64 M’Arcordo……quando se faceva la collezione dei francobolli

Cominciò tutto con questo: ecco il mio primo francobollo.

Il primo francobollo della mia collezione, 1951

Avevo dieci anni, ero in quinta elementare e qualcuno, non m’arcordo chi fosse, mi regalò una cartolina che veniva dall’Australia. Sapevo solo che questo era un posto lontano lontano, e che c’erano i canguri e tanti conigli.

Non m’arcordo che foto ci fosse nella cartolina, ma m’arcordo benissimo il francobollo e quando l’ho cercato nell’internet l’ho trovato facilmente e l’ho subito riconosciuto.

“Dovresti fare la collezione dei francobolli, magari impari la geografia e la storia.”

Quello fu il suggerimento del babbo. Forse spereva anche che smettessi di fare tutte quelle varie collezioni di figurine di cui ero tanto appassionato.

E fu cosi che cominciai la mia collezione e l’aborigeno venuto dall’Australia fu il capostipide.

Cominciai subito a setacciare tutti i cassetti della casa alla ricerca di cartoline e di buste affrancate. Ce n’erano scatole delle scarpe piene. Poi chiesi a tutti i parenti ed amici di famiglia che mi aiutassero. Aveva ragione il babbo, la collezione mi aiutò ad apprendere la geografia ed anche un po’ di storia. Avevo un vecchio mappamondo di latta di prima della guerra, e l’Africa era ancora quasi tutta spartita fra l’Inghilterra e la Francia. C’era ancora l’Africa Orientale Italiana, ma giá sapevo che avevamo perso la guerra e che a noi non c’era armasto niente e questo mi dispiaceva, come se avessi perso un giocattolo. Le nostre vecchie colonie colonie erano gialle, quelle inglesi rosa e le francesi, ma non son sicuro, azzurre. Mi ci vollore anni per capire che quel continente non era una torta da divedere e che noi avevamo perso la nostra fetta.

Ogni francobollo che trovavo mi portava in posti lontani. Certi nomi mi affascinavano. Il Tanganika era pieno di mistero, ci sarei voluto andare subito. Mi piaceva anche Aden e i miei sogni di viaggiare cambiavano a secondo i pezzi che mi capitavano fra le mani.

I Mestieri

I piú facili da trovare, per ovvie ragioni, erano quelli italiani, ma anche da questi imparai un po’ di geografia. Proprio a quel tempo c’era una serie con i tipici lavori tipici delle varie ragioni. Alcuni erano facili da trovare, come quello usato per una busta normale, mentre altri quasi impossibili. Per questo non mi era chiaro, a cosa servisse un francobollo da 50 centesimi? In giro non si trovavano piú neanche le monete da una lira. In ogni modo questa serie credo che rimase in giro per anni e ne avevo raccolto tanti doppioni senza gran valore di scambio. Nelle mie ricerche avevo trovato vecchie buste di prima della guerra con francobolli con l’immagini del re. Con l’avvento della repubblica lui era certo passato di moda.

Dopo quelli italiani quelli facili da trovare erano i francesi anche perché c’era gente che aveva parenti in Francia, quasi sempre a Nizza o a Parigi dove c’era uno stablimento Buitoni. Fu proprio per questa ragione che qualcuno mi diende un commemorativo, era grande e quadrato con lo stemma di Parigi, ed era stato stampato per commemorare il bimillenario della fondazione della cittá. Mi sembrava bellissimo. L’emigrazione aveva una forte influenza su quello che trovavo, cosi in giro c’erano molti francobolli dell’Argentina, Venezuela e Stati Uniti.

La signora Cecca, quella della cartoleria Boncompagni, aveva in una vetrina dei raccoglitori con delle pagine di cartoncino con delle taschine trasparenti dove inserire i francobolli. Spesso mi fermavo ad ammirarli. Ce n’era uno con i fratelli Bandiera e mi piaceva tanto, ma ci volevano i soldi ed io non ne avevo.

Non tutti pensavano che questo mio nuovo interesse fosse una buon’idea:

“Ma che fai, la collezione degli sputacchi? Chissa chi l’ha leccati quei francobolli.”

Non m’arcordo chi fu a far questi commenti, forse il nonno.

Lo scambio dei doppioni era la piú comune forma d’acquisizione di nuovi pezzi. Capii subito che quelli commemorativi erano i piú importanti da raccogliere perché, avendo una tiratura limitata nel tempo, sparivano presto dalla circolazione. Nessuno dei miei amici si entusiasmò nella mia nuova passione e non mi rimase altro che cercare fra i grandi. 

Il primo fu Don Virgilio, quello stesso prete che mi diede le mie prime lezioni di latino. Lui era gentile, amichevole e sempre sorridente anche se poi mi faceva tanto soffrire con le declinazioni. Era uno degli organizzatore delle colonie estive ed il suo modo di vestire d’estate al mare era rivuluzionario, almeno per quei tempi: si toglieva la lunga tonaca nera e si metteva un vestito, giacca e pantaloni, bianco. Don Virgilio abitava in un casa in Via Buia, dietro il Palazzo delle Laudi, proprio accanto ad Arduini Brizzi. Non so come fu, ma scoprii che lui aveva una gran collezione che era cresciuta con  gli anni: aveva cominciato quand’era ragazzo. Mi invitò a vederla e se anche i miei doppieni non gli erano di gran interesse, lui era sempre generoso e mi regalava sempre qualche pezzo interessante.

La sua collezione era ben ordinata, divisa in vari raccoglitori, sempre quelli con le taschine. Lui era molto cauto e cercava di non toccarli ed usava sempre delle pinzette. Fu lui che mi insegnò che per scollare i francobolli dalle buste e cartoline era molto semplice, bastava metterle a bagno nell’acqua e dopo pochi minuti i francobolli si sarebbe staccato facilmente senza lacerarsi.

Le Venere di Cirene

Sfogliando uno dei suoi album, quello delle colonie italiane, scoprii dei francobolli meravigliosi con l’immagine d’una donna nuda. Era una statua senza testa e senza braccia, ed il suo corpo era perfetto. Cercavo tutte le scuse per poter riguardare in quel raccoglitore. Poi con mia grande soddisfazione la riscoprii in un libro del Touring Club sui musei di Roma che avevamo in casa. Era la Venere di Cirene, una classica statua greca scoperta in Libia. Questa é la stessa che non molto tempo fa fu restituita a Geddafi. Lei e la Maja Desnuda di Goya, mi sembra d’averlo giá detto, furono l’oggetto delle mie prime fantasie e concupiscense di ragazzo.  A quei tempi non sapevo che esisteva anche un francobollo spagnolo del 1930 con la Maja Desnuda. So di sicuro che mi sarebbe molto piaciuto. Era un francobollo repubblicano ante Franco, un bigotto come lui non l’avrebbe mai permesso.

La Maja Desnuda

Per anni ho saputo che la Venere di Cirene era in quel museo a Roma, ma non sono mai andato a vederla. E pensare che quando sono andato a Madrid la prima volta son corso subito al Prado per ammirare la Maja, quella Desnuda naturalmente. Devo colmare la lacuna, devo andare a Tripoli.

Il babbo mi fece conoscere il Nofri, era un anziano signore della stessa etá del nonno che non aveva avuto paura di collezionere gli sputacchi stranieri. Serafino abitava vicino alla Piazzetta di Santa Chiara ed avava una gran collezione a cui aveva dedicato piú di cinquantanni della sua vita. Poi mi raccontava anche le storie della prima guerra d’Africa, lui aveva fatto la campagna contro Menelik. Credo che fu proprio lui che con calma mi diede lezione come identificare certi francobolli difficili da classificare, e togliermi dei dubbi.

Avevo scoperto che certe volte avevo in mano dei francobolli che non sapevo da dove venivano.

“Che strano” pensavo ”certa gente non sa neanche come si chiama il loro paese.”

Sapevo che c’erano i fillandesi, anche se non sapevo dove la Fillandia fosse, ma perché nei loro francobolli scrivevano Suomi? E gli ungheresi? Stessa storia, loro scrivevano Mayar e cosi via. Poi c’erano gli inglesi, loro avevano tanti francobolli con l’immagine d’un re barbuto di profilo e c’era scitto solo quanto costava. Ed i francesi? A loro spesso bastava RF. Gente strana.

Non parliamo dei francobolli giapponesi e cinesi, ma questo non era un gran problema, perché erano ancora molto rari da trovare.

Poi le cose cambiarono, a 14 anni, per allargare i miei confini filatelici, cominciai una corrispondenza, grazie ad un annuncio trovato nella Domenica del Corriere, con una ragazza giapponese della mia etá: Kazuko, anche lei collezionista di francobolli. La corrispondenza durò per due o tre anni e mi mandò delle sue foto, era carina, e sopratutto tanti francobolli. Con questi non avevo problemi, sapevo da dove venivano. Poi piano, piano le lettere si fecero piú rare fin quando il flusso si estinse. Ritornerò a parlare della giapponese prima di finire.

Sempre quando avevo circa 14 anni cominciai a frequentare un impiegato che era un appassionato collezionista Non m’arcordo chi me lo presentò e neanche come si chiamasse, ma m’arcordo che aveva la moglie bella. Questa era un buon incentivo per andarlo trovare. Quel nostro primo incontro fu un momento importante nella mia vita: mi diede del “lei”. Questo mi sorprese, non ero pronto, non me l’aspettavo. Poi mi accorsi che anche la moglie mi dava del “lei”.

Quella sera pensai che ero diventato grande, e forse proprio per questo cominciarono altri interessi e cominciai a trascurare la collezione. In compenso ‘l babbo all’improvviso decise ch’era un’ottima idea continuare e la prese in consegna lui. Qualche volta l’aiutavo a mettere in ordine ed a catalogare e finivamo sempre in gran litigi. Non eravamo mai daccordo sul metodo. Poi il babbo morì ed io andai lontano.

La collezione é ancora lá in cantina, nella casa del Borgo.

 

E per finire c’é un’altra storia. ‘n c’entra quasi per niente co’ francobolli, ma ve l’arcoto lo stesso.

All’improvviso, dopo anni di silenzio, ci fu una sorpresa. Kazuko la mia amica giapponese mi scrisse una cartolina con un breve saluto dagli Stati Uniti. Non c’era indirizzo del mittente e non le potei rispondere.

Nell’estate del ’59 Carlo Bertuzzi, un amico di Bologna che d’estate veniva sempre al Borgo a trovare lo zio Luigi, mi annunciò che sarebbe andato negli Stati Uniti per studiare per un anno in un liceo americano. Io ero invidioso, ci serei voluto andare anch’io. Carlo mi scrisse delle cartoline, ne ricordo una con degli indiani piumati.

Quando ricomparve al Borgo all’inizio dell’estate dell’anno dopo eravamo tutti curiosi di sapere le sue avventure. Ma la prima cosa che mi disse, con calma e come se fosse la piú normale di questo mondo, fu straordinaria.

“Ti porto i saluti d’una tua amica. L’ho incontrata a Washington, nel giardino della Casa Bianca.”

Dapprima ci fu una gran sorpresa, che subito si trasformò in curiositá.

“Una mia amica?” gli chiesi ancora incredulo.

“Si, una tua amica giapponese.”

“Giapponese? Ma chi è. Ti prego, dimmi.” non riuscivo a capire chi potesse essere.

“Alla fine dell’anno scolastico ci hanno invitato tutti a Washington. Noi studenti stranieri eravamo piú di mille; un pomeriggio ci hanno portato alla Casa Bianca ed il presidente Eisenhower ci ha dato il benvenuto. Mentre girellavo per il giardino parlando e salutando mi son travato davanti una ragazza giapponese. Appena ha saputo ch’ero italiano mi ha detto che lei aveva un amico per corrispondenza. Un amico che abitava a Sansepolcro e che si chiamava Fausto ed io  prima che lei potesse dirmi il cognome,  l’ho interrotta: lo conosco, Fausto Braganti. É un amico mio!”

Io non c’ero, ma credo che tutti e due furono molto sorpresi e cominciarono a raccontare la strana circostanza di quest’incontro con un amico in comune, anche se lontano piú di 5mila kilometri.

Solo dopo pochi giorni mi arrivò una lettera dal Giappone, in cui Kazuco mi riraccontava la stessa storia, del suo fortuito incontro con Carlo.

Questo mi avava confermato che lei era molto, molto carina. Il mio interesse in questa seconda mandata di lettere non erano piú quello dei francobolli. Mi sembrava che ci fosse una certa simpatia fra noi due.  Ma poi la nostra corrispondenza non durò molto e lentamente si estinse, e non m’arcordo perché. Forse c’era solo un problema di distanza.

 15 dicembre 2009, Marblehead, MA USA                                                                                        

I  vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese. Mi raccomando, scrivete! Fausto Braganti      

 ftbraganti@verizon.net

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