07 M’ arcordo…’l Lili, la Lambretta e la Vespa.

‘l Lili era picino picino, e faceva l’ operaio alla Buitoni. Era di Porta Romana e di cognome si chiamava Dindelli, ma non ne ricordo il nome. Questo non era importante, tutti, da sempre, lo chiamavano Lili. Considerando la sua statura e la sua fisionomia impersonò l’esiliato re Vittorio ad un storico veglione mascherato che fecero al teatro Dante per celebrare la fine della guerra e l’avvento della repubblica. Chi lo vide in quell’occasione raccontava che sembrava proprio il re. Ad un certo punto della festa fecero il processo al re e fu condannato a morte. Il plotone d’ esecuzione si mise in fila su un lato del palcoscenico e sua maestà ‘l Lili dall’ altro lato, pronto a superare con coraggio e a testa alta quest’ ultima prova. Così il re fu abbattuto da una scarica di tappi di spumante.

Quello che racconterò in questo “m’ arcordo” si riferisce agli anni ’50.

Con le prime tiepide serate di primavera si cominciava ad uscire dopo cena, eravamo ancora in un’era ante televisione. Questa era arrivata verso il  ’53, ma pochissime erano le famiglie che se la potevano permettere. Spesso s’ andava al caffè, ma non tutte le sere; infatti altre volte s’ andava a veglia, specialmente d’ estate, all’ incrocio di Via degli Aggiunti con Via Luca Pacioli (da tutti detta del Fiorentino), ma questa è un’ altra storia. Andare al caffè, e ce n’ erano diversi, era un’ importante attività,  oserei dire di carattere sociale. C’ era una pecisa linea di separazione fra chi andava al caffè e chi andava all’ osteria (ne parleremo un’altra volta; a quel tempo al Borgo non c’ era bisogno di stranieri per esternare pregiudizi e razzismo di classe). Al caffè si mantenevano cordiali rapporti con gli amici ed era il luogo dove gli ultimi pettegolezzi del paese venivano commentati, e dove lo sport faceva alzare la voce più della politica. Noi, senza una ragione specifica, s’ andava spesso da Bruno (Fiordelli) Pasticciere. Questo aveva un caffè per la Via Maestra, dove poi è venuto il Chieli. Uscendo dal caffè sulla sinistra c’ era Amerigo il barbiere, poi c’ era il Gori delle ferramenta, mentre sulla destra c’ era un fruttivendolo. Per me era il luogo preferito: Sergio, il figlio di Bruno, era il mio compagno di banco e così si poteva chiacchierare, andare a spasso ed assieme condividevamo la sbocciante curiosità dell’ adolescenza. La nostra principale attività era quella di guardere le citte, che passeggiavano in continuazione, per farsi vedere, ma questo ancora non l’ avevamo capito.

E proprio li, al caffè di Bruno ogni sera compariva ‘l Lili e subito si metteva dietro a mio padre che spesso faceva la partita a scopa probabilmente con Vitellino (Ruggero Ruggeri) per vedere chi pagava il caffè. ‘l Lili rispettosamente chiamava mio padre “Sor Braganti” e faceva apertamente il tifo per lui, forse solo perchè era il suo capo. Rimaneva in piedi, sempre in silenzio fino alla fine, quando celebrava la vittoria di mio padre come fosse la sua e si sentiva personalmente sconfitto se perdeva.

Per noi ragazzi curiosi, anzi affamati di tutte le informazioni che potevamo raccogliere, il Lili rappresentava una insostituibile sorgente di conoscenza. Lui andava al casino ad Arezzo! Lo tiravamo da una parte e lui ci raccontava tutto, e noi a bocca aperta ad ascoltarlo. Lo incalzavamo di domande, da lui volevamo sapere i dettagli e la nostra immaginazione faceva il resto.

Il Lili aveva la Lambretta e ’l mi’ babbo aveva la Vespa. I Vespisti e i Lambrettisti erano come due partiti, forse sarebbe meglio dire due fazioni. Abbiamo tradizione molto antiche, ci piace da sempre dividerci in parti. I Guelfi e Ghibellini ci hanno indicato la strada. Non voglio parlare dei partiti politici in questa occasione, ma posso solo dire che certe posizione ed accanimento di parte avevano toni faziosi da medioevo. Noi ragazzi, già alle elementari, ci si divideva: “Marina o Aviazione?” era la domanda a cui dando una risposta o un’ altra ti garantivi un amico o ti assicuravi un feroce nemico. Poi c’ erano “Coppi o Bartali?” Per sostenere il mio omonimo non potevo non essere altro che un Coppista. Questa scelta mi garantiva di sicuro tanti nemici; infatti vivendo in Toscana la gran maggioranza tifava per il fiorentino Bartali. Ed il Lili era un accanito Lambrettista, ma questo non diminuiva il suo rispetto per mio padre.

La guerra era ancora un ricordo vicino ed accomunava un po’ tutti il sapere d’ averla superata. Anche se le cose non andavano bene, era sempre meglio della guerra. La gente cominciava a sentirsi più sicura, e proprio agli inizi degli anni cinquanta ci fu il boom degli scooter e Vespe e Lambrette sostituirono le biciclette, dando un più largo margine d’ autonomia. Poi dopo una diecina d’ anni venne il turno della 5cento e della 6cento.

Già nell’ anteguerra il Dopolavoro Buitoni aveva organizzato memorabili gite con la corriera. Dopo guerra, ma non subito, questa tradizione fu ripresa. Ricordo che nel ’54 ‘l mi’ babbo mi portò ad una di queste gite, a vedere una corsa d’ automobili, al famoso circuito di Senigallia. Immaginate: c’ era anche una donna che correva! L’ evento più emozionate fu una macchina che andò dritta ad una curva, imbarcando un montagna di balle di paglia, ed ottime le lasagne che ci diedero per pranzo, ma forse era solo fame.

Poi cominciarono la gite in motocicletta. Tutti i dipendenti motorizzati con scooter o motociclette di tutte le marche e cilindrata erano invitati a partecipare a queste manifestazioni. Tutti furono forniti d’ una tuta blu con tante chiusure lampo ed un caschetto di pelle con scritto Buitoni. Il Lili ed il mio babbo facevano parte di questa squadra. La carovana si organizzava davanti all’ entrata dello stabilimento, quando era ancora di rimpetto a via Giovanni Buitoni. La fila dei motociclisti si allungava dalla spiazzo lungo la Tiberina fino alla fortezza. Il numero 1 era il Balicchi (??). Questo aveva un’ enorme Harley Devidson. Un cimelio di guerra, con il cambio a mano sul lato del serbatoio. Era giusto che per la sua mole fosse in testa alla fila. Mi piacevano anche le Moto Guzzi. La 5cento rossa con il volano cromato era bellissima. Il motore faceva un rumore caratteristico che mi ricordava quello d’ un trattore Landini a testa calda. Sognavo che un giorno, da grande,  ne avrei avuta una. Un sogno che non si è mai realizzato.

Poi c’ era un segnale e tutti mettevano in moto e la colonna si muoveva. Come avrei voluto essere col mi’ babbo! Per me il tutto aveva un senso d’ eroico, e durante la giornata cercavo di immaginare i motociclisti che scalavano montagne e che correvano veloci per le valli. E c’ era anche ‘l Lili. Si diceva che mio padre gli raccomandasse: “Lili, metti i sassi ‘n tasca, se no’ ‘l vento te porta via!”

D’ estete io e la mamma s’ andeva al mere a Miramare; ‘l mi babbo veniva a trovecci cola vespa la domenica matina. ‘l Lili gli chiedeva sempre:

“Sor Braganti, me porti al mare, da solo ho paura de perdime”

Così ‘na volta ‘l Lilli e ‘l mi’ babbo partirono dal Borgo assieme per venicci a trovere: ‘l mi’ babbo davanti colla Vespa e ‘l Lili de dietro colla Lambretta. ‘l mi’ babbo gliva detto:
“Lili, stamme dietro, te guarda la mi’ schina e vedi che ‘n te perdi quando s’ ariva a Rimini.”
Parole sante! Quando ‘l mi’ babbo arivò a la pensione era solo. L’ iva perso! Per fortuna ‘l mi’ babbo gliva deto l’ indirizzo. Era l’ ora de mangere, e ‘l Lili ‘n se vediva. ‘l mi babbo s’ era ‘ncominceto a preoccupere, ‘l Lili ‘n si vedeva. Ala fine, era quasi notte, arivò, stracco e straluneto. Zeppeva la Lambretta, ‘l Lili ‘n’ era forte!
Quando era arivato a Rimini, a ‘n semaforo c’ era ‘n gran casino de traffico, e aveva sbaglieto schina (e Vespa) s’ era messo dietro a uno che arsomigleva al mi’ babbo.Quando sono arriveti al parcheggio dela porta de San Marino, alora ci se
poteva ancora andere, e’ sceso e con soddisfazione:
“Sor Braganti semo arivi?”
Immaginate la faccio de quel’ omo sconosciuto, l’ avrá guardeto sorpreso: “ma che vole ‘sto saleme?”

Per artornere giù da San Marino a Rimini e poi a Miramare ci mise tutta la domenica, fin che finì la benzina e dovette zeppere la Lambretta e nessuno sa chissà a quante persone avrà chiesto l’ indirizzo. Ala fine sono stati carabinieri che l’ han portato fino all’ inizio de la via.

Poi gli anni son passati e mio padre comprò l’ automobile e la Vespa GS è diventata la mia. Gli anni son passati e fu venduta. Dopo tanti passaggi la mia Vespa, dopo esser passata a Paolo Mariucci, arrivò infine a Giorgio Besi. Questi. agli inizi degli anni ’90. mi chiese se la volevo ricomprare e purtroppo non lo feci. E’ sparita nel nulla. Ma forse, voglio almeno sperare, è proprio la mia quella che è finita al Museum of Modern Art (MOMA) di New York: un classico pezzo da museo.

So che poi il Lili finalmente si sposò e che comprò un’ Ape. Vi prego, fatemi sapere il resto della storia.

8 maggio 2008, Marblehead

I vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese.
Grazie a Giovanni, che mi ha stimolato la memoria.
Mi raccomando, scrivete, e scrivetemi con i vostri commenti!
Fausto Braganti

 

 

 

 

 

ftbraganti@ verizon.net

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