20 M’Arcordo……quando s’andava al mare – terza e ultima puntata.

 

            Nell’estate del ’54 avevo 13 anni ed ero in attesa d’andare in terza media. Quell’anno ero cambiato, cambiato dimolto. Come ho già raccontato avevo scoperto dei libri erotici del mi’ babbo ed all’improvviso ero diventato un avido lettore. Quello che mi piaceva di più, penso che lo sapevo a memoria, era “Le Memorie di Fanny Hill, Ragazza di Piacere”. Poi c’erano i libri di Mario Mariani, Pitigrilli ed altri, infine trovai due grossi tomi come “Fisiologia della Donna” e “Fisiologia del Piacere”. Leggevo di tutto e di nascosto. C’erano anche le riviste dove spesso pubblicavano fotografie in bianco e nero di attrici con scollature senza fine o in costume da bagno e queste stimolavano la mia curiosità e…la mia immaginazione. Martine Carol, sempre con le tette quasi tutte di fuori, era la mia attrice preferita. A quei tempi non c’erano riviste con donne nude. Un giorno, sfogliando le pagine del”L’Europeo” mi trovai davanti la Maya Desnuda di Goya in tutta la sua gloriosa nuditá…. fu una visione, oserei dire, traumatica. Allora mi misi a spulciare i libri d’arte per scoprire dipinti e sculture di donne nude o quasi. La Venere di Cirene, quella che dopo un lungo soggiorno romana fu ridata a Gaddafi, era la mia peferita, anche senza testa e senza braccia. Forse anche lui, quando era adolescente, aveva avuto fantasie come le mie, ecco perché aveva tanto insistito per riaverla.   

            Scusate, come al solito sto divagando. Ritorniamo a Miramare, lascio tutto questo per un’altro m’arcordo.

            Quando arrivammo in pensione, penso fosse nel primo pomeriggio, scoprii che il contingente milanese dei Caporali era già li. Cercai subito Giovanni, lui era un pochino più grande di me, ma non lo trovai. Mi dissero che forse era in spiaggia. Ero grande abbastanza da poterci andare da solo, dovevo solo promettere di non fare il bagno a stomaco pieno, mi sarebbero venuti i grampi e sarei di certo morto affogato.

            Trovai subito Giovanni, ma non aveva costruito nessun castello o pista per giocarci con le palline. Se ne stava seduto con la schiena poggiata ad una cabina e con lui c’era ‘na citta, era ‘na citta del Borgo credo, anche lei un pochino più grande. Lui aveva un braccio attorno a lei  e questa poggiava la testa sulla sua spalla, e parlottavano a bassa voce. Giovanni non fu entusiasta di vedermi, anzi mi diede uno sguardo con un chiaro messaggio: “tu sei ‘n citto picino, levati dalle scatole!”.

            Inizió così una nuova vita sulla spiaggia, avevamo subito un’evoluzione d’interssi ed anche se a quel tempo non lo capivo, anche le citte erano cambiate. Prima erano come due gruppi ben separati: i citti giocavano con i citti e le citte con le citte; ora non più, si cercava di stare assieme.

            Si giocava con la bottiglia. Formavamo un circolo, seduti sulla sabbia, un citto e una citta alternativamente. Poi si prendeva una bottiglia qualsiasi e si faceva girare e si sperava che quando si fermava puntasse verso ‘na bella citta. Allora ti alzavi ed andavi a baciarla, innocentemente. Poi toccava a lei a far girare la bottiglia e di sicuro aveva simili pensieri di baciare quello che le piaceva di più. Se la bottiglia indicava uno dello stesso sesso, il giratore doveva fare la penitenza.

            Una delle attività preferite di noi ragazzi era quella di guardare le donne, di scoprire quelle che avevano un due pezzi, e non c’erano ancora bikini. E parlavamo di donne, sempre. Fu allora che un ragazzo forse 3 o 4 anni più grande mi spiegó che cos’erano le mestruazioni. Interessante, pensai, molto interssante: ecco che cos’erano quelle pezze che avevo visto appese al filo dei panni.

            Le nostre conoscenze erano del tutto teoriche, basate su confusi sentito dire,

ma c’erano due livelli di intersse ben definiti, le donne e le citte. Quello che desiseravamo di fare con le donne era differente da quello che pensavamo avremmo fatto con le citte. Poi alla fine non si faceva niente con nessuna. Poi c’era il problema delle mamme: erano donne anche loro. Almeno io non avevo il problema d’aggiungere le sorelle alla lista. Ma di questo non se ne parlava. Se io ero curioso di qualche altra mamma non volevo che i miei amici lo fossero della mia. Lei era intoccabile. Questo é un discorso delicato e complesso, parliamo d’altro e non precipitiamo nel freudiano.

            A quei tempi le donne non si radevano, e se riuscivamo a notare almeno un pelo che sortiva dal costume da bagno era un evento memorabile. Quando molt’anni dopo una citta mi confessó che anche loro facevano la stessa cosa. Loro guardavano chi aveva il gonfiore più rilevante e questo mi sorprese, io che pensavo che fossero così innocenti. Quello che notavamo di più nelle nostre coetane era il seno che cresceva, ed ogni stagione si controllava quanto era cresciuto dall’estate precedente.

            Poi c’erano le cabine dove si andava a cambiarci. Speravamo sempre di trovarne una con una fessura che permettesse di vedere cosa succedeva in quella accanto. Si facevano un attenta ispezione delle cabine e delle loro potenzialià. C’erano quelli che usavano il temperino per migliorare il punto d’osservazione. Poi ci si appostava sdraiti vicino alla cabina in attesa che la preda cadesse nella trappola. Appena l’oggetto delle nostre concupiscenze chiudeva la porta si correva nella cabina accanto con trepidazione. Non ricordo d’aver avuto mai gran successo, anche perché l’ho fatto poche volte ed avevo paura d’espormi al rischio d’essere scoperto.

            Anni dopo, ero già all’università, vidi in un brevissimo film (Les Mistons ) di Francçois Truffout, uno dei suoi primi, e fui così sorpreso, sembrava che il regista mi avesse seguito. Un giorno a Miramare mi ritrovai nel dietro della pensione, dove c’era una porta di servizio che portava in cucina. Allora notai un ragazzo che odorava il sellino d’una bicicletta. Mi vide e mi fece un gesto con la mano di avvicinarmi, ma allo stesso tempo mi fece anche quello di star zitto. Poi puntando al sellino mi invitó a fare lo stesso ed obbedii. Poi mi bisbiglió che quella era la bicicletta d’una delle belle cameriere e che si poteva sentire il suo aroma. Non ho memoria di nulla di particolare. Mi sono allontanato mentre lui continuava a fare il cane da tartufi. Nel film c’é una scena dei ragazzi  che odorano il sellino della irrangiungibile e bellissima ragazza, che loro seguivano ovunque.

            Con l’adolescenza vennero nuove necessità, gli orizzonti si erano allargati, avevamo bisogno di più libertà e le mamme che continuavano ad esercitare per quanto possibile il loro potere non si volevano arrendere.

            La sera cominciavamo ad uscire da soli in piccole bande e s’andava al cine all’aperto e poi anche a ballare. Il mio amico più caro di quei tempi era Sergio, il figlio di Bruno, ci dicevamo tutto. A Miramare aveva scoperto un barrettino vicino all’aeroporto. Lo avevamo ribattezzato “Il Lambrusco”. C’era un giradischi e si poteva ballare. Per la prima volta usai l’inglese:

“Do you want to dance with me?” e la ragazza come per miracolo mi capì e si alzó e ballammo assieme. Era un’austriaca, di Vienna, bellina da morire. Potevo fare la stessa domanda in francese, ed anche in tedesco. Mi sentivo così internazionale. Ma come al solito ‘n’ arcattavo gniente! Anche perché non ci provavo, non avevo ancora imparato a fare il prossimo passo.          

 

Un altro evento di quegli anni di mezzo fu la scoperta che l’immaginazione é qualche volta più importante della realtà. Un giorno andammo in pizzeria, fu in quei tempi che assaggiai la pizza per la prima volta. Non c’erano pizzerie al Borgo. Eravamo seduti intorno a dei tavoli quando notai due belle ragazze sedute al banco su degli alti sgabelli. Una aveva i calzoni corti e potevo vedere tutte le sue gambe, mentre l’altra aveva una gonna, un po’ sellevata da una parte che lasciava intravedere una fetta di coscia. Scoprii quel giorno che era più eccitante quardare quella con la gonna, anche se l’epidermine esposta era minima in confronto all’altra.

La spogliavo con la mente: in fondo tutte le donne erano nude, nella mia testa, eccetto la mamma, naturalmente.

            Un anno non andammo al mare e non so perché, ed io andai al campeggio con Don Giacomo alla Cella di Sant’Albrigo, dietro le Balze, ma questa é un’altra storia.

 

 

            L’anno dopo 1960 ritornammo al mare, a Rivazzurra. Ai quei tempi veniva anche il babbo e rimaneva tutta la mesata. I miei genitori facevano le lore cose ed io facevo e mie. Ero grande. Certi giorni ci incontravamo solo per i pasti. Quell’estate mi innamorai, mi innamorai perdutamente della Silvana, una trentina della mia età. Era con un gruppo di ragazze della stessa città. Che tristezza il giorno dell’addio con la promessa di scriverci, a quei tempi non c’erano telefonini, messaggini ed e-mail. Mi mancava così tanto ed alla fine dell’estate non ce la facevo più. Parlai col mi’ babbo, che dimostró tanta comprensione. Così presi il treno ed andai a Trento. Il mio primo viaggio da solo, Firenze non conta. Che emozione entrare in albergo e chiedere una camera e tutti che ti danno del lei. E seguendo il consiglio del babbo, la sera misi le scarpe fuori della porta, ed al mattino le trovai belle pulite. L’incontro con Silvana fu deludente, l’estate  era finita. Fu carina e gentile, incontrai i genitori, ma lei era differente. Non ci fu nenche un bacio. Poi capii dalla Flora, una delle sua amiche che cercava di tutto per sostituirla con me, che Silvana aveva una specie di fidanzato, uno molto più grande, un medico e che sicuramente l’avrebbe sposato. Io non feci nulla con Flora e triste presi il treno di ritorno. E quella mattina prima di partire, vedere il luogo dove Cesare Battisti era stato impiccato, non m’aveva tirato su di spirito.

            Nel ’61 andai al mare da solo e rimasi solo pochi giorni, mi preparavo per andare all’università. Di quell’estate ricordo Pallino, quello che faceva il cassiere in banca ed amico di famiglia, con cui condivisi la camera. Ascoltai tante storie della Campagna di Russia, in fondo c’era stato solo vent’anni prima e mi sembrava così remoto nel tempo. Oggi ventanni non mi sembrano così lontani.

            Nell’estate del ’62 venne anche la mamma, e mi sentii fuori luogo. So che lessi molto. Le mie sortite con un’amica coetanea, anche lei all’università, non ebbero gran seguito. Anche se lei mi piaceva non mi sentivo di far nessuna mossa e lei non mi incoraggió a farlo. Andammo a ballare in un night e mentre Felix Chimenti suonava il piano e cantava imitando Armstrong fummi quasi sul punto di pomiciare. Sembrava che volessimo convirci che era la cosa giusta da fare, ma poi sapevamo che non lo era, almeno nel nostro caso. Una sltra volta andai con Franco, lui aveva la 500, a ballare in un posto a Riccione, dove secondo lui, s’arcattava. Ed io, come al solito, ‘n’arcattai niente, anche perché non ci provavo.

            Ancora non sapevo che quella sarebbe stata la mia ultima estate sull’Adriatico.

            Venne l’estate del ’63 e per una strana situazione dovetti andare a dormire all’ostello di Firenze e quella fu la gran scoperta: c’era tutto un altro mondo di giovani venuti da tutte le parti che giravano alla scoperta del mondo. Una sera proprio li a villa Camerata, sotto Fiesole, incontrai Susan, una giovane californiana. Parlammo forse 10 minuti e Susan cambió la mia vita Lei aveva traversato gli Stati Uniti con l’autostop, traversato l’Atlantico in una nave cargo, viaggiato fino a Firenze, per poi continuare verso Brindisi, cercava di raggiungere Alessandria in Egitto per poi traversare l’Africa per finire a Citta del Capo…. ed io cosa evevo fatto? Io era andoto al mare dalle parti di Miramare. Certo ero pronto a cambiare, ma ancora non lo sapevo….. Quell’estate cominciai a fare l’autostop anch’io, ma questa é ‘n’altra storia.

 

6 ottobre 2008, Marblehead, MA USA  

                                                                                     

I  vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese. Mi raccomando, scrivete!

Fausto Braganti      

ftbraganti@verizon.net

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