Con o senza Salvo continuai le mie esplorazione della cittá, la lista dei musei era lunga. Tornai piú d’una volta a rivedere Il Battesimo e La Nativitá di Piero, perché poi gira e rigira finivo sempre dalle parti di Trafalgar Square. Forse avevo bisogno di questo tenuo legame col Borgo. Non m’arcordo d’aver visto il San Michele Arcangelo, forse non sapevo neanche che ci fosse anche questo.
Ma perché l’avevano venduti? Poi ripensandoci penso che la ragione fosse molto semplice: c’era qualcuno che voleva i soldi. Piero non piaceva, non era conosciuto, era troppo diretto, semplice o addirittura primitivo rispetto alla pittura rotondeggiente che era venuta dopo. Immagino che quei preti della metá dell’800cento si saranno sentiti fortunati che fossero arrivati al Borgo degli strani mercanti pronti a sborsare soldi per quadri relegati in sacrestia, croste affumicate per secoli dal fumo dei moccoli. A quei tempi, durante le mie visite, ancora m’arrabiavo, ora ho cambiato un po’ idea, ma non ne voglio parlare, é un discorso complesso e questo non é il momento giusto. Voglio solo dire che loro le hanno comprate e noi gliele abbiamo vendute, non é stato come quando Napoleone fregava ovunque.
Quando nel luglio del 1970 mi incontrai con un gruppo di Borghesi, come ho arcontato nel 32simo M’Arcordo…
https://biturgus.wordpress.com/32-marcordoi-borghesi-a-londra/ la prima iniziativa fu quelle di portarli a vedere le opere di Piero che gli inglesi ci avevano preso per quattro soldi.
Ma alla National Gallery feci anche delle scoperte, ovvero dei pittori di cui non ne avevo mai sentito parlare. Il primo fra questi fu Hogarth, un pittore inglese del primo settecento. Mi piaceva la sua narrativa, una serie di dipinti, spesso poi trasformati anche in stampe, che raccontavano delle storie, una specie di fumetto. É stato un maestro nel tramandarci la vita inglese del suo tempo. Mi fermavo a lungo a studiarne i dettagli. Solo anni dopo trovai un grosso volume in una biblioteca con una gran raccolta delle sue stampe e con queste la precisa spiegazione d’ognuna in tutti i suoi dettagli.
L’altra scoperta fu Rogier van der Weyden, ma forse sarebbe meglio dire che ero affascinato dal ritratto d’una verginale dama senza nome in preghiera. Ma le mie emozioni non erano mistiche, anzi. Ero affascinato proprio da quel suo sguardo sommesso, dal suo pallore ma sopratutto dalla sua bocca, dalle sue labbra. Immaginavo che dietro a quella pia facciata c’era un gran fuoco. Cercavo di immaginare come sarebbe stato baciarla. Ma chi avrá provato quell’emozione? Ma chi avrá sentito quelle labbra aprirsi? Ancora oggi quella bocca mi affascina. Poi scoprii un altro suo quadro in un’altra National Gallery, quella di Washington, anche questo piccolo e con l’immagine d’un’altra misteriosa pia dama, forse borgognona. Le labbra di quest’ultima sono ancora piú turgide. Quando vedo una foto d’Angelina Jolie penso a lei. Ma chi ha conosciute queste donne?
Intendo il verbo conoscere in senso biblico e ne sono invidioso. Al contrario della Maya Desnuda, che ben poco lascia all’immaginazione, in questo caso é proprio l’immaginazione di ciò che non si vede che prende il sopravvento. Lei mi ha sorriso, son sicuro.
Durante la mia ultima visita a Londra, circa 6 anni fa, son tornato a rivedere Piero nella sua nuova sala, ed anche per far vedere queste opere a Pascale. Sono poi andato a cercare la mia dama fiamminga, ma non c’era, era sparita, ma dove era andata? Non era piú dove l’avevo lasciata. Non fui contento fin quando l’ho ritrovata in un’altra sala. Il quadro piccolo era circondato da altri e l’avevano spostata.
M’arcordo la visita all’Imperial War Museum. Anche questo era una di quelle istituzioni create per commemorare il sacrificio di tanti, e penso anche per aiutare gli inglesi ad accettare la realtá dei nuovi tempi con le glorie del passato. Noi avevamo perso la guerra e con questa anche l’impero, loro al contrario l’avevano vinta ma alla fine avevan perso l’impero lo stesso. Non fu bello scoprire che avevano dedicato tutta una stanza all’attacco dell’aviazione inglese al porto di Taranto ed alla distruzione della nostra flotta, certo non una giornata di gloria per l’Italia.
Al British Museum vidi la Magna Carta, ma quello che mi colpì di piú fu la Rosetta Stone.
Ma cosa mangiavo in quei giorni? Non ho grandi ricordi. So solo che non avendo molti soldi, meno spendevo e piú sarei potuto rimanere, quindi l’unico obbiettivo era solo quello di sopravvivere. Scoprii che per pranzo nei pubs servivano delle pietanze, il cosidetto pub food e non erano troppo caro. C’era una catena di ristoranti che si chiamava “Golden Egg” e li mangiai tante frittate, costavano poco e c’era pane a volontá, anche se non era come quello del Borgo. Un’altra scoperta furono i doughnuts (bomboloni), untuosi e zuccherosi. Ovunque andavi c’era sempre un Lyon’s Tea Shop. Con due doughnuts ed una tazza di te mi riempivo lo stomaco e continuavo a camminare. Ogni volta che sono uscito con la mia amica inglese andavo alla Corner House (mi sembra si chiamasse così) dalle parti di Shaftersbury Avenue. Nello stesso edificio c’erano molti ristoranti su vari piani. Lei mi portava sempre a quello che a prezzo fisso potevo mangiare quanto volevo e ritornare a prender cibo tutte le volte che volevo. Infine per la prima volta mangiai anche l’infamous Wimpy, quello fu il mio primo incontro con l’hamburger.
Alcune volte con Salvo di sera andavamo ad esplorare Soho e noi si guardava solamente. Non mi sono mai avventurato in uno di quei locali per vedere uno strip-tease. La ragione era semplice, non me lo potevo permettere.
Un giorno, ormai avevo cominciato a pensare che era ora di partire, sará stato verso la metá d’agosto, uscendo di casa incrociai una ragazza che camminava con due piccole bambine bionde. Ci guardammo, la conoscevo.
“Giovanna?”
“Si! Sono io, e tu sei Fausto del Borgo, amico di mio cugino.”
E fu così che incontrai la Giovanna di Perugia, che lavorava come ragazza alla pari in una famiglia inglese, Abitava un paio d’isolati dal mio bed-sitting in Holland Road e quelle erano le bambine di cui prendeva cura. La conoscevo poco, di vista; era la cugina di Paolo(ne) Salvi, anche lei nipote di Santino la Guardia, capo delle guardie municipali di Sansepolcro per una vita e nome mitico nella mia infanzia. Lei non aveva amici e cominciò a venire spesso da noi, e divenne amica anche con la ragazza di Salvo.
Una sera andammo al cinema, a vedere un nuovo film appena uscito con Kim Novak “The Amorous Adventures of Moll Flanders”. Non lo potevo perdere: Kim Novak mi piaceva tanto. La sala era gremita e quando Vittorio De Sica, che interpretava la parte d’un conte libertino, disse una battuta in italiano, Giovanna ed io fummi gli unici a far una gran risata. Mi sentti addosso lo sguardo incuriosito di tanti e qualcuno ci chiese la traduzione. Quella sara, da sempre frustrato dalle limitazioni del mio inglese, mi sentti rivendicato.
Con un po’ di tristezza ed allo stesso tempo convinto che era ora, decisi ch’era arrivata l’ora d’artornare a casa. Dovevo ricominciare e studiare. Presi anche un’importante decisione: questa volta non avrei fatto l’autostop, avevo abbastanza soldi per comprarmi il biglietto del treno. Alla fine pagando ostelli e mangiare per almeno 4 o 5 giorni avrei speso di piú. Mi dissero che c’era un’agenzia di viaggio per studenti dalle parti di Victoria Station e comprai un biglietto con un gruppo, era abbastanza economico e la data della partenza fu fissata.
La ragazza di Salvo ed altri con cui lei andava a scuola d’inglese organizzarono un picnic. Era la mia ultima domenica, sarei partito dopo pochi giorni, a tutti assieme in autobus andammo a Richmond Park. Per la prima volta vidi i cervi che libaramente vagavano per i prati e che non fuggivano via, anzi sembravan che venissero contenti a farsi far la fotografia con noi. Fra tutta quella gente, incontrai una ragazza francese. Me so’ scordato ‘l nome, ma m’arcordo che era carina e che mi piaceva molte e sembrava che fosse interssata alle mie attenzioni. Ecco la mia fortuna, incontrare una che mi piaceve e cui piacevo ed avevo il treno prenotato dopo un paio di giorni! Che sfiga! Siamo tornati a Londra e siamo rimasti da soli dopo che tutti gli ltri si son dispersi. Abbiamo girato fino a tardi tenendoci per mano. Le ho dato un bacio d’addio e non le ho chiesto neanche l’indirizzo e lei non ha chiesto il mio. Sentivo che sarebbe stato meglio così.
Forse era proprio l’ultimo giorno. Andai in un tea shop per il mio solito té with doughnut. Questi locali avevano lunghi tavoli comuni dove ci sedevamo accanto ad sconosciuti. Due belle ragazze si son venute proprio davanti a me a dall’accento ho capito che dovevano esser milanesi. La loro conversazione fu piú che interessante e pensando che io non fossi italiano si sentirono libere di parlare. Una si mise a raccontare dell’incontro amoroso della sera prima con un inglese e non risparmiava i dettagli. L’altra, curiosa, incalsava per saperne ancora di piú. Sembrava che non volesse perder nulla dell’esperienza dell’amica. Ed io ascoltavo, presi una seconda tazza di te e le due continuavano facendo paragoni con altre situazioni simili, e facendo confronti su chi era stato piú o meno bravo. Ed io ascoltavo. Dovevo andare e fui tentato di ringraziarle in italiano per tutto quello di cui mi avevan fatto partecipe. Ma non lo feci, non ne ebbi il coraggio.
Partii da Victoria Station, dopo aver mangiato l’ennesima frittata ad un Golden Egg della zona. Era nel pomeriggio e mi sentivo malinconico, forse avevo il sentore ch’era la fine d’un’epoca: non feci mai più l’autostop
Londra m’era piaciuta. Era stata la mia prima esperienza di vivere per quasi due mesi in una vera grande cittá. Non avevo imparato l’inglese per osmosi come m’ero illuso, ma avevo imparato ad apprezzare la grandezza e la ricchezza di esperienze che la cittá m’aveva offerto. Tutto quello spazio che sa da un lato mi poteva intimidire, in fondo ero ‘n citto del Borgo, e farmi sentir perso, dall’altro mi aveva insegnato a guardare piú lontano, a distrugge le barriere vere od inventate, alla fine credo d’aver imparato ad esse libero.
Proprio per tutto questo sarei stato contento di ritornare a Londra tre anni dopo. Sarebbe stata un’esperienza differente, avrei lavorato e mi sarei anche sposato. I Beatles si sarebbero separati ed i Rolling Stone avrebbero cominciato una carriera che dur’ancora.
In treno ritrovai Diana (?) la ragazza sarda, quella incontrata il giorno del mio arrivo, mentre usciva dalla National Gallery. Le insegnai “Addio Lugano Bella” ed altre canzoni di quel genere, altri ragazzi s’unirono a noi e fu un gran cantare. Fu una prova generale per il ’68. Al tramonto, dopo la Manica, siamo sbarcati in Francia.
Nella notte calda ad un certo punto il treno, rallentando é entrato in una cittá sconosciuta. Procedeva piano piano parallelo ad un sentiero alto che costeggiava i binari. Una donna in bicicletta pedalava quasi alla stessa velocitá del treno.
“Comment s’appelle cette ville?” le ho gridato.
“Ammiens!” ancora sento l’eco della sua risposta.
Sono arrivato a Firenze nel pomeriggio del giorno dopo ed ho trovato Roberta che mi aspettava. Fu una gran sorpresa, non sapeva neanche con che treno sarei arrivato … ma questa é ‘n’altra storia, di quello che non é successo.
Ma allora che c’entrano i Rolling Stone? C’entrano solo perché ce li voglio far entrare. La loro musica, anche se preferivo i Beatles, rappresenta per me un legame con quel periodo londinese, almeno con quello di quando poi ci son ritornato.
A Marblehead avevo degli amici, adesso abitano in Inghilterra, ed era famosi per organizzare delle cene favolose, sempre con degli ospiti interssanti. Poco prima di Natale (2001) ricevetti un invito per uno dei loro banchetti, ci sarebbero state circa venti persone.
“And guess who is coming for dinner?”
“Who?”
“Keith Richards and his wife Patti!”
Ma chi era Keith Richards? Era un nome conosciuto, fui incerto solo per un momento.
“Who? Keith Richards of the Rolling Stone?” domandai incredulo.
“Yes!”
E fu così che poche sere dopo mi trovai a cena con lui e con sua moglie, seduto proprio davanti a me. Era simpatico e molto alla mano.
PS: molti anni dopo incontrai a New York il presidente d’una grande compagnia italiana. Era una riunione formale ed importante e c’erano molte persone. Lui era uno di quei bambini del Borgo a cui la mia amica aveva inseganto l’inglese e prima d’iniziare il meeting, senza nessun preavviso, mi chiese ad alta voce:
” Fausto, dimme, ma te la sei pipata la H.?” Immaginate la faccia di tutti gli altri e tutti gli sguardi si diressero su di me.
“Mi sa che questo non sia il momento giusto per parlarne”. Fu la mia risposta ed ancora non gliel’ho detto.
6 aprile 2010, Marblehead, MA USA
Fausto Braganti
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