Sono nato la notte del 17 marzo 1941, alle 00:30 (dopo mezzanotte) a Sansepolcro, tempo di guerra e c’era l’ora legale, gli orologi erano stati messi un ora avanti. Secondo il mi’ babbo quella era un’ora fasulla, cosi quando ando’ in comune mi denuncio’ nato alle 23:30 del 16 marzo. Quella era l’ora vera, solare, non quella politica.
L’Italia era già in guerra da 9 mesi, ma era ancora lontana. Al Borgo ancora non si sentiva troppo, a parte tutti quelli che avevano ricevuto la cartolina ed eran partiti e le famiglie che trepidavano per loro. Però c’era l’oscuramento: così son nato al buio, come me diceva ‘l mi’ babbo. Sono nato in casa, come era di moda a quei tempi, con il provvidenziale aiuto della Rosina levatrice. A quei tempi si nasceva quasi sempre nel letto matrimoniale, dove i genitori ti avevano concepito e dove spesso morivano. I miei nonni paterni avevano regalato quel letto monumentale al mio babbo, al suo ritorno dalla Libia nel 1925, con l’augurio che si sposasse presto, ma lui ci mise 12 anni per decidersi. Il letto era stato decorato con degli intagli dall’allora giovane ebanista maestro Medici.
Son nato al numero 1 di Via Roma, nel Palazzo delle Laudi oggi il palazzo comunale, in quello che credo oggi sia l’ufficio del segretario comunale, nella camera da letto dove era morto uno degli ultimi Marini. Tutto quello che scrivo è basato su storie sentite raccontare in famiglia sperando che siano corrette. Arduino Brizzi, ancora adolescente, che a quei tempi abitava in Via Buia dove dava la finestra della nostra cucina, spesso mi raccontava che presto al mattino apprese della mia nascita.
A quel tempo il palazzo era ancora proprietà privata di Serse Bartolomei e ‘l mi’ nonno Barbino (Luigi Braganti) era il suo fattore. Questi gli aveva concesso di abitarci e non pagava l’affitto. Il gran salone, oggi usato per il consiglio comunale, faceva parte del nostro appartamento. Quando la nonna Vittoria morì nel gennaio del ‘42 fecero un catafalco sul tavolo da biliardo che stava al centro del salone. ‘l Sor Serse e sua moglie, la Signora Sofia (una Buitoni, figlia del Sor Gherardo) non stavano molto nel palazzo. Passavano gran parte del tempo nella villa di San Martino, oltre Gragnano e nella casa di Firenze. La signora Sofia odiava lo scampanio del duomo. Mia madre diceva che si metteva dei tappi di cera nelle orecchie, e che una volta han dovuto chiamare il medico per toglierli, s’erano strutti. Nel palazzo abitava anche la mamma di Serse, l’anziana Sora Carolina, fpiccola piccola. A lei le campane non davano fastidio, che la sora Carolina fosse sorda? Ma forse la Signora Sofia non voleva stare con la suocera. Da uno stretto corridoio, a cui si accedeva da una porticina nascosta, si arrivava ad un terrazzino che dava direttamente nella navata sinistra del duomo, da lì la Sora Carolina seguiva la prima messa, senza uscire di casa.
La Sora Carolina aveva avuto due gemelli maschi di primo parto: questo le dava poteri magici. “Cavava le malie!” come affermava mia madre e la sua specialità era guarire i sofferenti di sciatica, facendo degli scongiuri e saltando sulla schiena del malato senza camicia sdraiato per terra. Poi aggiungeva che il sabato mattina, giorno di mercato, la cucina sembrava un ambulatorio, tanti contadini chiedevano di vedere la Sora Carolina, lei avrebbe dato consigli e trovato una soluzione ai loro problemi. Inoltre la mamma mi raccontava che quando era incinta di me passava molto tempo con lei. Un giorno le chiese di spogliarsi, la volle tutta nuda lì in cucina. Dopo averla fatta camminare ed una attenta analisi della forma del ventre, da tutti i punti di vista, le disse con sicurezza che sarebbe nato un maschio. Quella volta ci azzeccò, in fondo aveva il 50 per cento di probabilità d’aver ragione. Poi c’erano la Cesira, la cuoca e suo marito Riccardo che era l’uomo tutto fare. Nel palazzo c’era una gran caldaia a carbone e Riccardo era anche il fuochista. Questa era una delle pochissime case del Borgo con l’acqua calda. Questo fu un gran salto di qualità per mia madre; lei veniva da Via San Puccio, da una casa senza acqua corrente, si doveva andare a prenderla con la brocca all’angolo del Crudo marmista (Via Santa Caterina). In giro per casa c’erano sempre altre ragazzette, figlie di contadini, che venivano a dare una mano. Ancora oggi alla mia tenera età quando incontro per il Borgo la Luigina, spesso mi sento dire: “io t’ ho pulito ‘l culo, t’ho cambiato le ludre”. Scusate la disgressione, torniamo indietro.
A mia madre la casa non piaceva, a parte l’acqua calda, era troppo grande ed era fredda, gli alti soffitti rendevano il riscaldamento inefficiente. Così diceva, ma forse la vera ragione era un’altra: vivere con la suocera. La nonna Vittoria non era una donna semplice. Questa era una Laurenzi e veniva dal Monte Santa Maria. La famiglia una volta stava bene, possidenti e con le pretese dei signorotti di campagna. Lei era stata a scuola e ci teneva a dire che lei leggeva La Nazione tutti i giorni e che era ben informata. Suo padre, il mio bisnonno Valentino, era stato bersagliere e con Cialdini alla battaglia di Castefidardo e con Vittorio Emanuele era andato incontro a Garibaldi fino a Teano. Era poi rimasto nell’esercito ed aveva partecipato alla campagna di repressione del “Brigantaggio Meridionale”. Fu ferito ad una coscia durante la Terza Guerra d’Indipendenza. Essendo invalido di guerra, a parte la pensione, gli avevano concesso l’appalto di sale e tabacchi al Monte. Credo che non lo tenne per molto, in fondo si sentiva troppo signore per fare il bottegaio. Campò fino a 91 anni, gli morirono quattro mogli, la quinta donna si rifiutò di sposarlo, portava male, e si mangiò tutto quel poco che gli era rimasto. Ma di tutto questo ne riparleremo ‘n’ altra volta. Volevo solo dire che la nonna Vittoria aveva pretese da gran signora, ed il fatto che abitava, anche se non era il suo, in un palazzo al centro del Borgo, aumentava il suo orgoglio. Per lei mio padre non si era sposato alla sua altezza, la mi’ mamma era un’operaia della Buitoni, veniva da Via San Puccio, almeno fosse stata una maestra come la zia Tecla, la moglie di Angelo, il fratello grande del babbo. In poche parole credo la disprezzasse. Solo alla fine, quando malata di pericardite, scoprì che mia mamma era attenta e buona e che le fu vicina fino alla fine e per questo le fu grata: lasciò a lei gli orecchini d’oro e corallo ed altri gioielli
Ma ritorniamo a quella notte, 16-17 marzo 1941. Il parto fu semplice e mamma e bambino stavano bene, così confermò la Rosina levatrice. Mio babbo lavorava alla Buitoni ed entrava con il primo turno, quello delle 5:00. A quel tempo c’erano tre turni d’otto ore ciascuno, 7 giorni alla settimana: produzione di guerra.
C’era un solo problema: che nome dare? Se fosse nata una bambina i miei genitori erano d’accordo: sarei stata Laura, niente male, mi sarebbe piaciuto essere Laura. Il problema era il nome per il maschio, ‘l mi’ babbo aveva in mente nomi patriottici che mi avrebbero poi perseguitato per tutta la vita. Immaginate esser chiamato Isonzo, che fa anche rima con stronzo! Così i due erano in una posizione di stallo.
Verso le 4:30 uscì dal gran portone sotto le loggie e si incamminò verso lo stabilimento camminando nel buio più completo, conosceva la strada a memoria. Di certo tutto fiero: era diventato babbo d’un maschio! Nell’oscurità sentiva i passi d’altra gente che si incamminava verso la Buitoni. Nell’oscurità senti una voce:
“Sor Braganti, è lei?”
“Si, so’ io!”
“Alora, è nato?” tutti al Borgo sapevano che la mi’ mamma stava per partorire ed aspettavano.
“Si è proprio nato ‘sta notte, è un maschio!”
“Congratulazioni!”
Mio padre si era avvicinato e più dalla voce che dalla fisionomia aveva riconosciuto che l’interlocutrice era la signora Fausta Menci che andava al lavoro.
“Fausta…Fausto?” pensò mio padre “Mi piace, Fausto mi piace!” e cosi ritornò di corsa a casa. Salì in camera e chiese a mia madre:
“Ho trovato un nome, che ne pensi di Fausto?”
“Si, si mi piace molto!”
E cosi divenni Fausto. Per fortuna ‘l mi’ babbo non incontrò una signora di nome Ermengilda od Adalgisa!
PS: nel dicembre 2012, durante un mio viaggio a Sansepolcro, andai a trovare Fernando Leonardi, bersagliere novantenne che mi raccontò le sue avventure di guerra in Libia, che ho poi raccontato in un M’Arcordo… Quando entrai nell’appartamento Rita, la moglie, mi accolse con un gran sorriso e subito mi disse che lei si ricordava il giorno ch’ero nato. Fui sorpreso, molto sorpreso, alla mia età non succede spesso.
Fu così che quel pomeriggio non solo appresi l’imprese di Leonardo ma tante informazioni sulla mia famiglia a tempi che abitavano nel Palazzo delle Laudi. La mamma di Rita ancora bambina lavorava alla Buitoni. Al mattino molto presto la lasciava alla porta del palazzo e lei saliva di corsa per le scale buie, aveva paura, fino alla cucina al secondo piano. Faceva delle piccole faccende domestiche e fra queste c’era anche quella di cambiarmi i pannolini. Mi domando s’era più brava della Luigina. Rimaneva fino a quando la mamma ripassava a prenderla alla fine del suo turno. Rita mi ha riconfermato che nel gran salone, quello del consiglio comunale, c’era davvero un tavolo da biliardo, grande e monumentale, e che su quello fu allestito il catafalco della nonna Vittoria morta (gennaio 1942).
13 luglio 2008, riscritto 17 marzo 2014
Marblehead, MA USA
ftbraganti@ verizon.net
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