Sarò onesto, le giarrettiere me le mettevo anch’io, tradizione di famiglia, le metteva anche ‘l mi’ babbo. Quando me le son messe la prima volta me son sentito grande. E l’ho portate per anni e nessuno o meglio dire nessuna si é mai lamentata. Poi un giorno, penso che vivevo a Londra, scoprii che ero uno degli ultimi con quegli aggeggi intirno alle caviglie e decisi di medernizzarmi. Comprai calze lunghe elasticizzate, che stavano su da sole. Non ho quasi mai portate calze corte. Oh, m’ero scordato, portavo anche le bretelle.

1962 Firenze -piazza d'Azeglio - compagna d'universita'
Parliamo delle altre giarrettiere, quelle più importanti, quelle delle donne, ma andiamo per ordine. Se noi ragazzi avevamo il problema, che poteva diventare un complesso, dei calzoni corti e poi dei quelli alla zuava, le nostre coetanee avevano quello dei calzini bianchi e delle scarpe piane. Loro volevano le calze lunghe con le giarrettiere ed i tacchi alti. Ognuno di noi aveva le proprie frustrazioni e problemi. Quello che ci accomunava era che volevamo essere grandi e scoprire tutto quello che ci sembrava promesso.
Ancora non sapevo che nella storia le giarrettiere erano state così tanto onorate. Un re d’Inghilterra, non ricordo chi fosse, aveva addirittura creato “The Order of the Garter”. Con questo aveva elevato la giarrettiera, a quel tempo ancora un nastro annodato intorno alla coscia, al livello del più alto ordine cavalleresco inglese.
Sapevo che esistevano, la mi’ mamma le portava, e lei era l’unica donna in giro per la mia casa. Ma la mamma non conta e non entriamo nei discorsi del complesso d’Edipo, altrimenti la storia si complica di molto e allora dovrei anche scrivere di Monica Bellucci. Andiamo avanti.
Le giarrettiere erano importanti non solo perché teneva su le calze, ma anche perché stimolavano la nostra immaginazione. Questa correva su sutto la gonna a quello che non si vedeva. Immaginavamo quella parte della coscia che rimaneva scoperta fra la fine delle calze e l’inguine. A parte averle viste in qualche film, in qualche foto d’attrici belle e famose, non avevamo molte altre occasioni di vederle dal vivo, direi nessuna. Ricordo ancora l’emozione quando una conosciuta e bella signora salì in macchina, allora ancora molte avevano la portiera che si apriva sul davanti, ed ebbi modo di veder tutto, anche se solo per un attimo, che emozione! Corsi subito dal mio amico Sergio per descrivergli il fortunato evento. E lui fu geloso.
Il nonno Barbino raccontava che da ragazzo, quando abitava dalle parti di Tavernelle, di lá d’Anghiari, lui si posizionava davanti alla fermata della diligenza per Arezzo, e così aveva modo di intravedere le caviglie delle donne con le gonne lunghe, che salivano o che scendevano. Quei brevi attimi erano emozionanti. Ad ogni generazione il suo
Ritorniamo ai miei tempi. Le calze delle donne erano di nylon, sottili e trasparenti. Non ho mai visto o tanto meno carezzato quelle mitiche di seta. Una volta, diciamo in una situazione particolare, ho cercato di trovarne un paio, ma non ci son riuscito, neanche a New York. Ma forse non sapevo dove andare. Le calze avevano sempre un righino nero nel dietro che saliva su dal tallone verso la coscia. Quel righino era come un sentiero che si perdeva sotto la gonna e a noi noi rimaneva altro che immaginare dove andava a finire, in quella misteriosa zona scura dove le giarrettiere si agganciavano alle calze.
M’acordo anche le irritate esclamazioni della mamma:
“Oh no! Ho ‘na smagliatura nella calza!”
Se era piccola c’era un primo intervento per fermarla. Con il pennellino dello smalto delle unghie, lei toccava il punto della rottura, prima che questa velocemente salisse per tutta la lunghezza della gamba. Non so se fosse un metodo efficace, so solo che ci provava. Se la smagliatura non era troppo grande che doveva gettarle, le portava a farle accomadare. Proprio davanti alla pasticceria di Bruno, per la Via Maestra, c’era un negozio che vendeva ed accomadava radio, e aveva anche qualche televisore, i primi. In quel negozio, seduta ad un tavolo proprio davanti alla vetrina, c’era una bella ragazza dai capelli neri che pazientemente rammendava queste calze. Non mi interssava molto il suo lavoro, mi piaceva lei ed aveva un nome differente e misterioso: Magalì. Cercavo e trovavo tutte le scuse per farle visita e parlar con lei, mentre rammendava le calze. Era carina e gentile, ma certo non aveve nessun interesse per un citto come me.
Fu l’estate fra la terza media e la prima liceo, l’estate del gran balzo. All’improvviso mi trovai davanti la P., una mia compagna di scuola, con le scarpe con i tacchi alti e le calze di naylon e di sicuro, anche se non le vedevo, le giarrettiere per tenerle su. Le cose stavano cambiando. Infatti alla fine di quell’estate mi misi i calzoni lunghi ed andai al liceo. Mi sentivo un po’ come il giovane eroe del film “Malena”. Alla fine degli anni ’50 e quasi per tutti gli anni “60 le ragazze partavano ancora solo la gonna, forse l’unica eccezione erano erano i calzoni alla marinara da indossare al mare d’estate.
E col liceo cominciai ad andare a ballare e spesso con una manovra casuale era possibile sfiorare la giarrettiera sulla coscia, sotto la gonna, ma si doveva stare attenti.
E col crescere ci sono stati degli sviluppi. Se c’era permesso un momento d’intimitá allora cominciavano le eplorazioni. La differenza sostanziale fra la donna e l’uomo, e ci ho messo tropp’anni per capirlo, è che la donna sa giá, prima d’andare ad un appuntamento, nella grandissima maggioranza dei casi, quello che succederá alla fine. All’uomo, al contrario, rimane solo la speranza. La mano curiosa saggiava il terreno ed il momneto della veritá era quando arrivava alle giarrettiere, ed il territorio diveniva scoperto, intenzionalmente indifeso (?). Allora si capiva se ci sarebbe stata un’avvanzata o no.
Sapete che poi, dopo tutta questa fremente attesa, non m’arcordo quando fu la prima volta che le vidi dal vivo. Che starno! Posso immaginare dove, quando e con chi fu, ma poi non ho memoria di quel momento magico, quando si sganciò le calze, assumendo che lo fece. Che fosse anche questa una strega?

non la conosco!!!
C’erano due scuole di pensiero. C’erano quelle che preferivano metter prima le mutandine e poi le giarrettiere, altre facevano al contrario. Io preferivo quest’ultime. Non scendo nei dettagli, ma è facile capire che la situazione cambiava a secodo di quest’ordine. Questo è il caso in cui l’ordine dei fattori, anche se non cambia il risultato, implica operazioni diverse.
Quando giunse il momento di decorare il cappello goliardico pensai, come facevano tanti altri, d’aggiungere il gancio (si chiama cosi?) d’una giarrettiera, ma dove ne potevo trovare uno? Una sera, eravamo alla pensione Part., in una discussione dissi che ne cercavo una e che non avrei fatto con un nostro amico che se l’era fatta dare dalla madre.
“Quella della mamma non conta!” Pensavo che sarebbe dovuto essere come un trofeo.
Con noi in pensione c’era una bella ragazza bionda, Elsa che faceva l’estetista. Quando era arrivata, poche settimane prima, tutti s’erano messi a girarle intorno. Io pensavo che era più grande, che era al di fuori d’ogni mia possibile speranza di conquista e così mi misi fuori dal giro. Ero stato cordiale ma non facevo il cascamorto come molti degli altri. E questo mio atteggiamento ebbe degli sviluppi interessanti, inaspettati. Elsa, al momento giusto, mi si avvicinó e sottovoce mi sussurró:
“Se tu vuoi la giarrettiera te la do io. Vorrei tanto che nel tuo cappello avessi la mia.” E cosi decorai il mio goliardo. Ma la storia non duró molto, andó a lavorare a Montevarchi, o forse era San Giovanni?
I cambiamenti erano nell’aria e non lo sapevamo …. avevano inventato il collant. La dinamica dell’intimitá cambiò drasticamente. Il primo incontro con questo oggetto inventato da una persona crudele, fu quello con Moya, una giunonica inglese, e direi fu quasi traumatico:
“Ma cos’è questo?” forse pensai che s’era messa le brache del costume da balestrire. Pensai che forse era solo una brutta invenzione inglese, ma mi dovetti ricredere presto. Questa cattiva moda stava prendendo campo.
Franca, una calabrese dai capelli nerissimi, al ballo mascherato di carnevale dell’Accademia, si era vestita da squaw indiana. La sua gonna era corta, molto corta; sono i tempi delle prime minigonne, moda importata dall’Inghilterra ed anche lei si era adattata ai tempi: si era messa il collant. Credo che fu il crollo dell’industria delle giarrettiere.
Ma poi non mi posso lamenatar troppo, al contrario: le minigonne furono una bellissima invenzione. M’arcordo i giorni londinesi (dal’68 al ’70), sembrava che ci fosse una gara a farle sempre più corte, rasopelo. Ogni volta che salivo nell’undergraund cercavo di posizionarmi al punto giusto, seat with the view. Si diceva che c’erano quelle che indossavano il collant ma niente mutandine. Io non l’ho mai incontrate.

Girdle - ovvero cintura di castita' americana.
Poi c’erano le ragazze americane e questa è ‘n’altra storia. Molte di queste, quando arrivavano in Europa, ancora portavano i guanti bianchi ed indossavano spesso, troppo spesso, delle strette panciere elastiche che coprivano tutto come una guaina. Era una specie di cintura di castitá, impenetrabile. Non era semplice tirarsela su ed tantomeno tirarla giù. Se lei veniva ad un appuntamento e sentivi che non indossava the girdle, allora eri subito pervaso da una buona dose d’ottimismo.
Poi i tempi sono ancora cambiati, e sopratutto son cambiato io.
Ormai le giarrettiere penso che si comprino e si indossino per le grandi occasioni, per gli incontri speciali. Si possono ordinare on line, qui in America il catalogo piu conosciuto è quello di Victoria Secret. Chiamatemi pure feticista, ma io lo trovo piu erotico di Playboy.
http://www.victoriassecret.com/
Gli incontri con le giarrettiere si son fatti sempre piu rari e se ci sono stati devo sempre ringraziare lei. Nessuna porta più le giarrettiere per caso.
Da parte mia ho sempre molto apprezzato il gesto e ne sono stato riconoscente. Come vi ho detto non mi ricordo la prima volta ma ricordo quella che forse, speriamo di no, fu l’ultima. Diciamo l’ultima in ordine cronologico, anche se guardando indietro son passati tant’anni.
Erano verdi, anzi un verde pallido, delicato ….
Post scritto:
Anche questa volta c’é stato chi mi ha scritto e ha puntualizzato una mia omissione. Ci sono delle calse, all’apparenza son simili a quelle tradizionali, vere calse di nylon e non collant, che stanno su da sole senza bisogno delle giarrettiere. La parte più in alto, quella che stringe la coscia, é elasticizzata e decorata spesso con specie di pizzo, che le rende molto sexi. Non ho molta esperienza a questo proposito.
Ecco succede quando si diventa grandi, non ho più conoscenze dirette, quelle che si acquisiscono facendo field research (ricerca sul campo? ovvero diretta, non son sicuro come si dica in italiano, scusatemi), quelle che i giornalisti di lingua inglese chiamano anche “legwork”. Immaginate quanti giochi di parole si potrebbero a fare a questo proposito.
La mia ora é troppo spesso una conoscenza teorica. Ovvero tradotto ‘n Borghese:
“n’arcatto più!”
- Michela Brambilla, Ministro del Turismo
Debbo ringraziare Michela Brambilla, il nuovo Ministro del Turismo, che con le sue generose minigonne mi ha permesso di colmare le mie lacune conoscitive.
30 aprile 2009, Marblehead, MA USA
I vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese. Mi raccomando, scrivete! Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
Facebook: Fausto Braganti
Skype: Biturgus (de rado)
dicembre 29, 2011 alle 7:26 am |
[…] https://biturgus.wordpress.com/2009/04/30/55-m%e2%80%99arcordo-quando-le-donne-se-mettevano-le-giarre… […]