38 M’Arcordo… Gino macellaino (Tarducci)

Avevo iniziato questo “M’Arcordo” mesi fa e poi é rimasto a dormire con altri. Fa parte d’un gruppo di storie su personaggi mitici del Borgo, di cui vorrei scrivere, ma per ora sembrano presi da uno stato di ibernazione.

Immaginate volevo resuscitare Gino in 4 o 5 pagine! Forse era solo un illusione di sintesi che mi faceva pensare che fosse posssibile, ma forse smisi proprio di scrivere perché sapevo nel mio intimo che sarebbe stato impossibile.

Ora mi sento più tranquillo. La scrittrice Monia Mariani, che fino a pochi giorni fa non sapevo che esistesse, ha pubblicato il suo primo libro, dedicato proprio a Gino Tarducci e lo ha brillantemente intitolato “Il Maestro”. L’ho saputo, leggendo Saturno Notizie, la mattina dello stesso giorno della presentazione del libro nella sala esposizioni del Palazzo Pretorio. Non ci son potuto andare, so’ on po’ lontanino. Non l’ho letto, quindi non posso fare nessun commento ecceto quello che posso immaginare la difficoltá di sintetizzare le avventure del nostro eroe senza diventare prolisso e spendersi nelle diluggaggini. Son curioso di leggere come abbia saputo destingure la storia dei fatti e l’immaginazione, che Gino fece diventare storia.

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Gino. Ginino, macellaino da Grigino (ma quanti “…ino”) nel luglio 1988

 

Queste sono alcune note del mio: M’Arcordo…de Gino.

 

Non credo che c’erano rimaste molte persone al Borgo che si ricordano del mi’ nonno Barbino, morto nel ‘60. Il Tarducci antiquario, conosciuto come Gino “il Macellaino” era uno degli ultimi e spesso me lo ricordava con affetto e sopratutto con rispetto,

“’l tu nonno era onesto, un fattore onesto non é facile da trovare. Quando faceva ‘na senseria lui, potevi star tranquillo ch’avevi pagato ‘l giusto”

Si riferiva a tempi lontani quando comprava ‘na bestia per la macelleria.

Ma poi cambiò carriera, ne cambió diverse ed infine divenne un antiquario. Penso che ció che caretterizzó la sua vita, qualsiasi cosa facesse, era il suo desiderio d’esser libero, libero sino alla fine.

Gino conosceva tutti, forse anche quelli che non aveva mai incontrato, ma questo é solo un dettaglio irrilevante.

Un paio d’anni fa se n’é andato anche lui.

Credo che sia comune ad ogni Borghese che sta lontano di seguire un suo specifico rituale quando artorna a casa. E son sicuro che é lo stesso per la gran maggioranza di quelli che tornino al paese, qualsiasi esso sio. Nel mio rituale, che cominciava col far la Via Maestra verso sera per incotrar gli amici, c’era la mia fermata obbligatoria al suo negozio: dovevo andare a trovarlo. Fu proprio durante una di queste visite, circa trent’ anni fa, dopo un breve saluto mi portò nel dietro del suo negozio.

“Vieni. Ti faccio vedere ‘na cosa, ma te non devi dire gnente a nessuno” ora, dopo tanto tempo, mi sento libero di raccontare quello che vidi. Tirò fuori da un mobile un vaso da notte. Era bello ed elegante col coperchio, decorato e dal manico molto elaborato, certo era un vaso destinato alla pipì di gran signori, che poi è dello stesso colore di quella dei poveri. Lo scoperchiò e mi mostrò il contenuto: era pieno fino a metá di scudi (5 lire) granducali d’argento, con le effigi di Ferdinando III e Leopoldo II.

scudo-leoploldo“Ma dove li hai trovati?” chiesi dopo un momento di silenzio, ero sorpreso.  Poggiò il vaso su un tavolo, era pesante.                                  

“Non sono i miei, e non te lo posso dire. ‘l tu’ nonno Barbino ci stava seduto sopra!” 

Non sapevo cosa dire. Ne presi alcuni in mano, erano in ottime condizioni.

“Vendimene uno.”

“Non posso, ‘l padrone l’ha contati (e me disse ‘l numero esatto che non m’arcordo, mi sembra che fossero circa 300) e li vol vendere ‘n blocco. ‘n vol capire che buttandone tanti sul mercato ‘l prezzo va giù.”

“Ma come sarebbe a dire ch’l mi’ nonno ci stava seduto sopra.”

“’n te lo posso dire.”

Prese il vaso e lo rimise nel mobile.

Passarono gli anni e più o meno ogni volta che lo rivedovo gli domandavo degli scudi. Mi disse che li aveva restituiti al padrone e non sapeva che fine avessero fatto. Ma quello che mi interessava di più era la storia del mi’ nonno che ci stava seduto sopra. E lui ogni volta rispondeva:

“’n te lo posso dire!”

Poi alla fine venne il momento della veritá. Pochi anni fa lo incontrai, mi domando se fosse proprio l’ultima volta che l’ho visto, e mi invitò ad andare con lui in macchina verso il Trebbio, andava a cercare delle erbe aromatiche, che avrebbe usato per condire quello che faceva per cena. Aveva la macchina col permesso degli andicappati. Durante questo breve tragitto me disse, e ‘sta volta non gl’ivo chiesto gnente:

“Moh te dico da ‘n do’ venivano gli scudi, e tu non lo dirai a nessuno.” questa fu un’affermazione. Sapeva che avrei mantenuto il suo piccolo segreto. E mi disse dove era il luogo del ritrovamento. Aveva ragione, ‘l mi nonno ci si sedeva sopra, o quasi. Li avevano trovati entro un muro che era ad una diecina di metri dal suo ufficio, chiamiamolo così. Non mi disse chi fosse stato il fortunato scopritore ed io non glielo chiesi, tanto sapevo che non me l’avrebbe detto. Forse sapeva che non gli era rimasto molto tempo e voleva che lo sapessi era come mi facesse un regalo.

Ma di regali me ne aveva giá fatto un altro. Durante una mia visita precedente, penso che a quel tempo avesse giá chiuso il negozio d’antiquario, mi raccontava di quando da ragazzo aveva lavorato alla ditta Pacchi. Su un pezzo di carta cominciò a disegnare la macchina per ricaricare i sifoni dell’acqua di selzer, come svitava i tappi di metallo con la levetta, mi diceva delle guarnizzioni che s’imporrivano e sopratutto che era un lavoro pericoloso. Qualche volta le bottiglie esplodevano ed erano delle vere e proprie bombe, lavorava da dietro delle reti di ferro e con una maschera come quelli che fanno la scherma.

“Ancora a casa ce l’ho ‘n sifone del famoso Stablimento Francesco Pacchi e te lo do’. Portilo ‘n’America.”

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Ed io ce l’ho portato.

 

  

PS: come ho giá detto non so chi abbia trovate gli scudi, ma spesso mi son domandato: ma chi li ha nascosti e perché? Certo era uno che i soldi ce l’aveva. Sapendo dov’erano, era certo un signore di campagna. Ma quando? Forse nell’estate del 1849, quando era arrivata la notizia che Garibaldi con i suoi stava arrivando dalle nostri parti. O forse nel 1859, quando il granduca fu scacciato. I signori avevano paura, chi sarebbe venuto? In fondo alcuni pensavano che i mazziniani, i repubblicani, i cosidetti patrioti non erano altro che dei giacobini con un altro nome. Poi dopo tutto il nostro seppelitore sconosciuto morì e il suo tesoro rimase nascosto per più di cent’anni.

.

“Buona notte, Gino! E’ tardi, sa di’ d’anda’ a letto. Ho sonno.”

“O aspetta ‘n pochino, ancora è presto!”

Per lui era sempre presto. 

 

 

  

27 dicembre 2008, Marblehead, MA USA                                                                                       

I  vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese. Mi raccomando, scrivete!

 Fausto Braganti      

ftbraganti@verizon.net

Facebook: Fausto Braganti

Skype:       Biturgus (de rado)

Una Risposta to “38 M’Arcordo… Gino macellaino (Tarducci)”

  1. Beppe Del Barna Says:

    Caro Fausto, solo poche parole per ringraziarti del ricordo del “maestro” nomignolo che per altro si era auto imposto da una quindicina d’anni. I più come el mi babbo lo chiamavano Ginino e solo qunando non c’era dicevano Macellaiono, forse per una sorta di rispetto.
    Io lo conoscevo ene anche perchè amico di casa, e quindi sin da piccolo sono stato abituato alla sua presenza. Aveva lavorato alla ditta Pacchi con il mi babbo. Ricordo la sua generosità, e a volte anche la sua ira contro quelli che, a dir suo, gli avevano fregato i soldi.
    Un uomo capace di sintetizzare in una battuta il suo giudizio su qualcuno.
    Indimanticabile per me fu quando una sera, da Merdone, bisticciando come al solito con “Occhino” , che lavorava li,gli disse , “taci e dammi da bere SERVO COMUNE”.
    Credo non ci sia bisogno di aggiungere altro. Mi piace solo dire che sarò sempre grato a Ginino, perchè sicuramente mi ha inseganato qualcosa.
    Beppe

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