Nel mio primissimo M’Arcordo mi misi a parlare della memoria individuale e di quella collettiva. Ora comincio a pensare che il mio concetto di “collettivo” si sta restringendo, ormai ci son le nuove generazioni che se si prendono la briga di leggermi, spesso non sanno di che cosa parlo e smettono di leggere. Se continuano magari credono che abbia vissuto ai tempi di Piero. Quel mio ‘colletivo” era forse nato da un senso d’ottimismo e di sicuro dalla mia ignoranza della realtà.
I mutamenti una volta erano lenti, ma poi si sono accellerati con velocitá da capocigiro. Il tutto se mi rattrista da una parte mi spinge a continuare prima che tutto scompaia. Poi alla fine va perso in ogni modo, ma almeno ho la speranza, forse l’illusione d’aver dato al ricordo un tantino piú di vita.
Ma perché dico questo?
Semplice, l’estate scorsa, in un ristorante a Gubbio ho visto in una delle sale in bella mostra sopra un armadio quest’aggeggio. Sorpreso della sua inaspettata presenza, considerando anche la calura della giornata, ho fatto dei commenti e l’ho chiamato per nome, c’era un gruppo di giovani che non capivano di casa stessi parlando e quando ho detto loro cosa fosse e come fosse usato m’hanno guardato in maniera sospetta, come se li volessi prendere in giro.
“Ma di che prete parla questo?” avranno pensato ed é finita li.
‘na volta le case erano fredde, parecchio fredde. Son nato in una delle pochissime case del Borgo che nel 1941 avevano il riscaldamento, ma io non me n’arcordo. M’hanno poi detto che c’erano dei monumentali radiatori di ghisa e la caldaia che andava a carbone e c’era anche Riccardo, il fuochista, che caricare la fornace. La su’ moglie era la Cesira, ed era la cuoca. Il Palazzo delle Laudi, dove noi s’abitava, fu acquistato dal PNF (Partito Nazionale Fascista) nel 1942 e noi fummo sfrattati ma non andammo lontani, forse 100 metri in Via dell Firenzuola 49. Li era freddo, tanto freddo come il resto delle case del Borgo.
Con le nebbie di novembre arrivava il primo freddo e l’umiditá nell’aria che entrava d’entro l’ossi, come dicevano allora, lo rendeva insopportabile.
Allora s’andava dalla Maria Cocciaia. Davanti al duomo c’era la sua bottega, dove vendeva vasi, piatti e cocci di tutti i tipi, e offriva tutta una fantasmagorica gamma di scaldini di tutte le dimenzioni e forme e fra questi c’erano anche le pretine, basse e piú larghe.
Il nostro appartamento era grande e vecchio ed i soffitti erano alti ed era un frigorifero. Quando arrivava l’inverno tutta la famiglia si riintanava in cucina, dove c’era un camino che non veniva mai acceso, e non m’arcordo perché. Però c’erano due piccoli fornelli col la graticola dove veniva accesa la carbonella. C’era una grande stufa di ferro, una di quelle con tutti gli anelli di ferro concentrici sulla superficie. M’arcordo una stanga lunga con un gancio che pemetteva di togliere e rimettere gli anelli caldissimi. Li venivano cucinati i pasti ed allo stesso tempo il calore della stufa riscaldava l’ambiete. Importante era anche la bragina e piú avanti vedremo perché.
La nonna Santina aveva uno scaldino di ferro, un ricordo, come diceva lei, del suo periodo romano, quando era stata a servizio nella villa del principe russo. Il vantaggio di questo era che lei stando seduta. poteva poggiare i piedi sull’asticciole di legno del sopra, nascondere il tutto sotto la gonna lunga ed ampia e sentire il calore salire dal basso. Ogni tanto il babbo faceva dei commenti su dove andava a finire quel tepore. Da Roma dell’inizio del novecento, questo scaldino é arrivato in America con me e anche se non ci metto la bragina, lo tengo sotto la poltrona, quella accanto al caminetto. M’arcorda la nonna Santina Giunti di Baldignano.
Il resto dell’appartamento, composto di tutta una serie di stanze, corridoi e camere e si poteva fare il giro in tondo, era freddissimo. Le cucina al contrario era piccola rispetto agli altri stabili ed era caldissima come un forno, da mozzare il fiato. Al tutto veniva aggiunto il profumo dei sigari o del tabacco che il nonno fumava con la pipa. A quei tempi non c’era televisione, ma in compenso avevamo la radio. C’era sempre un uccellino che cinguettava, ma non so perché. L’ho risentito nell”Amarcord di Fellini. Al tocco ed alle otto di sera c’era il giornale radio, ed allora non era permesso piú parlare. Il babbo ed il nonno richiedevano un silenzio assoluto. Dovevano sapere cosa succedeva al mondo ed io scoprii che il mondo era più grande del Borgo. Ricordo di quando parlando della Cina, Mao Tse Tung era salito al potere, dissero che dovevamo temere “il pericolo giallo” ed io ebbi paura. I cinesi sarebbe venuti e mi avrebbero portato via.
Allora s’andava a letto presto, s’andava a letto con le galine. Ma prima c’era tutto un rituale di preparazione, era una spedizione al Polo Nord. La mamma e la nonna tiravano fuori le pretine e con la paletta di ferro, una specie di cucchiaone piatto, le riempivano di bragina, che poi coprivano con la cenere. Era l’ora di prendere il prete, un aggeggio di leggere stanghe di legno, da infilare nel letto sotto le coperte, che diventava come una collina. Appendevano cautamente la pretina ad un gancio posto nell’alto all’interno del prete e richiudevano il tutto tirando le coperte.
In quegli anni, dopo guerra, io dormivo in camera col nonno. Era una stanza grande. Dicevano che una volta s’era gelata l’acqua nella brocca del lavabo. C’erano due letti matrimoniali, tre comodini, una scrivania massiccia, un canterano, due armadi e la macchina da cucire. Io ero piccolo e dormendo nel grande letto di ferro e mi sentivo sperduto. La sveglia del il nonno era rumorosa e spesso mi faceva dormire. Quando la mamma mi accompagnava in camera i due letti erano come delle colline. Io avevo una sottomaglia di lana, di quell pizzicose, fatte a mano, e poi mi faceva mettere il pigiama di peloncino. Toglieva la pretina ed il prete e mi faceva entrare a letto di corsa. Era caldissimo, era come entrare in un forno, era come una tortura. Quando divenni piú grande la convinsi di togliere quel trabiccolo almeno 10 minuti primi che andassi a letto. Era un’operazione che non mi permise di fare fin quando ero un adolescente. Non si fidava di me, temeva che facessi cadere la brace nel letto e dar fuoco a tutta la casa.
C’era una storia che mi faceva tanto ridere quand’ero piccino. Si diceva che una volta uno viaggiatore arrivò ad una locanda del Borgo. Era freddissimo ed il gestore premuroso gli chiese:
“Vole che gli mettiamo ‘l prete a letto per riscaldarlo?”
Al che lo sprovveduto disse:
“No, no! Ne posso fare a meno.”
Poi nel 1957 cambiammo casa e nel nuovo appartamento c’era il riscaldamento. I preti, le pretine e gli scaldini finirono fra tutti quegli oggetti abbandonati nel trasloco.
Il primo giorno, o meglio la prima notte, che son andato all’universitá a Firenze mi son tolto il pigiama e la cannottiera e da allora ho sempre dormito nudo.
Verso il 1950 ci fu una grande novitá, arrivarono i fornelli a gas. Prima era stato usato, ma credo in modo molto limitato il metano. Questo a parte il fatto che puzzava era considerato molto pericolo. Le bombole di ferro assomigliavano ai siluri che si vedevano nei film dei sottomarini.
Ricordo il giorno che portarono a casa il fornello a gas e la mamma era felicissima, sarebbe stato tanto piú facile cucinare. M’arcordo che c’erano due compagnie di gas in bombole, forse ci sono ancora: Liquigas e Pibigas e si facevan gran concorrenza. Una di queste, forse era il 1951, fece venire un elicottero al Borgo per pubblicizzare il suo prodotto. Tutti andarono al piazzone per vedere l’atterraggio nei campi di Violino, dietro il Cinema Iris, piú o meno dove oggi c’é Orfeo.
Oggi le cose son cambiato, le case son belle calde, ma forse sarebbe stato meglio non aver buttato via preti e pretine. Non voglio essere un pessimista, ma immaginate se i russi decidessero di chiudere la manopola del gas?
Per finire:
Nel mio viaggiare ho scoperto che altra gente ha usato vari sistemi per star caldi. Uno è quello di riscaldare dei mattoni, poi li avvolgono in un panno per poi metterli nel letto. Come da noi ci sono le borse dell’acqua calda, ma prima della scoperta della gomma usavano delle bottiglie di vetro spesso da riempire con l’acqua calda. In Inghilterra si trovano ancora nei negozi d’antiquariato warming pans, degli scaldini di rame dal lungo manico di legno, che ripieni di bragina venivano manualmante strofinati sotto le lenzuola per riscaldare il letto. Non so quanto oggi si usi l’espressione “worming up baby”. Questa veniva usata per indicare il bambino nato ad una giovane sposata con un vecchio. Un altro gli aveva riscaldato il letto.
2 feb. 2010, Marblehead, MA USA
La Madonna Candelora de l’inverno semo fora,
ma se piove o tira vento nell’inverno semo d’entro.
I vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese. Mi raccomando, scrivete!
Fausto Braganti
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