Grazie Uguccione! La tua “Pallina Colorata” mi ha fatto resuscitare tante memorie delle Fiere di Mezza Quaresima, che non ricordavo d’avere.
Le Fiere erano un importante evento nel ciclo della mia infanzia ed adolescensa. Per inquadrare questo periodo nel tempo, si parla dal secondo dopoguerra al 1960 circa. Erano parte d’un rituale sicuro: arrivavano quasi sempre a marzo e le aspettavo con trepidazione. ‘l mi’ nonno la chiamava con un altro nome: le Fiere dei Fichi Secchi, ma questa e’ un’altra storia.

Via Maestra dal Fiorentino, Fiere marzo 1966
Sognavo la via Maestra affollata di banchini pieni di giocattoli, di frullini, di palline colorate, di pistole e fucilini a tappi e a cappellotti, di croccanti, e di tanta mercanzia, ma non come oggi, eravamo ancora in un’era preplastica. E tanta gente, una gran folla, che camminava su e giu’ in continuazione. Avrei incontrato tutti i miei amici, avrei discusso con loro gli ultimi giocattoli, avremmo guardato la ragazzine che passeggiavano come noi.
Prima c’era l’attesa. Domandavo ai miei quando sarebbero venute le Fiere, e la risposta non era importante perche’ mi sembravano sempre troppo lontana nel tempo. Ma poi, quasi all’improvviso, c’era il primo segno dell’evento: l’arrivo dei “carrozzoni”, ovvero delle giostre, degli autoscontri, dei tirasegni, di quei marchingegni per misurare la forza dei giovanotti. Questi si piazzavano fuori Porta Fiorentina, principalmente lungo le mura sia dal lato del Viale della Stazione sia dal lato dell’autostazione, che ancora non esisteva. Mi sembra si posizionassero piu’ o meno sempre nello stesso luogo. La giostra con i cavalli bianchi e neri impennachiati era appena fuori la porta, sulla sinistra uscendo, lungo le mura, di rimpetto al cinema Iris. Ricordo d’ esser cosi piccolo, forse 5 anni, e mia madre girava con me e mi teneva mentre ero in sella del cavallo nero, il cavallo nero era il piu’ bello di tutti, era bellissimo. Zorro aveva un cavallo nero! Poi finalmente fui grande abbastanza da cavalcare da solo, ed fra un giro e un altro c’ era una gran corsa per accaparrarsi il cavallo nero; purtroppo non ero il solo ad aver quella passione. Piu’ giu’, sempre lungo lo stesso lato delle mura, davanti al Batti (vinaio) ed al Vannini (camionista) si impiantava l’autoscontri e questo era per i piu’ grandi. Considerando che i miei genitori non avevano intenzione di fare un giro con me, toccava ai miei cugini piu’ grandi di portarmici. Passaron gli anni e finalmente fui grande abbastanza da andarci con qualche amico. Poi l’autoscontro si sposto’ verso il Piazzone, davanti al Telebar, che ancora non c’era. Nel dopoguerra non c’era ancora nessuna costruzione dietro il cinema Iris, solo i campi di Violino. C’erano delle case dall’altro lato del Piazzone, oltre il giardino, e c’era anche il cinema all’aperto Biturgia, con le sedie durissime ed era aperto solo d’estate.

Calciinculo a Porta Fiorentina, marzo 1966
Ritorniamo alle Fiere. Uscendo dalla porta, subito sulla destra lungo le mura, dove c’era ancora l’abbeveratoio per i cavalli, montavano la giostra con i soggiolini appesi a catenelle. I famosi “calci ‘n culo”. La proibizione d’andarci non m’era di peso: non mi piacevano. Sempre sulla destra, piu’ su verso la cannoniera, come ho gia’ detto non c’era ancora l’ autostazione, montavano la gran tenda del Circo Falorni. Da quel lato, lungo le mura c’era ancora un officina d’un fabbro, che ferrava cavalli e bestie varie e che faceva anche i cerchi di ferro per le ruote dei carri. ‘L mi’ babbo mi diceva sempre che il Falorni era cittadino onorario di Sansepolcro e che poteva venire ad impiantare la sua tenda quando voleva e non pagar nulla. Aveva acquisito questo onore e privilegio perche’ al tempo del terremoto del ’17 si trovava al Borgo ed avevo offerto di trasformare il suo tendone in un ospedale da campo. Lo spettacolo del circo era fantastico, c’ erano donne bellissime su bianchi cavalli, c’ erano le scimmie, i pagliacci che facevano ridere, i cani che saltavano e poi c’ era il trapezzista muscoloso che vestito, si fa per dire, da Tarzan, faceva evoluzioni incredibili alla corda, che per me era una liana, ed il suo grido della jungla era il piu’ potente del mondo.

Circo Falorni, da una cartolina 1920-’30
Poi finalmente arrivava il giovedi, il primo giorno delle Fiere, e tutta la Via Maestra si popolava di banchini. Ma ancora non ero contento, anzi per un po’ ero tristissimo: non era giorno di festa e si doveva andare a scuola. Era una mattinata tragica, quasi come quella del 7 gennaio, il giorno dopo la Befana, quando finivano le vacanze di Natale e si doveva ritornare a scuola. Era pura crudelta’ rinchiuder i bambini in classe, noi seduti sui banchi mentre gia’ i banchini erano tutti allienati e pieni di mercanzie. Ero il giorno piu’ lungo. Poi finalmente suonava la campanella e noi si sortiva di corsa, come un’ orda di barbari pronta al saccheggio: la fiera era tutta nostra fino sera. Di soldi non ne avevo e cosi per ogni cosa che volevo dovevo chiedere, implorare il soccorso dei genitori, che per i miei gusti erano sempre gran tirchioni. Quanto ho sofferto per per una pistola a cappellotti. Paolo e Sergio ce l’ avevano e la volevo anch’ io. Che gioia quando alla fine me la comprarono!
C’ erano i banchini dei fichi secchi, e credo che gli ambulanti che li vendevano fossero romagnoli. Si mettevano proprio all’ inizio della Via Maestra, proprio dopo essere entrati da Porta Fiorentina sulla destra, fino a Via Giordano Bruno. Quello che poi divento’ il regno di Mangiamesse. Molti anni piu’ tardi uno mi racconto’ una storia fantasiosa: Borgo San Sepolcro era nato come paese mercato nel basso medioevo, come punto di incontro della compra vendita dei fichi secchi. I saraceni avevano dei depositi di fichi secchi lungo la costa adriatica, che poi vendevano nell’ entroterra, ed ecco perche c’ e’ anche Mercato Saraceno dall’ altra parte del passo di Verghereto. Nessuno mi ha mai confermato la veridicita’ di questa storia. Pero’ e’ una realta che allora per le fiere c’ erano ancora molti banchini che vendevao i fichi secchi.

Mangiamesse, venditore di fichi secchi all’angolo di Grigino, marzo 1966
Un altro banchino che non mancava mai all’ appuntamento era quello del Bottacci di Figline, che vendeva forbici e coltelli bellisssimi di tutte le misure. Ma aveva anche una buona selezione d’ occhiali da leggere. Mio nonno si fermava sempre a parlare col Bottacci e provava gli occhiali. Mi sembra che tradizionalmente si mettesse davanti alla farmacia Galardi. Un anno ricordo che in piazza, all’ angolo di Biagiarino, c’ era un negro, forse fu la prima volta che ne vidi uno. Durante il passaggio del fronte ricordo d’ aver visto indiani col turbante dalla barba lunga e nera e scozzesi col gonnellino, ma non ricordo nessun negro. Cosi questa fu una gran novita’. Questo negro sfoggiava un gran sorriso con dei denti perfetti e bianchissimi, un suo compagno bianco convinceva la folla a comprare un dentifricio speciale che avreme ridato a tutti un simile spendore.
Poi venne il 1953, ed il giovedi, primo giorno delle Fiere, era il 19 marzo: San Giuseppe…il santo aveva fatto un miracolo…festa! Niente scuola! Che bellezza, ragazzi! Avremmo potuto goderci tutta la giornata. Forse é una coincidenza che avviene ogni 200 anni.
Quella giornta memorabile la cominciai con ‘l mi’ nonno Barbino. Mio nonno aveva allora 79 anni ed anche se di nome si chiamava Luigi, rispondeva solo al soprannome di Barbino. Lui non aveva nessuna barba e questo soprannome derivava da quello di suo pardre, detto Barbone, perche’, secondo le storie dette in famiglia, aveva una barba che gli arrivava all’ ombelico, e quando era freddo e tirava vento se la metteva entro il gile’, ma chi sa se poi questa e’ una storia vera. Non ci sono foto di lui; mori nel 1893. Mio nonno, che portava sempre un gran cappello nero, in inverno il rotolo’ e fumava in continuazione la pipa o i sigari toscani, come suo padre faceva il sensale. Le Fiere di Mezza Quaresima erano anche una grande fiera di bestiame ,che nel dopoguerra si svolgeva a Porta del Ponte, dove c’ era anche la pesa. Prima della guerra e per tantissimo tempo la fiera del bestiame s’ era tenuta al Piazzone, ovvero in quel rettagolo aperto, fuori Porta Fiorentina, dove durante la prima guerra mondiale c’ era stato anche l’ accampamento dei soldati. Questa era una giornta importantissima per un sensale. Ricordo che quando arrivammo nello spiazzo di Porta del Ponte, uscendo sulla destra, dal lato della segheria, c’ era una gran massa di bestiame, tutte le vacche e i buoi erano bianchi, razza chianina. Mio nonno mi fece salire su una catasta di legna della segheria per veder meglio. Era come in un film di cowboys, sembrava una mandria senza fine. C’erano anche cavalli da tiro, muli ed asini ma non molti. Mio nonno salutava tutti, conosceva tutti. Io lo seguivo con orgoglio, lui, con un altro paio di sensali, il Magni ed il Cica avrebbero determinato la giornata secondo la piu’ elementare legge dell’ economia: la legge della domanda e dell’ offerta. Loro avrebbero deteminato se i prezzi dovevavno salire o calare. Ricordo che ad un certo punto portarono in giro per il campo un gran toro bianco. Due forti giovani lo tenevano per la catena, questa finiva con un anello al naso. Mi sembro’ enorme, immenso, terrificante. Mi face paura. Era il toro della monta.
Il primo giorno delle Fiere era certo il piu’ bello ed eccitante. Quando arrivavamo alla domenica eravamo soddisfatti, anche se non volevamo ammettere d’ esser stanchi di girar fra in banchini e di andare alle giostre.
E la domenica pameriggio il tutto si concludeva con la tombola. Qua’ e la’ per il paese comparivano delle persone che sedute ad un tavolino portatile, con un gran registro e con penna e calamaio, accettavano le scommesse per la tombola. Rilasciavano allo scommettitore una cartella con i numeri scelti, ed allo stesso tempo li registravano nel librone. Non ricordo il costo d’ una cartella, ma se ne comprava sempre una. Poi per l’ ora stabilita il largo davanti al Palazzo delle Laudi, il Duomo e Piazza Garibaldi si riempiva di gente. Sembrava che tutto il Borgo fosse la’. E tutti guardavano verso le scale del comune dal alto di Piazza Garibaldi, allora il comune era dove oggi c’ e’ il museo . Il gran cartellone con i novanta numeri rigirati verso il muro troneggiva in cima alle scale. I novanta numeri errano individualmenti arrotolati e messi in un’ urna di vetro che si poteva girare con un manovella e questa operazione veniva ripetuta ad ogni estrazione. Tutti volevan essere sicuri che fossero ben mischiati. Poi finalmente la tombola iniziava con il primo numero sorteggiato. Un donzello comunale lo gridava alla folla, mentre un altro rigirava lo stesso nel cartellone. I premi mi sembra fossero quattro: terzina, quaterna, cinquina e tombola. Ad ogni vittoria il fortunato saliva di corsa, facendosi spazio nella calca, ed in cima alla scalinata faceva vedere la sua cartella vincente ai giudici. Ed alla fine, quando si sentiva il grido sovrumano “Tombolaaaa!” questo era seguito dal mormoria della massa contrariata perche’ non aveva vinto. E con questa nota malinconica di non aver vinto la tombala si concludeva il tutto, ma con la certezza che fra un anno le Fiere sarebbero ritornate e che allora seguendo il consiglio del Conte di Monte Cristo non ci rimaneva altro che dire a noi stessi: “Aspetta e Spera!”
Ma col tempo e con l’ avvento dell’ adolescenza, gli interessi si allargarono. Uno degli argomenti piu discussi erano le ragazze del tiro a segno, sempre bellocce e provocanti, che con voce seducente invitavano i giovannotti a tirare. Anni piu’ tardi, quando vidi Sofia Loren nella “Riffa” di De Sica (Boccaccio ’70), le mie memorie e sopratutto i miei desideri mal repressi per quelle ragazze, ritornarono tutti con gran vigore alla memoria. Me ne ricordo una che venne per anni, con i capelli neri corvini e con un gran ciuffo che le copriva parte del volto. Mi sembrava cosi bella e misteriosa. Con il mio amico Sergio si passava in continuazione davanti al suo banco da tiro, ma non ci sian mai fermati. L’ altro gran passo nell’ evoluzione degli interessi furono le ragazze che camminavano nella calca della fiere, una breve e sfuggente carezza del tutto “casuale” sulla coscia o sul sedere avrebbe mandato brividi d’emozione che ci avrebbero turbato per ore. Una volta in cui un mio strofinamento non passo’ per casuale mi presi un bel ciurlone sul collo, ma fu come una ferita di guerra che il soldato mostra con orgoglio.
Passarono gli anni ed io andai a Firenze all’ universita’ e le Fiere si allontanarono, o meglio io mi allantanai da loro. Solo molti anni piu’ tardi a New York, nelle lunghe conversazione sul Borgo che facevo con Gabriella Piomboni, le Fiere spesso risaltavano fuori e ci ripromettevamo che un giorno ci saremmo ritornati assieme, ma ancora non l’ abbiamo fatto.
Mi domando, se forse un giorno saro’ al Borgo per le fiere, come mi sentiro’. Forse riscrivero’ tutto questo da un nuovo e differente punto di vista.
Fausto Braganti
Marblehead, MA (USA) 11 marzo 2008
Se volete, mi potete scrivere:
PS: Ho poi scoperto che Renato Falorni (della famiglia del circo) viene ancora alle fiere, adesso hanno gli autoscontri.
marzo 22, 2012 alle 6:12 am |
proprio un bel tuffo nel passato! Grazie!
marzo 22, 2012 alle 6:39 am |
complimenti complimenti sono cosi’ ben descritte con tutti i particolari mentre leggo sono talmente presa che perdo anche il senso del tempo secondo me lei e’ un bravissimo scrittore
marzo 23, 2012 alle 5:39 am |
Sei forte nello scrivere, nel raccontare ed inoltre riporti alla luce delle foto che ricordano il fico secco e la bancarella di “Mangiamesse”
marzo 23, 2012 alle 8:23 am |
Caro Marco, certo quel giorno del marzo del 1966 non pensavo di immortalare (almeno per un po’) il mitico Mangiamesse. Come vedi adesso ho inserito il nome nella didascalia della foto,
GRAZIE per avermelo arcordato, mica m’arcordo de tutto e e de tutti.
marzo 30, 2012 alle 8:32 am |
Leggere i tuoi “m’arcord”è come vedere un film di Pupi Avati. Saresti un ottimo sceneggiatore, magari lo sei e sono io che non lo so! Grazie, nuovo amico!
marzo 30, 2012 alle 10:20 am |
Patrizia, essere paragonato a Pupi Avati e’ il miglior complimento che potevo ricevere, credemi sotto i miei grandi bianchi c’e’ un gran sorriso di soddisfazione.
marzo 13, 2013 alle 7:44 am |
Un bel racconto da scrittore che scrive di getto. Il circo Falorni: qualcuno della famiglia aveva “preso moglie” in Alta valle del Tevere e, spesso e a lungo, il circo ubicava il suo tendone a Lama(Pg) sia per la facilità di utilizzare il…mercato (spazio) sia perchè qualcuno della famiglia aveva prima la fidanzata e poi (credo) la moglie. Gli indiani che avevi visto durante la guerra, te lo dico con tanta stima ed affetto, forse sono stati falsati nella memoria da immagini successive. La mia famiglia ospitava, si fa per dire, gli indiani dell’esercito inglese in quel di Lama. I Sik (credo si scriva così) per rispettare la loro religione portavano i capelli lunghi, ma l’ufficiale inglese che ogni giorno veniva a controllarli con lo scudiscio sotto braccio (il più pregiato era ricavato dal pene di rinoceronte) non permetteva nè capelli lunghi, nè barba lunga. Così loro, sotto il turbante portavano un lunghissimo codino sulla testa rapata, alla Palacio (giocatore dell’Inter). Gli indiani, ci davano le sigarette “V” dal pacchetto da 10 giallo o azzurro o rosso ci facevano mettere le mani nei sacchi pieni di noccioline americane senza guscio, ci davano biscotti e strane palle di caramelle appiccicate fra loro. Avevo 6 anni circa, un indiano, Brus, mi insegnò a sparare sia col mitra sia con un fucile tedesco che aveva preso ad un prigioniero. Con quest’arma andavamo a pescare mettendo la punta della canna sotto l’acqua. I pesci venivano a galla forse con la vescica natatoria fuori uso: E’ logico che imparai anche a fumare. Per ora saluto. Carlo Cristini
marzo 26, 2020 alle 10:35 am |
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