De persona non l’ho mai ‘ncontreto, ma me sembra d’avello conosciuto bene. Forse é solo un’illusione nata dal desiderio.
Ma cominciamo da capo. Come tanti cittini dei miei tempi la prima canzoncina che ho ‘mparato, forse solo dopo “Girotondo…”, é stata:
Garibaldi ‘n cima al monte,
i tedeschi alla pianura
Garibaldi ‘n’ ha paura
De le palle e del cannon
Con la camicia rossa
E pantalon turchini
Evviva Garibali
E i suoi garbaldini!
Forse me l’aveva insegnata la mi’ nonna Santina, quella di Via San Puccio a Sansepolcro.
Ma che strano portare i pantaloni turchini! Io d’inverno portavo quelli alla zuava ed erano sempre di velluto a righe, marroni o verde scuro. Poi, dopo tanto tempo, proprio qui negli Stati Uniti dove abito ho scoperto che i pantalon turchini non erano altro che gli antenati dei nostri blue-jeans.
Non preoccupativi, non scriveró una nuova biografia di Garibaldi, lunga come quella del Conte di Monte Cristo. Voglio fare una carrellata veloce di come la mia vita si sia incrociata, anche se non proprio con la sua almeno con la sua memoria.
Non so quando ho visto per la prima volta il suo volto barbuto, ma mi sembra d’averlo sempre conosciuto. In un qualche libro c’era un disegno di Garibaldi, adolescente a Nizza, che salvava una povera lavandaia caduta in un fiume in piena. Mi piaceva moltissimo, era l’eroe perfetto.
Subito dopo il passaggio del fronte (1944-45) c’erano ancora truppe d’occupazione alleate in giro, come i polacchi dell’esercito inglese. ‘l mi’ babbo comprava e non so da chi, delle sigarette al mercato nero. Certe volte portava a casa dei barattoli da 50 sigarette “Player’s Navy Cut”, che nell’etichetta avevano un marinaio barbuto, incorniciato da un salvagente, che assomigliava ad un Garibaldi giovane. Anche questo per me era un grande eroe. Se avessi saputo leggere ne avrei avuto una conferma da quello che é scritto nella fascia del cappello: Hero. Così a quattro anni decisi che da grande anch’io mi sarei fatto crescere la barba e per anni ho atteso che qualche peletto spuntasse sotto il naso o sul mento.
A otto anni feci cresima e comunione. Poche settimane prima dell’evanto scoprirono che c’era un problema tecnico: non ero andato al catechismo e Don Bista (mi sembra che si chiamasse così l’arciprete del Duomo) era piuttosto refrattario ad accettarmi nel gruppo dei candidati. I miei genitori si incontrarono con Don Bista e raggiunsero un compromesso: mi diede delle lezioni private e così dopo due settimana, faci cresima e comunione. Con le cerimonie vennero i regali e questo era il bello della festa. Volevo tanto una penna stiligrafica e i miei me ne regalarono una ed aveva il pennino d’oro. Mi ritrovai con diverse catenina d’oro, ma con queste non ci potevo giocare. Mi regalarono anche un libro e lo lessi, e pensare che a quei tempi non volevo leggere niente. Il titolo era: “Cinque Ragazzi Garibaldini”. Erano le avventure, certo imbellite, dei cinque piu’ giovani soldati della spedizione dei Mille. ‘l più picino era ‘n citto d’undici anni, ed era partito col su’ babbo. Dopo aver letto questa storia il fatto che ‘l mi’ babbo mi portasse a pescare a la Tignana o a la Sovara non mi pareva gran che. Qui accanto vedete la copertina, purtroppo sparcai la mia facendoci cadere la bottiglina dell’inchiostro, mi domando se successe proprio quando ricaricavo la famose penna stilografica dal pennino d’oro.
A scuola ero sempre un po’ svogliato, ma non lo fui mai quando si studiava storia, in particolare quella del Risorgimento.
Quando fecero “Lascia e Raddoppia” al cinema Aurora mi misi a studiare come un matto perchè volevo partecipare come un esperto sul Risorgimento. Ma smisero prima del mio turno.
In terza liceo cercai di farmi crescere i baffi e solo una misera peluria comparve sopra il mio labbro. Non fu una buona idea, non c’erano precedenti nella storia del liceo di Sansepolcro: uno studente che si faceva crescere i baffi, inaudito! Uno dei professori telefonò ‘l mi’ babbo per digli che doveva intervenire, non davo un buon esempio. ‘l babbo non intervenne e non mi disse niente, lo seppi anni dopo. Li tagliai solo perchè ero ridicolo.
‘l sor Licinio Mangoni era un anziano signore ed amico di famiglia ed era uno degli ultimi, come mio nonno, che portava il fiocco nero alla Lavallier tipico dei repubblicani e degli anticlericali. La sua casa, giù per il Borgo Nuovo era pieno di cimeli risorgimentali e Garibaldi era dappertutto. Aveva una ricca bibliotecas e fu lui che mi prestò dei libri scritti da Jessie White Mario, la moglie del garibaldino Alberto Mario. Questa inglese si fece quattro campagne come infermiera.
Nel maggio del 1960 era il centenario della Spedizione dei Mille mi diede “Noterelle d’uno dei Mille” di Cesare Abba e mi suggerì di leggerlo giorno per giorno seguendo la cronologia giornaliera degli eventi, cominciando dal 5 maggio. Seguii il suo consiglio. Quell’estate mi feci crescere la barba per la prima volta. Chi mi conosceva allora forse si ricorda la era po’ rossastra, ma adesso é diventata bianca come i capelli: succede a quasi tutti quando si diventa grandi, eccetto a Berlusconi.
Poi quando sono andato a vivere a Londra scoprii che Garibaldi era ben conosciuto in Inghilterra. In qualsiasi negozio d’alimetari si potevano comprare i biscotti Garibaldi, ripieni di marmellata di fichi. Non so se esistono ancora, In Svizzera c’erano i sigari Garibaldi, erano del tipo Virginia, quelli con la pagliuzza.
Sempre in Inghilterra avevo un amico, Lawrence Barfield, un professore che poi (1990) divenne famoso perche’ fu uno dei primi a studiare l’uomo dei ghiacci ritrovato sulle Alpi. Fu proprio lui che mi fece vedere la sua collezione di libri garibaldini, in particolare i tre volumi su Garibaldi di G.M.Trevelyan . Questi all’inizio del secolo, quell’altro, si fece a piedi da Roma a San Marino e poi da Marsala al Volturno. Mi misi subito a cercarli e alla fine li trovai in una libreria di Boston. Una vera bibbia garibaldina.
La prossima estate , seguendo la sua descrizione della ritirata da Roma a San Marino, vorrei organizzare una marcia da Castiglion Fiorentino a Bocca Trabaria, questo per celebrare il 160simo anniversario dell’evento.
Per il 50simo compleanno il mio amico Sacha Gassel, un pittore russo restauratore di icone, mi fece un iconico Garibaldi, come fosse un santo della chiesa ortodossa. C’é chi appende al muro Sant’Antonio o Padre Pio, io ci ho messo Garibaldi.
A New York una volta sono stato invitato a pranzo ad un club italiano molto esclusivo: “Il Tiro a Segno”, fondato nella seconda metá dell’ottocento sotto il patrocinio di Garibaldi che donò loro un fucile, oggi in una bacheca all’ingresso. C’è anche un altro museo con delle camicie rosse nella casa di Meucci a Staten Island, ma non ci sono andato andato, lacuna da colmare.
Infine in Washington Square c’è il monumento. Mia figlia ha fatto questa foto solo pochi giorni fa. Come mi ha poi detto camminava per la piazza e vedendo Garibaldi con la spada sguainata ha pensato a me, e proprio quel giorno ho ricevuto anche l’invito per l’inagurazione del monumento di Garibaldi al Borgo, che coincidenza.
Sabato prossimo, 11 ottobre, nella sala consiliare del Palazzo delle Laudi di Sansepolcro ci sará una cerimonia per l’inigurazione del monumento a Garibaldi. Purtroppo io non ci sarò. Il Borgo è un po’ in ritardo nell’avere un monumento, ma meglio tardi che mai, specialmente di questi tempi; c’è chi dice che Garibaldi è passato di moda. Mi raccomando, non mancate all’appuntamento, tutti nella sala consiliare alle 16:30.
Proprio li, in quell sala che noi chiamavamo del biliardo, fecero il catafalco della mi’ nonna Vittoria che morì nel gennaio del 1942, ma questo non c’entra niente.
9 ottobre 2008, Marblehead, MA USA
I vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese. Mi raccomando, scrivete!
Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
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