Io a le streghe non ci credo, ma questa ve l’arconto lo stesso. Decidete da voi!
Era un sabato pomeriggio di marzo del 1969, a Londra. Il cielo era coperto ed eternamente grigio, aria fredda e umida. Questi erano i migliori elementi per incupire la mia solitudine. Ritornato a Londra dopo le feste di Natale, mi ero sistemato in una pensione in Collingham Road, al numero 35, dalle parti di Earl’s Court. Questa zona era a quel tempo conosciuta come Kangaroo Valley perché vi abitavano molti australiani e neozelandesi, ma questa é ’n’altra storia.
Earl’s Court Road, vicino alla tube station e Old Brompton Road erano la mia Via Maestra, li c’erano i ristoranti, i negozi, i caffe e sopratutto i pubs. Era come se andassi da piazza a Porta Fiorentina. Quello era il territorio del mio tempo libero, con la speranza d’incontrare qualche conoscente e magari qualche ragazza.
Frequentavo il pub Prince of Teck; salivo al secondo piano dove c’era la lounge. Una sera avevo conosciuto Sidney, uno di Liverpool che aveva lavorato come cuoco a Rimini. Immaginate la mia sorpresa. Dovevano esser disperati o pazzi per assumere un inglese come cuoco. Forse era stato solo un lavapiatti e voleva far credere d’esser stato un cuoco. In ogni modo era simpatico e parlava l’italiano bene con accento romagnolo.
Ritorniamo a quell’uggioso sabato pomeriggio: non sapevo che fare. Ancora non mi ero rimesso dopo aver chiuso con R. Non ricordo bene quello che cercavo, forse un’avventura o forse una vera e profonda relazione? Ero incerto, senza avere l’idee chiare, come al solito.
Incontrai Sidney per strada dalle parti della stazione e anche lui sembrava sperduto e senza meta. Decidemmo d’andare a prendere un the, quello almeno ci avrebbe riscaldato un po’, poi avremmo deciso. Esistevano allora delle tea rooms, dove servivano solo the e delle specie di bomboloni untuosi e coperti di zucchero, luoghi modesti per chi non aveva molti soldi. Ancora non conoscevo la cerimonia dell’ “High Tea” che si poteva prendere in un grande albergo o altri luoghi eleganti, come Fortum and Mason o Harrods.
In questa tea room c’erano dei tavoli lunghi e stretti dove i clienti si sedevano l’uno accanto all’altro, a riempimento. Prendemmo il the al banco, sempre nella tipica tazza bianca e andammo a sederci uno accanto all’altro. Da dove eravamo potevamo vedere chi entrave e chi usciva. Dopo pochi minuti notai due ragazze all’ingresso, sembravano incerte se restare o andarsene. Una era bionda più alta e una mora, e tutte due erano pesantemente incappottate. Quelli erano i tempi dei maxicappotti strincia ‘n terra che spesso nascondevano delle gloriose super mini-minigonne rasopelo. Come era bello, incoraggiante, vedere quei cappotti che qualche volta casualmente si aprivano! Sidney fece loro cenno di venire a sedersi con noi. Mentre queste si erano messe in fila per prendere il the, lui mi disse che le conosceva, aggiunse con un sorriso che aveva conosciuto “bene” la bionda e che l’avrebbe voluta conoscer ancora meglio. Ripensandoci in quel messaggio forse mi dava l’implicito suggerimento di non perdere tempo con questa e che magari mi concentrassi sulla mora.
Le due ragazze si sedettero di fronte a noi: la bionda davanti a Sidney e l’altra davanti a me. Furono fatte le presentazioni.
“Io sono Patricia, ma tutti mi chiamano Pat.” Mi disse la mora, non m’arcordo il nome dell’altra. Sidney le prese subito le mani fra sue e si misero a parlottare come due piccioncini. Ho detto prima che i tavoli erano stretti, quindi c’era un vera vicinanza fisica con chi ti stava davanti.
Dopo aver detto il suo nome, Pat cominciò a guardarmi negli occhi, intensamente, sembrava non batter ciglia. Era bella, mi piaceva, ricordo le sopraciglie marcate e nere, le labbra sensuali e la pelle bianchissima e liscia che contrastava con quella cascata di capelli mossi e neri che le cadevano sulle spalle. E lei continuava a fissarmi, subito mi pervase una strana sensazione. Cercai di iniziare una conversazione ma senza successo. Dopo alcune domande a cui non mi diede risposta, cominciai a sentirmi scomodo, quasi agitato, mi venne voglia d’andar via. Poi alla fine, forse era passato solo poco tempo che mi era parso lunghissimo, mi sorrise e parlò e questo più o meno il contenuto di quello che mi disse,
“Tu sei del segno dei Pesci. (vero!) Tu sei infelice e cerchi una donna, non hai bisogno d’un’avventura, tu hai bisogno d’una vera donna, d’una vera relazione. Tu sei triste, incerto, insicuro. Hai perso tanto tempo in una infelice relazione iniziata lontano da qui (vero! Firenze), che più d’una volta t’eri illuso d’aver troncato. Ora ci sei riuscito….”
Continuó questo monologo facendo specifici riferimenti alla morte di mio padre, ai miei rapporti con lui, e alla difficile relazione che avevo con mia madre. Lei in fondo era stata una delle ragioni per cui ero venuto a Londra. Continuó per un bel po’ o almeno mi sembró. Concluse dicendomi che non sarei mai tornato nel posto da cui ero partito e che sarei andato lontano, molto lontano. In quel momento non ci feci molto caso, certo non avevo ancora nessuna intenzione d’andare in America.
Allungó le mani e prese le mie e le strinse forte forte, come per darmi coraggio. Continuó a fissarmi, sempre con quei grandi occhi profondi e scuri, ma il suo sguardo si era addolcito con un sorriso, aveva una bella bocca con le labbra piene, da baci, e fini col dirmi:
“Non aver paura. Io so queste cose, io sono una strega!”
Ero senza parole e al mio sguardo sorpreso e incredulo aggiunse:
“Non aver paura, io sono una strega buona. Tu forse non lo sai ma ci sono anche le streghe buone, quelle che aiutano, quelle che fanno del bene.”
Non ricordo, e come vedrete ci saranno molte cose che non ricordo, come fu possibile continuare la conversazione, anzi sarebbe meglio dire iniziare la conversazione dopo tali rivelazioni. Forse mi consolavo pensando che se era davvero una strega, ma almeno era una bella e giovane e come diceve lei: buona. Prometteva d’essere anche bona se fossi riuscito o togliere quel cappottone.
Un fatto nuovo successe sotto il tavolo, per caso toccai il suo ginocchio con il mio, e lei non si scostó, anzi sentii che rispose con una certa pressione al mio casuale contatto. Le strinsi il ginocchio fra i miei, e lei sorrise.
Mi disse che veniva dall’isola di Jersey, che aveva 22 anni, e che era uscita dall’isola per la prima volta solo due anni prima. Aveva una mentalitá insolare, era interssante ascoltarla. E io continuavo a guardarla: era bella e differente, era affascinante e misteriosa, tutta da scoprire. Mi piaceva. L’uggia di quel sabato pomeriggio senza meta s’era volatizzata.
Sidney all’improvviso venne fuori con un’idea geniale.
“Stasera vi faccio la pasta col ragù alla bolognese, quello vero!”
Uscimmo dalla tea room e mentre lui e la sua donna andarono a comprare tutto il necessario per preparare la cena, Pat ed io andammo a cercare il vino. Ci saremmo riincontrati all’appartamento della bionda. Pat mi disse che anche lei abitava nello stesso edificio.
Camminavamo mano nella mano lungo Earl’s Court Road quando ci fermammo a un semaforo, e forse perdemmo il nostro turno di traversare col verde perché ci baciammo, bacio vero, profondo.
Dopo aver comprato il vino andammo all’appartamento e proprio sulla porta si ritrovarono gli altri due. Salimmo al primo piano e qui ci fu, almeno per me, un’altra scoperta, inaspettata. Appena entrati le ragazze si tolsero i maxicappotti e le minigonne da capogiro e le gambe lunghe e scoperte non mi sorpresero: la sorpresa fu un’altra. Quella di Pat copriva ancor meno del previsto sul davanti, sembrava un po’ sollevata, ma perché? La ragione era semplice: Pat, anche se si vedeva appena, era incinta. Il pancino tondo che cominciava a crescere sollevava la gonna quasi inesistente. Scoprii più tardi che Sidney giá lo sapeva, un piccolo dettaglio che si era dimenticato di dirmi.
Pat mi tiró a se e dopo avermi baciato mi mormoró:
“Si, sono incinta di quasi quattro mesi. Spero che questo non ti dispiaccia troppo. Ho deciso di tenere il bambino e non voglio sposarmi con il padre. Lui me l’ha chiesto, ma io non lo voglio. Non lo amo.”
Borbottai qualche cosa, la situazione si complicava, prima la rivelazione che lei era una strega, poi la scoperta che era anche incinta. Non ero mai stato con una strega incinta, mi sentivo confuso, ma non pensai d’andarmene, in fondo ero anche curioso. Ripensandoci e non so se lo feci allora, c’era anche un vantaggio: con lei non avrei corso rischi, il danno era gia’ stato fatto.
Sidney e la bionda si misero a cucinare nella micro-cucina e noi per non essere di troppo ci sedemmo sul letto, nell’appartamento non c’erano divani, e continuammo a baciarci. Lei non si oppose alle mie prime esplorazioni, al contrario cominció anche le sue. Gli spaghetti con il ragù alla bolognese furono ottimi, ma sembrava che tutti e quattro avevavamo il comune interesse di finire al più presto possibile: volevamo ritirarci per conto nostro.
Finita la cena Pat mi invitó a salire al suo appartamento, non si doveva andar lontano, era al piano di sopra e io non mi feci pregare, anche se pensavo “ma come si fa con una donna incinta? che accorgimenti?’’
Non ci furono grandi preamboli e andammo subito sul letto, mi aiutó a spogliarla e fu allora che ci fu ancora un’altra sorpresa, forse la più grande. Quando le tolsi il reggipetto e scoprii il suo gran seno, vidi che Pat non aveva capezzoli, forse c’era appena un ombra più scura. Fu una sensazione sgradevole, strana é dir poco, quella turgida massa non sembrava naturale. Erano come due seni senza occhi, erano seni ciechi.
E qui comincia un altro mistero. Cosa successe dopo? Non ho nessuna memoria del resto di quel week-end. Scusatemi non ho piccanti dettagli da raccontare. Andammo a letto il sabato sera ed era presto e siamo rimasti assieme fino al lunedi mattina. Uscimmo solo per un paio d’ore la domenica pomeriggio per comprare qualcosa da mangiare, e ricordo solo che lei voleva tornare all’appartamento al più presto possibile. Son passati quarant’anni e non ricordo quasi niente, eccetto quei seni ciechi. Ma la mia memoria era vuota anche allora, subito dopo quell’incontro.
Immagino quello che mia avrebbe detto la mi’ nonna Santina:
“Lo so io! Semplice! Quella t’ha fatto le malie.”
Poi tutto ritornó lucidissimo nella mia mente, dopo quel lunedi mattina. Ci lasciammo con tanti baci e la promesse che ci saremmo rivisti il venerdi successivo per un altro week-end assieme.
Una sera, forse due o tre giorni dopo, camminando per Earl’s Court incontrai la bionda. Questa mi chiese se sapavo cosa era successo, e alla mia risposta negativa mi informó che la sera prima Pat era stata ricoverata all’ospedale con l’ambulanza, era svenuta sulla porta di casa. Mi disse il nome dell’ospedale che non era lontano dalla mia scuola.
Il giorno dopo all’ora di pranzo, dopo aver comprato un mazzo di fiori, andai a visitarla. Fu facile trovarla, era nel padiglione delle puerpere, in una stanza con quattro letti. Fu felicissima di vedermi e a me sembrava normale, che stasse bene. Mi bació con gran passione davante alle altre due pazienti incinte che ridacchiavano commentando, una delle due era giamaicana.
Mi disse che il problema era la pressione del sangue, era bassissima ed era sotto una cura intensa. Tornai a visitarla ogni giorno all’ora di pranzo. Lei cominció a darmi delle lettere scritte in una calligrafia minuta e piena di disegni arabescati e psichedelici. Mi eran difficili da leggere e da comprendere. Un giorno mi disse mi desiderava tantissimo e che mi voleva. Se da una parte mi eccitavano le sue parole appassionate, dall’altra ero anche imbarazzato, anche faceva di tutto per toccarmi, per carezzarmi. Non c’era molto che potevamo fare.
Tutte quelle lettere cominciarono ad infastidirmi, forse ce le ho ancora nel fondo della casa del Borgo, le devo ricercare.
Pat era ormai in ospedale da circa 10 giorni e non c’erano progressi nel trovare una cura per migliorare la situazione. Una sera andai a trovarla dopo il lavoro e subito notai che lei mi aspettava tutta trepidante.
“Ti devo parlare. Non voglio una risposta subito, ci devi pensare un po’, ma non troppo. Devo sapere.”
Subito capii che si trattava qualcosa di grosso.
“Prima avevo deciso di tenere il bambino, ma ora, dopo che ti ho conosciuto, mi domando se questo bambino d’un altro uomo sará un ostacolo nella nostra futura relazione. Posso avere un’interruzione chirurgica, forse potrebbe aiutare anche a risolvere il problema della pressione. Tu mi devi dire le tue intenzioni, lo so non ne abbiamo parlato prima, ma tu mi devi dire cosa pensi, cosa provi verso di me. Io credo d’amarti, io voglio te.”
L’ultime parole furono una doccia fredda. Poi mi si chiedeva di decidere della vita o della morte d’un bambino non mio! Non era una situazione semplice. La lasciai dicendo che ci avrei pensato sopra.
Quella sera andai al Prince of Teck tutto pensieroso; io non potevo prendere una tale decisione, certo io non lo potevo fare, non ne avevo nessun diritto. Ma prima di questo c’era anche una realtá più importante da valutare, l’amavo? No, non credo! Mi piaceva, certo che mi piaceva, ma forse non c’era più di quello. E poi tutta la storia d’essere una strega era bizzarra a dir poco (ancora non conoscevo quel programma televisivo americano “Ho sposato una strega”). E mentre rimuginavo tutti questi pensieri comparve Sidney con un altro. Ricordo che questo suo amico aveva un gran cespuglio di capelli rossastri e riccioluti in testa, aveva un afro e non era neanche negro. Anche lui veniva da Liverpool. Rimase poco e se ne andó.
“Sai chi é lui?” al mio no lui aggiunse:
“É il babbo del bambino di Pat. É ritornato da Liverpool per vederla, cerca ancora di sposarla. Lui vuole il bambino.”
Ebbi un gran senso di sollievo, lui era tornato in scena e io potevo uscirne, e cosi vigliaccamente feci, senza una parola e senza neanche un saluto a Pat. Sono sparito come un verme.
Ma la storia non finisce qui, ci sono tre postscritti.
Primo postscritto
Dopo alcuni mesi, mentre viaggiavo nelle metropolitana, una bella signora negra mi si é avvicinata e mi ha chiesto come stava Pat. L’ho subito riconosciuta, era la giamaicana, una delle sue compagne di camera dell’ospedale. Quando le dissi che non lo sapevo, lei sembró sorpresa. Solo allora capii che le due altri pazienti avevano sempre creduto che io fossi il padre del bambino. Non ci avevo mai pensato. Velocemente mi giustificai dicendo che ero solo un amico. Non so se la mia risposta fu sufficente a farle credere che non ero un semplice stronzo che aveva abbandonato la ragazza dopo averla messa incinta.
Secondo postscritto
Dopo circa un anno ebbi un altro incontro nella metropolitana, questo fu il turno della bionda. Lei mi disse che Pat aveva perso il bambino. I medici avevano deciso d’interrompere la gravidanza, che era pericolosa alla sua salute. Era poi partita con il fratello per l’Australia, cercava una nuova vita e quando disse questo mi guardó male, come se io ne fossi in parte responsabile. Forse questa fu solo una sensazione nata da un mio recondito senso di colpa.
Terzo postscritto
Circa cinque o sei anni dopo in America conobbi un professore universitario di spagnolo. Lui stava scrivendo una tesi per il suo Ph. D. e per questo era stato a fare una ricerca in Spagna. Un giorno gli chiesi quale fosse il soggetto del suo lavoro e lui mi rispose che, vivendo nella cittá di Salem in Massachussetts, conosciuta per il clamoroso processo alle streghe del 1698, faceva una ricerca sui processi per stregoneria dell’inquisizione spagnola. Il suo obbiettivo era quello di scoprire possibili similitudini. Gli chiesi se ce ne avava trovate. Non ricordo cosa mi rispose eccetto:
“Gli spagnoli come i puritani cercavano sempre nelle streghe delle peculiarietá anatomiche per provare che erano esseri differenti dalla norma e che il demonio aveva lasciato il suo marchio. Hai visto il quadro al Peabody Museum di Salem dove i giudici esaminano attentamente il corpo dell’inquisita alla ricerca di qualche stranezza? Gli inquisitori spagnoli facevano lo stesso, per la medesima ragione. Una tipica caretteristica anatomica delle streghe riportata negli atti del processo era che spesso non avevano capezzoli, oppure ne avevano tre.”
Un brivido mi corse giù per la schiena, lo sento ancora mentre scrivo.
Quarto postscritto
Una diecina d’anni fa chiesi ad un’amica medico a proposito di seni senza capezzoli. Mi rispose dicendo che le cause del “inverted nipple” (forse capezzolo invertito o retratto in italiano? Non so!) possone essere due: una congenita, e l’altra causata da uno sviluppo troppo rapido del seno durante la pubertá. Il più delle volte appare come un piccolo affossamento, raramente e nel secondo caso il capezzolo sembra sparito. La malformazione può essere corretta con la chirurgia plastica e con buone probabilitá di successo.
Mi consola il fatto che Pat non sia caduta nelle mani degli inquisitori spagnoli o puritani.
Examination of a Witch, by T.H. Matteson 1853.
Peabody Essex Museum
16 febbraio 2009, Marblehead, MA USA
Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
Facebook: Fausto Braganti
Skype: Biturgus (de rado)
gennaio 20, 2010 alle 10:57 am |
[…] https://biturgus.wordpress.com/2009/02/16/45-m%e2%80%99arcordo-inglese%e2%80%a6quando-ho-incontrato-l… […]
novembre 8, 2012 alle 4:18 PM |
Che storia affascinante, non o se la bella mora fosse veramente una strega ,ma sono certa che ci siano persone più sensibili del normale, le cosiddette sensitive. Una volta, a Perugia , in un contesto diverso ho avuto anche io una esperienza che mi stupì molto .Te la racconterò quando torni al Borgo ,magari sotto il cielo stellato sulla torre di Uguccione.Ciao
novembre 8, 2012 alle 4:52 PM |
ed io voglio sapere la tua storia.