parti. Erano i primi sentori di quello che poi fu chiamato il “miracolo economico”. Ancora una volta il ruolo della Buitoni con più di mille dipendenti era la forza motrice del benessere locale. E si cominciò a costruire case, case nuove. L’espansione di Sansepolcro che per secoli era rimasto serrato entro le mura medicee era iniziata proprio con l’iniziativa dei Buitoni di costruire alla fine dell’ottocento il nuovo molino, come ancora lo chiamavano, nel lato nord del paese. E case intorno ce n’erano, ma ben poca roba. Quei pochi poderi che ancora esistevano con i campi adiacenti alle mura furono presto veduti e quelli che per secoli erano stati messi a frumento furono invasi da case. E fra queste, come ho già detto c’era anche il Villaggio Buitoni in costruzione.
La tensione fra le varie forze politiche era ancora alta e le elezioni polarizzavano le parti. “Il piccolo mondo di Don Camillo” di Guareschi fu un libro di gran successo, come il film che lo seguì. In fondo Don Camillo e Peppone, vibrante esempio della filosofia hegeliana, erano la sintesi di quell’Italia che aveva bisogno di tutti gli italiani per superare le difficoltà della ricostruzione.
La Buitoni era in una fase di espansione e con questa ci furono molte assunzioni. Soprattutto molte ragazze di campagna lasciarono i campi per andare a lavorare in fabbrica o cucir camicie nella nuova fiorente industria delle confezioni. In molti pensarono, e credo avessero ragione, che il babbo, anche se non faceva parte dell’ufficio personale, aveva una certa autorità nell’assumere il nuovo personale. Sentivo in casa che si parlava sempre di chi veniva a cercar raccomandazioni. Il babbo “incorruttibile” era rigido sul non far favoritismi. Ricordo che una volta si arrabbiò moltissimo quando tornando a casa aveva trovato che una signora aveva lasciato una gran torta come segno di ringraziamento perché la figlia era stata assunta. Il babbo furioso, e questo succedeva molto di rado, obbligò la mamma a prendere il dolce e riportarlo a casa di quella che l’aveva portato. Inutile dire che la mamma doveva sentirsi umiliata.
Ma anche l’incorruttibile babbo non era perfetto, infatti ci fu l’episodio delle sacchette della pasta.
A quei tempi una buona parte della pasta veniva venduta sfusa e non confezionata in scatole eleganti da un chilo o da mezzo chilo. Questa veniva distribuita in piccoli sacchi, penso da dieci o venti chili, ai vari negozi di alimentari. Molto gente preferiva comprarla sfusa per l’ovvia e semplice ragione che costava di meno. Ma chi cuciva quelle sacchette bianche con in un lato stampato in rosso il nome Buitoni? La mi’ mamma con l’aiuto di sua madre, la mi’ nonna Santina. Il mi’ babbo aveva scelto di tenere in famiglia questa piccola produzione. Il salotto piccolo era diventato un laboratorio con due macchine da cucire ed anche io avevo la mia mia parte, infatti avevo la responsabilità di ripiegare le sacchette in pacchi da cinquanta, mi pare, poi le legavo con un filo. Non m’arcordo quando la mi’ mamma prendesse per ogni sacchetta. Questa attività durò per un po’ poi d’improvviso tutto finì, che forse il babbo era stato criticato per questa sua iniziativa, questo suo abuso di potere? Possibile. Ma qualcuno doveva pur continuare a produrre le sacchette ed il babbo diede l’incarico alle monache di Santa Marta. Diciamo che fu una saggia e filantropica decisone che non dava adito a nessuna accusa di favoritismo.
In varie occasioni il babbo, che anche se in chiesa ci andava poco, dimostrò sempre un grande affetto verso le monache di Santa Marta, le sepolte vive come venivano chiamate in famiglia, ed anche verso le monache delle orfanelle. Infatti spesso mandava loro della pasta, quella che s’era un po’ rotta nella produzione, diciamolo pure: faceva il generoso con la roba degli altri. Ho poi ritrovato un bigliettino di ringraziamento in bella calligrafia che la superiora gli aveva inviato con i più sentiti ringraziamenti, considerando la data di questo (1961) vuol dire che questa abitudine durò nel tempo.
E vennero le elezioni politiche del 1953. Noi ragazzi anche se ancora non si votava pensammo che fosse stata un ottima idea d’averle ai primi di giugno, infatti le scuole, da usare poi per i seggi elettorali, furono chiuse con due o tre settimane d’anticipo. Io ero in prima media. Quella domenica mattina il babbo, che mi trattava sempre come se fossi un adulto, mi invitò ad andare a votare con lui, penso che il seggio fosse al liceo-scuola d’arte.
E chi incontrammo sulla porta della scuola? Il Sor Marco Buitoni. Fu un incontrato casuale od era stato programmato in anticipo? Solo tant’anni dopo mi son venuti dei dubbi. Certo che poteva essere stato un caso, ma poi ripensandoci la passeggiata per la Via Maestra doveva esser stata pianificata. Il Sor Marco che viveva nel suo completo isolamento aristocratico non si vedeva mai per il Borgo. Se doveva fare delle spese assieme alla signora Tina andava a Firenze dove aveva un appartamento. Ma quella domenica mattina fu differente si mise a passeggere con noi per la via Maestra. Non ricordo di che parlassero ma so che tutti ci salutavano e spesso si fermavano a scambiare qualche parola con i passanti. Fu quella una manovra propagandistica del “padrone” che voleva farsi sentire vicino alla comunità? e che soprattutto non temeva i risultati?
Il punto d’incontro di vari gruppi di dipendenti erano le attività ricreative e sportive (CRAL) con scampagnate, gite e pellegrinaggi, queste continuarono con maggior enfasi quello ch’era iniziato prima della guerra.
Credo che fu proprio il mio babbo che con la sua esperienza di cacciatore aveva una buona conoscenza delle colline e poggi intorno a Sansepolcro iniziò una tradizione che poi sarebbe durata pe anni a venire: la famosa fragolata. Una domenica mattina di luglio un folto gruppo d’operai, impiegati con famiglia partivano con un camion che li portava a Viamaggio e da li si sparpagliavano in certi luoghi dove avrebbero raccolto le fragole. Io non ci sono ami andato. Quello era il periodo in cui io e la mi mamma s’andava al mare. Questo era un evento che con gli anni era divenuta una vera tradizione, un appuntamento da non perdere. Il babbo era previdente e portava sempre il siero antivipera.
Il mi’ babbo con gli occhiali è al centro in prima fila fra la Teresina e la Silvia. Ancora ho quel bastone che la Teresina tiene in mano e che il babbo, che non parlava tedesco ed un po’ snob, chiamava “alpenstock”.
Anche se col nuovo benessere non erano molti quelli che si potevano permettere una modesta automobile furono in tanti quelli che comprarono la motocicletta. Quelli che avevano cominciato con modesti motorini passarono alla Vespa e alla Lambretta, vespisti e lambrettisti erano diventati delle fazioni politiche. Il mi’ babbo, che nel dopoguerra aveva ancora una motocicletta Ganna gigantesca e scalcinata, comprò poi una Vespa 125, era il 1952, credo. Altri non si accontentarono di semplici scooter ma acquisirono vere motociclette. La Moto Guzzi 500, quella rossa col volano luccicante, era all’apice dei miei desideri, ma pochissimi se la potevano permettere.
Cominciarono in quegli anni le grandi manifestazioni motocicliste degli impiegati ed operai motorizzati. Sotto gli auspici benevoli del Sor Marco, che aveva voluto dare ad ogni partecipante una fiammante tuta azzurra con la gran scritta Buitoni sul davanti e sul di dietro, i partecipanti si radunavano, sempre di domenica mattina, davanti allo stabilimento per iniziare una gran gita snodandosi in una gran fila aperta da una pattuglia della Polizia Stradale. Il numero uno era sempre il Balicchi, era lui con la sua imponente Harley Davidson, credo fosse un surplus dell’esercito americano, che guidava gli indomiti centauri propagandisti Buitoni. Io andavo sempre a vedere la partenza ed avrei tanto voluto che il babbo mi avesse portato con lui. Il sor Marco seguiva sempre l’evento in macchina e si univa alle sue maestranze per pranzo, poi alla fine era sempre lui quello che pagava il conto. Considerando le strade di quei tempi le escursioni si limitavano ad un territorio facilmente accessibile. M’arcordo che una volta andarono ad Urbino ed il mi’ babbo raccontava che sembrava non finir mai. Un’altra volta andarono al Lago Trasimeno.
Nella foto (1954) col Sor Marco al centro col berretto da operaio sulla sinistra si vede la famosa Harley Davidson del Balicchi e dietro c’è il mi’ babbo con la Vespa 125.
Ma poi per c’erano quelli che non avevano la motocicletta e per loro il CRAL (il dopolavoro) sempre con l’aiuto dell’azienda organizzava gite in autobus come quella a vedere le corse automobilistiche a Senigallia (1954), e questa volta il mi’ babbo mi ci portò, credo fossi l’unico “ospite” e mi sentivo speciale, importante.
Non si erano dimenticate le donne e per loro organizzavano pellegrinaggi, come la volta che andarono a Loreto e Cascia. Questa volta il babbo ci portò la mamma.
E poi, per quanto mi ricordi, le gite finirono e non so perché.
26 giugno 2012, Marblehead, MA USA
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