Nell’estate del 1957 andammo ad abitare in nuovo appartamento in un gran palazzone che faceva parte di quello che allora si chiamava ”il villaggio Buitoni”, in Via dei Filosofi 8. Ero contento, sarei diventato vicino de casa d’una citta che me piaceva tanto.
Poi un giorno, anni dopo scoprii che il mio appartamento al Borgo aveva cambiato indirizzo, non avevano mosso il palazzo ma solo la placca col nome: non era più un via, era diventato una piazza: Piazza Beccari. Mi piaceva di più Via dei Filosofi. Volevo pensare che avevo più affinitá con i grandi pensatori piuttosto che con un quasi sconosciuto professore dell’Universitá di Bologna che nel settecento aveva scoperto il glutine e come separarlo dalla farina. Era un atto di generositá intellettuale del Sor Marco Buitoni riconoscente del contributo che costui senza mai immaginarlo aveva dato alla sua famiglia. Erano state le ricerche di quel dimenticato studioso che avevano portato alla creazione della Pastina Glutinata e alla fortuna della famiglia Buitoni.
Fu proprio allora che cominció a venirci a trovare nel nuovo appartamento la Menca, una vecchia cugina del nonno Barbino. La conoscevo di vista, suo figlio andava a caccia col mi’ babbo, ma fino allora non l’avevo incontrata solo a qualche funerale. La Menca era una Braganti, aveva circa 80 anni ed abitava non lantano da noi, arrivava quasi ogni giorno e si sedeva in cucina con mia madre e le faceva compagnia. Fu proprio allora che mi resi conto che mio nonno Barbino non era particolarmente contento di queste visite e si limitava a brevi saluti e non si fermava mai a parlare con lei, e pensare ch’erano cugini carnali.
Il padre della Menca, non credo d’aver mai saputo come si chiamasse, era un fratello del mio bisnonno Angiolo.. Una volta chiesi alla Menca se si ricordava del su’ nonno Mattia Braganti (1812-1893) e lei mi disse che ne aveva una solo una lontana e vaga memoria. Una volta da bambina, mentre camminava lungo l’argine d’un fiume, l’aveva incontrato, forse era il Tevere? Mi disse che era un uomo alto ed aveva una gran barba. Lui l’aveva riconosciuta e l’aveva chiamata chiedendole di avvicinarsi. Solo questo si ricordava di lui. Poi aggiunse che il nonno viveva con la famiglia di suo zio Angiolo, mio bisnonno, e che suo padre non parlava con suo fratello: era una storia di vecchi rancori ma non mi disse quali fossero.
É tempo di parlare della famiglia. Il mio bis-nonno Angiolo, al tempo della nascita di mio nonno, abitava a Trevine, popolo della frazione Gioiello del comune di Monte Santa Maria, a quell tempo ancora parte della Toscana. Penso che ancora veri fratelli, con Mattia patriarca, abitassero assieme nella stessa casa. Erano contadini, ma mio bisnonno Angiolo, detto il Barbone, aveva cominciato a fare il sensale. Mio nonno era il primogenito, nato dalla sua reazione “inlegittima” con Celeste Pettinari di Cittá di Castello, come scritto nel registro el comune, ma questa é un’altra storia.

brigante che indossa una ventriera
Prima di ritornare alla Menca e alla storia della “ventriera” che lei mi narró, penso che sia giusto dire due parole sul brigantaggio. Quando mio nonno era bambino e lo era anche la Menca nelle nostre macchie e montagne c’erano ancora i briganti. Erano un accozaglia di sciagurati a metá strada fra rivoluzionari senza coscienza politica e semplici delinquenti. Erano sempre un po’ circondati da un senso di romantico eroismo: loro si eran ribellati agli abusi dei ricchi e dei potenti. La storia di Robin Hood, di certo a quel tempo sconosciuta fra i nostri poveri
contadini, si ripeteva nel contenuto delle azioni dei nostri briganti: rubare al ricco prepotente e dare al debole povero.
Il nonno raccontava che una volta, aveva forse 10-12 anni, di notte partì tirandosi dietro un bove. Dalle Tavernelle di lá d’Anghiari lo doveva portare al mercato ad Arezzo, dove c’era giá ’l su babbo che lo aspettava. Aveva una lanterna per veder la via. Quando fu ‘n cima alla Libbia incontró ’n omo immantellato che gli disse:
“Ma ’ndo vi’ cittino?” ‘l nonno gli rispose e l’omo andó con lui per ‘n pezzo della via, ma senza di’ gnente. Poi s’allontanó in un sentiero.
“Sta atento!” furono le sue ultime parole. ‘l nonno era convinto ch’aveva ‘ncontarto ‘n brigante, ma forse era solo un pastore. Questo deve esser successo verso il 1885.
Ora precisiamo che cos’era una ventriera. Non son neanche sicuro se la parola “ventriera” esista in italiano, forse ha un altro nome. So che in questo caso era una fascia di stoffa, lunga alcuni metri che gli uomini usavano per avvolgersi il ventre, all’altezza della cintura. Penso che sia simile alla fascia che i matador usano ancora oggi. In certe stampe antiche ed anche in fotografie (come questo che ho allegato) si vedono spesso briganti dalle grandi barbe e dai cappelli con le piume, avvolti alla vita da fascie, spesso variopinte, con pistole e coltellacci infilati. Mi é stato anche detto che serviva un po’ come protezione nel caso di qualche coltellata. Allora si usa molto il coltello.
Uno dei fratelli del babbo di mio nonno, quindi anche del babbo della Menca, un giorno camminava lungo un sentiero di montagna delle nostre parti, quando preso da una necessitá corporale, si allantanó dal sentiero per celarsi dietro dei cespugli. Mentre si trovava li accovacciato, notó nascosto nel folto del sottobosco un lungo pezzo di stoffa. Incuriosito lo raggiunse con la mano e lo tiró verso di se. Notó subito che era particolarmenete pesante. Era una ventriera ed al tatto capì che delle monete erano state cucite lungo l’orlo. Con il coltello taglió un pezzo della stoffa per scoprire delle monete d’oro, tante monete d’oro. Certo doveva appartenere a qualche brigante che, forse inseguito in fuga, l’aveva gettata o nascosta, con l’intenzione di ripassarci a prenderla più tardi.
Ritornato a casa mostró al padre ed ai fratelli l’incredibile scoperta. Possiamo immaginare l’euforia di tutta la famiglia. Questa era una di quelle tipiche grandi famiglie patriarcali di campagna dove il capoccia gestiva e controllava tutto e tutti. Assime vivevano nella stessa casa e non c’era proprietá individuale. Avrete sentito le storie di un solo paio di scarpe bone e quello che doveva andare in paese le metteva.
Fu per tutti una felice sorpresa, vivendo cosi tutti assieme davano per scontato che il tesoro sarebbe stato proprietá comune. Decisero di mantenere il segreto e di fare nessun acquisto al di sopra dei loro mezzi per non destare sospetti. Lo scopritore, non ne ricordo il nome, forse Lorenzo, era sposato con due figli. Era daccordo e sembrava pronto a dividere il tesoro con il resto della famiglia. Peró una mattina, non molto tempo dopo, quando la moglie si sveglió, non trovó il marito accanto a lei. Pensó forse che era andato a lavorare nei campi, ma poi parlando con gli altri, scoprì che nessuno l’aveva visto, nessuno sapeva nulla di lui. La sera non ritornó per cena. Cercarano le monete ed anche quello erano sparite. E da quel giorno non seppero mai più nulla di lui. Si disse che era andato in America. Il padre ed i fratelli non solo non ebbero parte del tesoro, ma si trovarono a carico la moglie ed i figli abbandonati.
Dopo aver appreso questa storia, corsi da mio nonno per averne una conferma e speravo anche degli ulteriori dettagli. Capì subito che si era incupito, mi domandó chi mi avesse detto questa storia. Quando gli dissi che era stata la Menca, non negó la storia ma non la confermó. Vidi che si era arrabbiato e cominció ad inveire contro la cugina, contro “quella donna sciocca che non puó star zitta!”.
Fu questa una conferma che il tutto era vero.
Chiesi al mi’ babbo ed anche lui fu sorpreso, non l’aveva mai sentita dire.
Molti anni dopo lo domandai alla zia Jennie, la cognata del nonno quella che stava a New York, e lei mi confermó che la storia era vera e che suo marito, lo zio Achille, aveva cercato il fuggitivo in America, ma senza successo.
Ma non mai saputo perché i fratelli avessero litigato e non si parlavano e perché il padre, il bis-bisnonno Mattia, avesse presa la parte del mio bisnonno Angiolo.
Penso che questa storia sia successa verso il 1880-90. I briganti sono stati attivi dalle nostre parti fino all fine del secolo. Famoso e forse ultimo fu Gnicche d’Arezzo. Era lui quello che:
“Porta ‘n tasca ‘n coltello fatto a cricche,
per soprannome fu chiamato Gnicche.”
21 febbraio 2009, Marblehead, MA USA
I vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese. Mi raccomando, scrivete!
Fausto Braganti
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