ovvero della Goliardia e delle Feste delle Matricole.
Come ho giá detto quando andai a Scienze Politiche le cose cambiarono. Il cambio stesso della facoltá, anche se non era stato facile, mi aveva dato una nuova energia, c’era in me un desiderio di rinnovamento, in fondo cercavo solo di riinventare Fausto. Sapevo solo che non ero soddisfatto di quello ch’ero stato, dovevo trovarene un altro.
Rimasi amico con quelli di Farmacia, in particolare con Franco e Daniele. Un venerdi sera di novembre (1963) mi invitarono ad unirmi a loro e ad altri per catturare, legare e trascinare in cordata le matricole di Farmacia che uscivano dalla lezione di zoologia. L’ingresso della Specola era l’androne scuro d’un vecchio palazzo e noi ci posizionammo dietro i battenti del portone in attesa delle nostre vittime. Capimmo subito che ci sarebbe stato un problema tecnico: per fare una cordata ci vuole la corda, la corda giusta e noi ci ritrovammo con una corta. Non m’arcordo chi s’era preso l’impegno di trovarla. Il secondo problema era quello che eravamo in pochi a compiere la missione ed infine, quando le matricole cominciarono ad uscire, scoprimmo ch’erano molte di piú di quelle che ci aspettavamo, c’erano con loro anche quelle di biologia, infine c’erano tante ragazze che si misero a berciare come matte, forse temevano di finire in mutande, in cordata anche loro. Conclusione: la missione falli miseramente. Ci fu un fuggi fuggi generale, con spintoni e gomitate e noi riuscimmo ad accalappiare solo un paio dei piú imbranati. Non c’era altro da fare che lasciarli andare, una cordata con due persone sarebbe stata imbarazzante per noi.
Per consolarci del nostro insuccesso ci mettemmo a scorrazzare per le strade cantando; finimmo dalle parti di Porta Prato dove uno di noi conosceva una bella ragazza di biologia (?) dai capelli lunghi e nerissimi e noi le facemmo una serenata. Per l’occasione ripulimmo il nostro repertorio goliardico e cantammo solo canzoni castigate e romantiche. Lei venne alla finestra, stava al piano terra, e si poteva ammirare da vicino il suo sorriso soddisfatto. Era bella per davvero. Non m’arcordo il resto della serata, o meglio della nottata, so solo che vagammo senza meta e andai a letto tardisssimo dopo aver cantato il Gaudeamus Igitur, che era una specie d’inno ufficiale. A proposito di questo c’erano due scuole di pensiero: c’era chi diceva che “igitur’ si pronuncia normalmente come se fosse italiano, con la “g” dolce come in “Gino” ed altri che si autodefinivano puristi invece sostenevano che con la vera pronunzia latina si doveva dire”gh” come in ghitarra. Gli studenti tedeschi usavano sempre questa dizione. Ma poi chi sa come i romani l’avrebbero detto?
http://www.youtube.com/watch?v=dlq3867YR20
Quel sabato mattina, forse era verso le 10, mi incamminai mezzo addormetato per andare alla stazione per tornare a casa a Sansepolcro. Ad una edicola d’angolo sotto casa lessi la scritta a lettere cubitali:
KENNEDY ASSASSINATO.
Rimasi incredulo, esterrefatto dalla notizia. Entrai in un bar e tutti parlavano dell’evento. Io e i miei compagni di baldoria eravamo forse stati gli unici a non apprendere la notizia la sera prima. Mentre il mondo intero seguiva alla radio ed alla televisione la cronaca del tragico evento, noi spensierati si cantava le ingloriose avventure di “Fanfulla da Lodi” e del “Frate di Certosa”.
Ogni anno qui negli Stati Uniti dove abito il 22 novembre si ricorda la morte del presidente e per associazione d’idee e inevitabile per me ricordare anche la sera prima ed un piccolo pensiero va anche a quella ragazza dai capelli neri, ma come si chiamava?
A Firenze la sede di Scienze Politiche era in via Laura e nello stesso edificio al terzo piano c’era la facoltá di Giurisprudenza, credo che adesso si son tutti traslocati a Novoli. Quando cominciai a frequentare le lezioni subito scoprii che in una piccola stanza c’era la sede del Sacro e Privato Ordine del Cilindro. Mi presentai e fui subito amichevolmente accettato, anche se per un breve periodo c’era qualcuno che al mio apparire non poteva fare a meno di far battute come:
“Ecco arriva il farmacista!” o “Hai portato i preservativi?” e così via, ma non durò molto, poi si dimenticarono.
Fu così che entrai nella Goliardia, diciamo quella ufficiale, riconosciuta e con le sue tradizioni. Ci furone cene, balli mascherati, processi alle matricole, smutandate e condanne varie a secondo del malcapitato, ma il tutto con un tono beffardo e certo non crudele. In fondo serviva a trovare chi era di spirito e sarebbe diventato uno di noi. Sapevamo divertirci con poco. M’arcordo d’uno studente israeliano baffuto che fu sottoposto ad un esame di parolaccie. Lui parlava italiano benissimo, l’aveva imparato in famiglia infatti erano d’origine fiorentina. In casa non avevano mai parlato di fica e tantomeno di scopare e lui fu bocciato, la sua ignoranza in materia era totale! Ebbe lezioni private per colmare le sue lacune e gli furano dati i compiti a casa, doveva scrivere in un quanderno le parele che aveva imparato centinaia di volte. Inoltre gli fu tagliato un baffo e gli fu anche ordinato di non togliersi l’altro o di portare una sciarpa. Per settimane l’unico esemplare di monobaffuto andò in giro per Firenze; ogni tanto compariva tutto timido nella sede dell’ordine e chiedeva il permesso di farselo ricrescere, che crudelmente veniva negato. Credo che alla fine intervenne un professore ed il poverino ebbe il permesso di togliersi il baffo sopravvisuto per poi farseli ricrescere assieme.
Con l’arrivo del nuovo anno (1964) cambiai casa ed mi trasferii alla Pensione Parterre della Sig.ra Checcucci, dalle parti di Piazza della Libertá.
Nella pensione, dove eravamo quasi tutti studenti, regnava uno spirito di baldoria permanente e non mancavano gli scherzi, le feste, le cene, e le gran cantate. Qualche volta si studiava, specie sotto esami. Sembrava che la signora fosse contenta di noi. La nostra spensieratezza la faceva sentire giovane, come diceva lei. Ed in questo concatenarsi di M’Arcordo… ne ho giá parlato.
https://biturgus.wordpress.com/54-m’arcordo-quando-se-stava-in-pensione-dalla-sigra-checc/
Fu allora che per spirito goliardico o forse per solo semplice e puro snobbismo invece d’indossare il cappotto quand’era freddo, mi mettevo il mantello grigio scuro del nonno Barbino, il suo ultimo rotolò, come lo chiamava lui. Piaceva alle ragazze, specie quando con manovra svolazzante sopra la spalla le avvolgevo con un lembo, forse si sentivano protette o almeno così volevo creder io.
Come ho detto Leonardo ed io formammo un duetto canoro e dopo il debutto alle feste al Borgo eravamo pronti per la gran sortita: la Festa delle Matricole a Firenze del 1964, e fu un gran successo, e con la questua facemmo anche soldi. Fu allora che cominciammo a fare la prova dei “pecoroni” o meglio della “stupiditá umana”. Esempio: ci cominciava a cantare in Piazza San Marco e subito si formava un gruppo di studenti intorno a noi e si univano al coro. In pochi minuti il numero cresceva e cresceva e noi continuando a cantare si cominciava a camminare verso Via Cavour e tutti dietro. Quando vedevamo che il corteo s’era ben formato gridavamo:
“Piazza Signoria! Palazzo Vecchio! si va a far la serenata al sindaco! Avanti!”
E tutti ci seguivano cantando a squarciagola ed altri s’univano lungo il percorso; noi poi piano piano s’abbassavo il tono, si smetteva e nessuno s’accorgeva e così si sgattaiolava via dal gruppo e dal marciapiede si vedeva la masnada che s’allontanava verso la meta, ma senza piú i capi. Poi quando la canzone era finita, non essendoci piú noi che se ne intonava una altra, c’era un momento di silenzio, di incertezza, non sapevan piú cosa fare e si sbandavano.
Fu durante quella festa fu che incotrai Loreto, studente aquilano (oggi terremotato e sfollato a Roma) d’architettura; diventammo amici, grandi amici e lo siamo ancora oggi. Spesso mi viene a trovare qui a Marblehead, dove anche lui ha vissuto e lavorato per alcuni anni.
Diciamo che il ’64 fu una prova generale e che nel ’65 ci fu la gran sortita, Leonardo ed io andammo a 5 feste delle matricole: Padova, Bologna e Perugia facendo l’autostop. Il viaggio a Trieste fu differente, infatti ci fu un invito ufficiale da parte della goliardia triestina rivolto ai Balestrieri di Sansepolcro ed io ci andai in doppia veste: era un goliardo-balestriere ed io invitai Leonardo. Nel 1953, subito dopo il ritorno di Trieste all’Italia, i Balestrieri andarono a fare una gara di tiro al castello di San Giusto. Memori di quella dimostrazione d’amicizia gli studenti di Trieste ci invitarano ancora dopo 12 anni. Dopo il tiro nel cortile del castello scendemmo in cittá dove c’era la vera festa e fu allora che il Figini (il secondo da sinistra nella foto) fu colpito in pieno da una cannonata di farina.
A Padova facemmo nuovi amici, ed il Caffe Pedrocchi, pieno di storia e tradizione, era il posto ideale per quest’incontri; fu allora che conobbi Carlo e Marco. Il nostro repertorio canoro si arricchi con tante irriverenti canzoni venete.
A Bologna ci fu la gran partita di calcio in costume in piazza San Petronio, anche Nettuno era stato vestito e sembrava che volesse scendere dal suo piedistallo per unirsi a noi. Una delle squadre era quella dei vichinghi con grandi elmi cornuti. M’arcordo d’una ch’aveva due cornetti piccoli, piccoli ed un cartellino che diceva “vichingo dalla moglie fedele”. Sempre a Bologna fui ospite di Tonino La Tona e grazie ad una sua amica di nome Ardea (o forse era Aprilia, di certo mi ricordava una Lancia) conobbi Gabriella, una veneta che non volle darmi neanche un bacio, neanche quello di buona notte. Ma questa è un’altra storia, con dei postumi di quasi quarant’anni.
La festa a Firenze fu l’ultima di quella stagione. Cominciò ufficialmente col discorso del sindaco, ch’era giovane e di cui non ricordo il nome, ci arringò con tono goliardico in Piazza Signoria e concluse con l’epica frase:
“La cittá è vostra! Andate e procreatevi! E non dimenticate che il vecchio sistema è sempre il migliore!”
Al che la piazza intera rispose con un boato d’approvazione, d’antica mussoliniana memoria. Ripensandoci poi, con tutte le gran paure per le mestruzioni ritardatarie, non credo che quello del sindaco fosse stato un buon suggerimento. Mah, parliamo d’altro.
Quelli di San Salvi, che poi era l’Ordine Sovrano, ovvero esercitava o almeno credeva di farlo, una certa autoritá su quelli delle varie facoltá, aveva organizzato una rappresentazione teatrale da dare a Sant’Apollonia in via San Gallo (ovvero alla mensa). Per settimane avevan fatto le prove a porte chiuse, si sapeva solo che ci sarebbe stata una attesissima rappresentazione dell’Ifigònia in Culide, ovvero le tragiche disavventure della figlia del Sir di Corinto, quella sempre accompagnata dal coro delle Vergini dai candidi manti… sempre sane d’avanti. Ma io non la vidi, diciamo mi perdetti lungo la strada che portava al teatro. Infatti fu proprio quello il giorno che incontrai Roberta e quella sera persi la prima dell’Ifigonia. Nella vita dobbiam pure fare delle scelte. Volevo forse seguire la raccomandazione del sindaco?
Certi ricordi si confondono con le feste degli anni successivi, per esempio non son sicuro in quale festa Azelio, che era molto alto e barbuto e la cui famiglia veniva dalle colline dietro Anghiari, arrivò trionfante a tutta velocitá in piazza San Marco seduto nella la sua vasca da bagno motorizzata. Ci aveva lavorato tutto l’inverno ed era venuto fuori un veicolo funzionante con ruote, sterzo ed il vecchio motore d’una Vespa che andava benissimo. Scorrazzò tutto contento con l’ammirazione di tutti per il centro fino a quando la parcheggiò, si distrasse per un momento e subito gliela fregarono. Povero Azelio, era così sconsolato!
Lo so questo M’Arcordo… va per le lunghe, un m’arcordo tira l’altro, prometto a quelli che son arrivati fin qui, con il prossimo concludo.
11 novembre, 2010, Marblehead, MA USA
Fausto Braganti
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novembre 12, 2010 alle 11:39 am |
A parte il Gaudeamus Igitur che era effettivamente l’inno isttituzionale degli studenti, fin dai tempi del liceo durante le gite scolastiche, mi ricordo di alcune specie di stornellate come “Stanotte una zanzara non mi facea dormire……………………………”, oppure “La mi’moglie l’è donna dda ppoco l’ha paura persino del foco…………………” o anche “La signora di Via Panicale con le ciocce ci struscia le scale……………..”, che adesso non sto qui a scrivere completamente, ma che se ti interessano posso anche inviarti per esteso.
A te ne vengono altre in mente di questo tipo?
Ciao Fausto.
Giovanni
novembre 13, 2010 alle 6:15 am |
che ne pensi Giovanni d’organizzare una cena goliardica quando artorno al Borgo la prossima volta? spero a febbraio.