57 M’Arcordo… un m’arcordo de Tonino de la Pieve Vecchia.

Antonio Antonelli

Antonio Antonelli

Tonino, il mio biscugino Antonio Antonelli (26 ottobre 1922 – 8 maggio 2009), é morto e sono triste, molto triste. É lui quel Tonino, di cui solo poche settimane fa ho parlato nel ”M’Arcordo” della caccia, é lui quello di cui scrivo nel mio pensierino della terza elementare pronosticando che non ammazzerá nessuna lepre. Io volevo che ‘l mi’ babbo fosse più bravo di lui. Aveva quasi 87 anni. Sua nonna, Assunta Braganti, era la sorella di mio nonno Luigi, meglio conosciuto come il Barbino. Suo figlio Franco non solo é mio parente, é anche mio amico.

Pascale, mia moglie, mi ha detto abbracciandomi apprendendo la notizia:

“In questo triste momento ci possiamo consolare sapendo che ha avuto una morte serena. É morto in casa sua, curato fino alla fine con l’affetto e l’amore dei suoi cari. Credimi, oggi questo non succede a molti.”

M’arcordo benissimo la prima volta che ho visto Tonino, era il 15 settembre del 1945. Quel pomeriggio ‘l babbo é tornato a casa di corsa e gridava contento.

“É tornato Tonino! É tornato Tonino!”

Fra le mie più lontane memorie c’é quella del cugino Tonino prigioniero in Germania, e non sapevo dove o che cosa fosse. M’arcordo dei tanti rosari che la zi’ Sunta, sua nonna, ci faceva dire per il ritorno del nipote. Le sue preghiere furono ascoltate e Tonino artornò!

Io seduto in canna della bicicletta del babbo, seguiti a ruota dalla mamma, siam corsi alla Pieve Vecchia, per vederlo. La Pieve Vecchia era un podere oltre il cimitero, acanto a Colaccia, dove abitavano i nostri parenti, gli Antonelli. Oggi in quella casa c’é l’Oroscopo, dove c’e la pizzeria c’era il seccatoio, ma di questa ne parleró ‘n’altra volta.

Lo vedo ancora seduto alla fine della lunga tavola della sala da pranzo che mangiava, sembrava affamato. Forse era quello il suo primo vero pasto dopo due anni di prigionia. 

Nel novembre del 2007 ho raccolto un breve m’arcordo di Tonino della sua guerra e prigionia. Lo scrissi in terza persona, come una cronaca ed i miei interventi sono minimi.

 Tonino e Fausto, la sera che ha raccontato la storia

Tonino e Fausto: anche questa foto fu fatta quel giorno.

 ”La cartolina per Tonino arrivò nel marzo del 1941, aveva 18 anni e mezzo. Non andò lontano, 4 batteria del 126 artiglieria a Rimini. Gli andò bene, nell’estate del ’41, mentre tanti altri partivano per la Russia o per il Nord Africa, lui in treno fu spedito a Bari. Dopo alcuni giorni si imbarcó nel “Principe di Piemonte”, traversò l’Adriatico per sbarcare nel porto delle Bocche di Cattaro (Boka Kotorska) nel Montenegro. Durante la traversata, verso le due di notte, fu avvistato un sottomarino inglese. Fecero indossare il salvagente a tutti ed era freddo mentre il prete diceva la messa sul ponte. Non ci fu nessun attacco ed al mattino arrivarono a destinazione, ma perché la nave era grande non poteva attraccare, quindi furono trasbordati a terra con dei battelli.

Le Bocche di Cattaro (Kotar)

Le Bocche di Cattaro (Kotar)

Ci fu uno smistamento e lui fu aggregato al 156 reggimento artiglieria di stanza a Persano (Perzagno) a circa 4 kilometri dal porto. Erano accampati sotto le tende e soffrì tanto fretto durante l’inverno ’41-’42. In conpenso era una zona tranquilla ed avevano buoni rapporti con la popolazione locale, forse perché la regina Elena era montenegrina (?).

All’inizio dell’estate (’42) riuscì ad ottenere una licenza. Risalendo lungo la costa dalmata, Ragusa, Spalato, Zara, in battello e viaggiando solo di giorno, raggiunse Fiume, dove fu anche disinfestato. Da quì in treno arrivò al Borgo, in tempo per lavorare nei campi. Finita la licenza ripartì facendo lo stesso viaggio al contrario fino alla sua posizione. La zona era tranquilla, ancora si sentiva fortunato di non essere ne in Russia, ne in Libia.

La sua responsabilitá era quella di fare la spesa viveri la mattina, e per questo prendeva il battello ed andava al mercato di Cattaro e gli piaceva girare per la cittá. Il battello ripartiva verso l’una. Una volta andó all’ospedale a trovare un commilitone del Borgo di soprannome Pastina (quello che poi aveva un banchino di sementa dietro il campanile di Sant’Agostino), che s’era rotto una gamba.  Rientrato all’accampamento nel pomeriggio era libero. Andava spesso a caccia col ’91 e prese delle ottime pernici.

“Non é facile tirare col moschetto alla selvaggina. La pallottola non fa la rosa!” Commentava raccontando questa storia.

 Fu poi trasferito in un posizione più in alto, in montagna, con quattro cannoni, a circa mille metri. Fecero delle esercitazioni e la popolazione ebbe paura. Anche questa era una zona tranquilla e c’erano pochi uomini in giro, forse erano alla macchia. Avevano un grammofono ed andavano a ballare in qualche casa, dove c’erano ragazze. Lui era rimasto aiutante furiere e responsabile dei telefoni.

Poi arrivò l’8 settembre.

Ricevettero dapprima un primo ordine per il rientro in Italia: preparere i cassoni, le munizioni, impaccare tutto per la prossima partenza. Poi per radio appresero la notizia dell’Armistizio. Rimasero in attesa di ordini con trepidazione ed incertezza. Poi verso sera venne l’ordine di preparare le batterie per aprire il fuoco al mattino seguente sulle truppe tedesce sulla costa fra Gruda (?) e Cattaro. Durante la notte passò una compagnia di fanteria che scendeva verso Cattaro, C’era un Chiasserini del Borgo ed assieme si bevvero una bottiglia di Vov poi gli diede delle saponette. Lui non sapeva che avrebbero attaccato i tedeschi al mattino.

All’alba cominció il bombardamento verso le posizioni tedesche. Questi risposero con fucileria, mitragliatrici e mortai. All’improvviso comparve un aereo tedesco che cominció a bombardare. Nel frattempo Tonino era nella sua posizione telefonica comunicando alla batteria i vari movimenti del nemico. Sentiva colpi di fucile colpire vicino, poi una bomba gli cadde vicino e per fortuna solo della terra gli arrivó addosso. Lui sortì e col secondo attacco distrussero il suo capanno del telefono. Risalì più in alto verso la batteria, che era giá stata colpita e messa fuori uso. Non c’era rimasto quasi più nessuno, solo quattro o cinque della furieria e con questi si incamminó, scendendo verso Cattaro. Per la prima volta vide comparire i ribelli (partigiani) e Tonino affamato chiese loro da mangiare ed uno gli diede un fico secco. Vagarono senza meta e dormirono nei campi per tre o quattro notti, arrivando alla fina a Cattaro. Dal molo vide che l’ultima nave carica di soldati ed ufficiali era partita da poco, ma molti erano caduti in mare nel cercare di salire a bordo.

Mentre stavano entrando a Cattaro ricomparve il bombardiere tedesco. Tonino e gli altri corsero in una gran tenda ospedale. Questo era pieno di feriti in condizioni disperate. Da una parte c’era un mucchio di morti. Un ufficiale gli ordinó di aiutare a mettere i cadaveri nelle casse da morto. Dopo si allontanó verso il porto, dove regnava un caos totale, pieno di sbandati e di civili che saccheggiavano i magazzini.

All’improvviso comparve un camion tedesco; saltarono giù dei soldati e col fucile spianato cominciarono a radunare i soldati italiani e spingendoli verso la spiaggia. Poi, formata una colonna di circa 400 uomini affamati ed assetati, li forzarono a marciare verso nord. Più d’una volta pensó alla fuga, ma poi il momento buono non venne mai. Arrivati a Ragusa (Dubrovnick) furono caricati in un treno a vapore e dopo un viaggio di dieci giorni, soffrendo tanta sete e fame, arrivó in un gran campo di concentramento nel nord della Germania. Dormì per terra e soffrì tanto freddo. Pochi giorni dopo ci fu un gran smistamento ed assieme ad un gruppetto di circa 30 giovani, forse all’apparenza più forti degli altri, fu caricato in treno, per raggiungere Waschoten (?). Qui fu messo a lavorare in una fabbrica di polvere da sparo. La situazione miglioró, adesso dormiva in una camerata con 15-20 prigionieri con letti a castello, c’era anche una stufa ed avevano coperte.

Lavoravano tutti i giorni anche dodici ore, meno la domenica. Il mangiare era una mestolata di zuppa di rape e carote ed una fetta di pane di segale. Passò tutto il ’44 e venne l’inverno e non successe niente, il fronte era lontano. Aveva un capo che gli voleva bene e l’aveva messo a lavorare ad una pressa con due donne.

Una volta la sua pressa si ruppe e Tonino fu mandato a lavorare ad un altra. Il capo di questa, uno zoppo invalido della Grande Guerra, fu molto duro con lui e lui apertamente si ribellò ai suoi suprusi. Fu fatto intervenire il capo del campo per prendere dei provvedimenti disciplinare nei suoi confronti. Questi dopo una gran lavata di testa, (penso che non voleva perdere un buon lavoratore) lo fece ritornare al suo posto originale. Il giorno dopo la seconda pressa, dove avrebbe dovuto lavorare, saltó in aria e 14 persone morirono, incluso il quel capo cattivo.

In quell’ultimo periodo lavorò nella produzione delle V1 e delle V2. C’erano moltissimi ingegneri che controllavano ed ispezionavano continuamente.

Poi finì tutto, non c’era più nulla da fare, forse non arrivavano i materiali necessari per far la polvere. Lo mandarono a lavorare in un cantiere dove puliva mattoni di case distrutte con un martelletto. Fu mandato anche a costruire un rifugio sotto terra, e questo punto c’era più da mangiare. Venne anche mandato a raccogliere le patate. Una volta una donna gli fece un gran tegame di patate, per lui fu un vero banchetto. Negli ultimi mesi la sorveglianza diminuì e poteva girare un po’ per il paese. Era diventato più facile trovar da mangiare.

Sapevano che il fronte si stava avvicinando, infatti sentivano dei colpi di cannone  in lontananza. Lavoro non ce n’era e si mise ad aiutare una signora che aveva un negozio di stoffe. Questa un giorno gli diede due bei vestiti da uomo. Questi gli furono utili il giorno della liberazione per poter muoversi liberamente.

Poi arrivò il primo bobardamento, non fu gran che, ma un palazzo gli crollò accanto. Durante uno di questi attacchi cercò di entrare in un rifugio (forse quello che aveva costruito?) ma i tedeschi lo scacciarono insultandolo.  I colpi di cannone si fecero sempre più vicini ed una mattina scoprì che nel campo non c’erano più le guardie, erano scappete. Quello stesso giorno arrivarono i carri armati inglesi. Con gli inglesi era arrivata anche la carne, era da tanto che non la mangiava.

Libertá!

A questo punto cominció a girare liberamente. Spesso prendeva il treno fino a Brema, per comprare, vendere e barattare quel che trovava. Qualche volta dormiva alla stazione. I tedeschi morti in guerra erano tanti, e se andava a ballare c’erano tante donne in più in giro. Per lui, come per molti altri ex-prigionieri, questo fu il momento di riprendersi una piccola personale rivincita per tutti gli abusi subiti.

Una volta andó a trovare uno del Borgo, era un ufficiale (non se ne ricordava il nome).  Passarono mesi, era primavera, poi venne l’estate, non stava male. Si teneva occupato con i suoi giri, aspettanto i fogli per il suo rientro.

Alla fine gli diedero le carte e dopo un lunghissimo ed avventuroso viaggio artornò al Borgo. Era il 15 di settembre del 1945. Era arrivato in tempo per la vendemmia.”

 

Nel 1969 Franco ed ‘l su’ babbo Tonino andarono in macchina, viaggiando lungo tutta la costa dalmata, nel Montenegro e visitarono quei luoghi così pieni di memorie. Chiederó a Franco di scrivere un m’arcordo di questo viaggio.

13 maggio 2009, Marblehead, MA USA                                                                                        

I  vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese. Mi raccomando, scrivete! Fausto Braganti      

 

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