Ma vi siete mai domandato, ma dove sono andate a finire le pietre della Torre di Berta? Vediamo un po’.
Come ho già detto i fascisti erano stati i primi a partire da Sansepolcro, ed alcuni si portarono dietro anche le famiglie (metà giugno 1944). Alla fine, con l’incalzare degli alleati che risalivano il Tevere, venne la volta delle ultime retroguardie tedesche, ma non si scordarono di visitare le banche e tutte le case che promettevano una qualche speranza di bottino; fecero razia di tutto quello si potevan portar dietro. Il mi’ babbo mi raccontava che con loro lentamente si muovevano lungo le strade di Verghereto e di Viammaggio delle piccole mandrie di bestiame che avevano raziato in Umbria. Un soldato vide il sacco alpino del mi’ babbo, come lui chiamava lo zaino, e decise ch’era meglio del suo e se lo prese. A Dante Trefoloni presero una cavalla. I tedeschi non andarono lontano, piú o meno si apprestarono per svernare lungo il crinale dell’Appennino, la cosidetta Linea Gotica.
Non ho mai sentito parlare di stupri, ma forse ci saranno anche stati e son rimasti segreti di famiglia. Le truppe marocchine non passarono dalle nostre parti. Però si è spesso raccontato la storia, probabilmente è una di quelle che oggi si chiamerebbe leggenda urbana, d’una matura contadina e non particolarmente attraente che quando scopri d’essere l’oggetto agognato delle brame d’un tedesco disperatamente arrapato, non pose alcuna resistenza, anzi! Si mise subito in posizione ricevente e con un tono di scusa come se avesse voluto offrirgli qualcosa di meglio, disse:
“Io gliela do come ce l’ho!”
Sansepolcro divenne terra di nessuno, piena di macerie e senza la sua Torre, ancora in attesa dell’arrivo degli alleati, che per traversare la valle, meno di dieci kilometri ci misero quasi un mese, ed arrivarono alla fine d’agosto.
Vari reduci mi hanno raccontato il senso di incommensurabile gioia nello sbucare magari a Val de Gatti e rivedere la valle che si apriva davanti a loro.
Erano artornati a casa, loro ce l’avevano fatta!
Dopo tanti vicissitudini, difficoltà, pericoli d’ogni tipo, fame, sete, dal freddo della Russia al caldo rovente del deserto, finalmnete solo pochi kilometri li separavano dai loro cari. Ma poi? C’era qualcosa di strano nel paesaggio, avvicinandosi capivano che Sansepolcro non era piú lo stesso, mancava qualcosa, ma cosa? Ecco! Ecco cosa mancava: la Torre! Il simbolo che per secoli s’era stagliato con fierezza nel cielo non c’era piú. Lo spirito del paese era frantumato, sono stati in tanti quelli che hanno pianto. Almeno le ciminiere della Buitoni svettavano ancora da lontano. Poi avrebbero tristemento appreso che anche lo stablimento non c’era piú. Per molti voleva dire che non avevano piú il lavoro.
Primo fra i vecchi antifascisti riemerse Carlo Dragoni, quello che, come ho già arcontato, il mi’ babbo aveva visto preso a nerbate dai alcuni squadristi a Porta Fiorentina nel 1921 e con lui ricomparve nella scena politica Luigi Bosi, il vecchio senatore socialista, ma credo che lui fosse malato e dopo non molto morì. Si insediarono in comune ed assieme ad altri cittadini, che non s’erano compromessi col regime, cercò di mantenere e dare un po’ d’ordine e di controllare possibili abusi. La relazione di Dragoni con i giovani partigioni fu burrascosa. Anche il vescovo Pompeo Ghezzi, già anziano e sempre amareggiato di non esser riuscito a salvare la Torre, svolse un ruolo importante nel cercar d’ardare fiducia alla popolazione. Nel cuore di tanti c’era la speranza che la guerra fosse finita, almeno per quello che ci rigurdava: il fronte era passato, ovvero il peggio.
Continuarono i saccheggi e questa volta non erano solo i gli ultimi tedeschi e tanto meno gli extracomunitari che allora non c’erano, ma alcuni Borghesi. Dopo lo stablimento Buitoni venne saccheggiata la Casa del Fascio, ovvero il Palazzo delle Laudi. Ho conosciuto uno di Porta Romana che aveva una monumentale scrivania ed una sedia di tipico stile novecento che veniva proprio da lì. Furono saccheggiati i magazzini della Scuola di Fanteria, che si trovava a Santa Chiara. Poi ci furono anche quelli che andarono a rubare nelle case dei vicini. Per prime furono prese di mira quelle di quei fascisti ch’eran partiti, in questo caso diciamo che il maltorto veniva giustificato col voler credere che quella era una giusta ricompensa per gli abusi subiti. Poi ci furono quelli che continuarono a setacciare le macerie dello stablimento Buitoni nella speranza di trovare ancora qualche cosa. Non fu certo un momento edificante nella storia del Borgo o meglio dei borghesi (quelli con la “b” minuscola) ed ecco perchè se ne parla così poco, anzi non se ne parla proprio per niente.
Uno di quei fascisti, che chiamerò Francesco e che era partito a giugno artornò al Borgo con la famiglia dopo quattro o cinque anni. Quando il mi’ babbo seppe che il suo amico era tornato e che il figlio era in classe con me mi chiese d’essergli amico:
“Lui non conosce nessuno, gioca con lui, aiutalo. Diventa il suo amico.”
E così fu.
L’appartamento di Francesco era uno di quelli saccheggiati ed al ritorno fu capace di ricuperare tutti i pezzi la sala da pranzo che erano in una stanza della caserma dei carbinieri. Fu la moglie di lui quella che si presentò a reclamare il maltolto; avevano pensato, giustamento, che sarebbe stato piú facile per una danna, ma quello fu il solo che riuscirono a recuperare.
Francesco era stato un impiegato della Buitoni. Dopo la cattura a Milano nel maggio del ’45, fu per un certo periodo internato in un campo in Puglia (?). Fu liberato, ma pensò bene che non era ancora arrivato il momento di artornare a Sansepolcro. La Buitoni, ma forse sarebbe meglio dire il Sor Marco ed il Sor Giuseppe in persona, cercarono per quanto possibile d’aiutare un po’ tutti, incluso i vecchi fascisti. Così questo fu di nuovo riassunto e gli fu assegnata una rappesentanza in una città del sud, aveva di nuovo un lavoro e non aveva bisogno di ritornare, almeno non subito. Ma ci furono anche quelli che non tornarono piú, incluso un Buitoni, diciamo un fascista cattivo (parole del nipote) con la coscienza sporca, ch’era d’un ramo cadetto.
Quelli furoni gli incerti giorni d’agosto del ‘44, con la paura dominante che i tedeschi potessero ritornare e fare una gran rappresaglia, mentre le truppe che avrebbero dovuto “liberarci” erano ancora parcheggiate nel lato sud della valle.
La Torre di Berta crollando aveva riempito la piazza con un cumolo di macerie e la Via Maestra era ostruita in vari punti. Venendo da Porta Fiorentina si doveva girare a sinistra all’altezza di Via Pettorotonto (attuale macelleria Poggini) per prendere Via della Castellina per sbucare davanti al duomo, traversata la via si entrava sotto le loggie del vescovato per poi sbucare nel Borgo Nuovo, come ancora si chiamava Via Piero della Francesca, e quindi riimmetersi nella Via Maestra per raggiungere Porta Romana, anche questa piena di rovine.
I partigiani erano scesi dalle montagne e s’erano insediati nella caserma dei carabinieri in via Aggiunti. Nel frattempo noi eravamo ritornati ad abitare nella casa in via della Firenzuola, avevano messo un gran telo incerato per tappare il buco sul tetto, il tempo era bello e non fu un gran problema.
Non so i dettagli di questa storia, ancora una volta in famiglia s’era deciso che di questo episodio se ne parlava poco, ed io non ho memorie in prima persona. Diciamo che questo piú o meno è quello che successe.
Il mi’ babbo, al rientro a Sansepolcro, s’era ammalato; aveva preso quelle che venivano chiamate “febbri intestinali”, che poi non sarebbe stato altro che dissenteria. Nei primi giorni d’agosto era a letto febbricitante e debole, quando ci fu un gran scampanellio ed un bussar pesante alla porta. La mamma si trovò davanti un gruppetto di giovani, molto giovani, partigiani con mitra in mano e pistole alla cintura. Volevano sapere dov’era Renato Braganti. Tutte le paure della mamma si stavano avverando, c’erano quelli che si ricordavano del passato fascista del babbo. Non ascoltarono le proteste della mamma che gridava piangente che il marito era malato, si fecero largo ed entrarono in casa; arrivati in camera da letto ordinarono al mi babbo di vestirsi e di seguirli. C’è ben poco da dire a quelli che hanno la pistola in mano. Per quanto ne sappia non ci fu nessuna violenza eccetto qualche spintone nel trascinarlo fino in caserma, che era vicinissima. Si ritrovò davanti ad altri giovani partigiani seduti dietro un lungo tavolo (che fosse quello parte della sala da pranzo di Francesco?); questi facevano la parte di improvvisati giudici del popolo. Cominciarano ad inveire contro di lui, promettando punizioni. Uno capi che il mi’ babbo stava malamente in piedi. Debolezza da diarrea e tanta paura gli facevano tremar le gambe? Qualcuno portò una sedia. Di nuovo non ci fu violenza fisica ma continuarono le invettive, ma non per molto.
“Ma chi ha dato l’ordine di prendere il Braganti?” Il babbo sentì gridare infuriato qualcuno che era entrato d’improvviso nella stanza.
“Chi è stato?” gridò ancora piú forte, dal tono della voce si capiva che quello era uno con autorità.
Il babbo si girò e vide Dario Alberti. collega alla Buitoni e suo compagno in tente memorabili pescate. Dario era comunista da sempre ed anche s’era stato nell’ombra per vent’anni, gli abusi del fascismo avevano rafforzato le sue convinzioni, non aveva mai desistito. Durante il periodo in cui i fascisti erano ancora al potere al Borgo aveva subito grandi soprusi anche da parte di concittadini repubblichini, e questo forse ve l’arconto ‘n’antra volta .
Alle proteste dei giovani che si giustificavano dicendo che volevano dare un esempio e che che era loro dovere punire chi era stato fascista.
“Il Braganti era fascista, fascista come tanti. Il Braganti non ha fatto mai male a nessuno. Mai! Anzi, al contrario quando ha potuto ha sempre aiutato chi ne aveva bisogno.” Forse si riferiva a se stesso? Non saprei. “Portatemi le prove dei malfatti, se ci sono, del Braganti, e poi decideremo.”
Fra i giovani partigiani ci fu un momento di incertezza, di confusione. Certo avrebbero voluto catturare almeno un fascista importante, ma quelli eran già via da giugno. Adesso si dovevano accontentare di quelli di seconda categoria come il mi’ babbo.
Nessuno fu capace di trovare prove o cercare testimoni dei possibili malfatti del mi’ babbo e l’atmosfera infuocate nella stanza si calmò.
“Allora riaccompagnalo a casa, non vedete che sta male, che sta male sul serio.”
E così finì l’impromptu processo del mi’ babbo. Di certo la gran paura non fu un’esperienza positiva per curare le febbri intestinali. Ci furono ulteriori incidenti con strascichi maleodoranti? La storia non ha tramandato alcuna indecorosa documentazione in proposito.
I partigiani travarono e radunarono un gruppetto di fascisti di seconda categoria e fra questi c’era anche una donna, e li mandarono a lavorare in piazza a smuovere le macerie della torre. Una pattuglia con i fucili spianati era sempre presente, davano ordini e controllavano che i prigionieri lavorassero. Molte delle macerie furono abbarcate nello spiazzo davanti a San Francesco, e ci rimasero per un bel po’. Per anni a venire quella pila di pietre fu una cava per chi ne avesse bisogno. Un po’ gente andò a vederli, mi fu raccontato che non ci furono incidenti, nessuno disse niente contro i “forzati”. Credo che tutti sapevano che quelli erano solo dei poveri malcapitati e che non avevano mai abusato o fatto male a nessuno.
Credo che solo dopo un paio di settimane furono mandati a casa. Un caro amico del mi’ babbo, l’ingegnere D. dopo questa umiliante esperienza lasciò Sansepolcro e non ci tornò mai piú. Anche lui era uno di quelli che s’andava a trovare durante le nostre visite a Milano.
Per quanto ne sappia io il Sor Marco Buitoni rimase nella sua villa ad Albiano, oltre la Motina e nessuno andò a disturbarlo. Il Sor Giuseppe, suo fratello, stava nella Villa Fatti e non credo che anche lui non ebbe problemi. Non credo che successe nulla neanche al Sor Gherardo Buitoni, forse lui era alla Grillaia, anche se la sua effige era in uno di quei tondini delle foto commemorativa dei primi fascisti di Sansepolcro.
La Buitoni, il simbolo dell’operosità di Sansepolcro era un cumolo di macerie ed il mi’ babbo, come circa altre mille persone, fu liquidato. La svalutazione della lira era galoppante e anche se al mercato nero si trovava quasi tutto i prezzi erano assurdi. Spesso ho sentito dire che per sopravvivere ci siamo mangiato in poco tempo i risparmi d’una vita e pensare che noi eravamo fra i piú fortunati.
Ma poi si cercava anche di trovare un lato positivo, infatti spesso la mamma diceva:
“Almeno possiamo consolarci col dire che non abbiamo patito il freddo, il fronte è passato d’estate!”
Ancora oggi a Sansepolcro, dopo quasi settant’anni, è sopravvissuta una testimonianza di quei giorni. Ci sono dei tondini di ferro a serpe infilati sul muro, alla base delle colonne, del giardino pensile della caserma dei carabinieri, dal lato che dà su via Luca Pacioli. Questi di certo erano stati piantati là ed utilizzati per avvolgere il filo spinato. Mi domando: ma quel reticolato serviva come difesa contro un possibile attacco dal di fuori, con tanto di scalata del muro, oppure nell’orto i repubblichini prima ed i partigiani dopo ci tenevano i prigionieri? Chi lo sa?
PS: Dopo la pubblicazione di questo M’Arcordo… ci sono stati vari commenti, che mi comprovano quanto sia ancora forte il nostro attaccamento alla Torre di Berta. E pensare che i sopravvisuti che se n’arcordano d’averla vista eratta son rimasti ben pochi. Io m’arcordo solo de la mi’ mamma che facendo la sua mano a coppa mi fece bere l’acqua della fontanella che era alla base della torre.
Sempre interessanti i commenti aggiunti che ci informano di dove andarono a finire le pietre della torre, ed anche quelli delle ruberie commesse dai nostri “concittadini”, che non si meritano questo appellativo, erano solo “sciacalli”, intelletuali quelli che rubarono i libri del mi’ babbo.
Ripubblico un’altra immagine delle macerie, già usata in un altro M’Arcordo… dove si vede chiaramente il perimetro quadrangolare della base della Torre. Queste tre sono le solo che conosco. Ne avete altre? Gli abitanti del palazzo (Vittorio allora non ci stava) con il portone ostruito entravano attraverso l’orto che aveva una porticina che dava in Via Sant’Antonio, penso che ci sia ancora. Fra i tanti che allora ci abitavano c’era lo zi’ Beppe (lo zio di Paolo Massi), e che con la moglie, di cui non ricordo il nome, gestiva una bottega di alimentari, locata fra il portone ed il Caffe Moderno, di cui si vede l’insegna nella foto. L’insegna sembra miracolosamente intatta.
10 gennaio 2013, Marblehead, MA USA
ftbraganti@verizon.net
Facebook: Fausto Braganti
Skype: Biturgus (de rado)
gennaio 11, 2013 alle 7:34 PM |
ciao Fausto,ho visto che ti preoccupi delle sorti delle pietre della Torre; in effetti sono state quasi integralmente riutilizzate per il restauro o le semplioci riparazioni dei Palazzi e delle case distrutte dalla guerra; di questo si è trovato memoria in occasione dei sopralluoghi finalizzati al Piano del Centro Storico, spesso i proprietari ci facevano vedere dei conci di pietra esagerati all’interno delle mura delle loro abitazioni vantandosi della loro provenienza e comunque ho avuto modo di interpellare persone che avevano partecipato alla ricostruzione come l’avvocato Baragli e l’ingegner Cangi che negli anni ’70, facevano parte della Commissione Edilizia, e mi hanno raccontato anche particolari inediti di quel periodo che hanno vissuto da adulti; infatti l’avvocato Baragli sta sfiorando i 100 anni e l’ingegner Cangi che era il suocero del professor Lanfredini Gastone, era nato alla fine dell’800.
Purtroppo la distruzione della torre si è portata via inesorabilmente la storia della nostra città, perchè al suo interno c’era un vecchissimo archivio storico.
gennaio 12, 2013 alle 7:40 am |
Grazie Giuliana, il tuo commento come di solito apportaimportanti informazioni. Sai se l’avvocato Baragli ha mai scritto su quel periodo? Penso che sia l’ultimo sopravvisuto dei protagonisti di quell’immediato dopo guerra, la sua conoscenza non dovrebbe andar persa. Mi rammarico di non avrlo fatto io.
gennaio 12, 2013 alle 8:13 am |
Bernardo Monti (da Facebook):
Che io sappia le pietre finirono nei terrapieni antistanti la Fortezza. Per quanto riguarda le ruberie durante il passaggio del fronte, anche a casa mia sparirono diverse cose, quando mia nonna sfollò a Montecasale e fu portata dai tedeschi come ostaggio, insieme ad altri, sino a Gambettola. Mio babbo diceva che per diversi anni subito dopo la guerra gli capitava alle battiture di riconoscere qualche zuppiera e servizio di casa. Si rammaricava però del furto di alcuni modellini di aerei in alluminio fatti dagli specialisti della sua squadriglia e dei quali è rimasto solo il MC 200. Semplificando, queste ruberie vennero genericamente attribuite ai tedeschi, ma ti posso dire che alcuni partigiani vennero denunciati per furto di bestiame da nostri contadini, ci fu anche un processo so che il denunciato era un concittadino, ma non conosco l’esito del giudizio.
gennaio 12, 2013 alle 8:16 am |
Fausto Braganti rispondento a Bernardo Monti (da Facebook):
Certo un bel palazzo come il tuo era promettente. Vennero a “visitare” anche casa nostra in via della Firenzuola e di certo erano locali, di certo italiani, non credo proprio che i tedeschi si sarebbero presi la briga di prendere dei libri, anche se rilegati in pelle. Presero della biancheria e portaron via il cassetto con le posate d’argento, che a seconda della mamma “eran pochine, il resto era cianfrusaglia vecchia placcata”. come ho detto, io ricordo una gran pila di pietre ben in ordine come un muro a secco davanti a San Francesco, ma non idea fina a quando ci rimasero.
gennaio 12, 2013 alle 12:32 PM |
non so se l’avvocato Baragli, ha scritto qualcosa su questo periodo, so però che è perfettamente lucido e che non ha perso la memoria, pertanto quando vieni a febbraio si può andarlo a trovare, gli farà sicuramente piacere. In relazione alle memorie relative al 1944, anch’io ho memorie storiche piuttosto tragiche; uno zio di 18 anni è morto in un campo minato dai tedeschi (il campo eè attualmente occupato dal palazzo dei maestri in via del Campo sportivo) infatti quando il Pecorellli costruiva la scuola sul retro del Palazzo, dovette interrompere i lavori perchè trovò alcune mine inesplose nel sottosuolo, ed un altro zio fu trovato impiccato ad un pero vicino alla loc: Giuncheto(gragnano).
gennaio 12, 2013 alle 4:52 PM |
tragico Giuliana!!!
gennaio 13, 2013 alle 6:11 am |
Questo il commento di Gian Domenico Vaccarecci lasciato su Facebbok:
Complimenti Fausto!
Sei bravissimo nel farci rivivere episodi ed emozioni di quei giorni … Quando torni a Sansepolcro vorrei farti conoscere e farti parlare col ‘mi babbo, classe 1920 che si è fatto 37 mesi Artigliere in Tripollitania: dal ’40 al ’43!
Sbandato, tornò in modo carambolesco in Italia, fu portato con altre truppe di sbandati a fare “addestramento formale” (!!!) all’Isola d ‘Elba (dopo 3 anni di guerra!).
Venne catturato dai tedeschi dopo l’8 settembre e scampò fortunosamente la deportazione tornando a piedi da Mantova …
Me lo ha sempre raccontato con semplicità, senza retorica e senza enfasi … adesso i tuoi racconti mi fanno riaffiorare e valorizzare i suoi!
Grazie Fausto.
gennaio 13, 2013 alle 6:16 am |
Questo il commento di Andrea Pichi Graziani ha lasciato su Facebook:
Dai racconti delle mie Zie, la Vittoria e la Nidia, i Tedeschi vennero a prelevare il Nonno Rodolfo Paoletti alla casa del Ghirga (nelle campagne di Monterchi) lo portarono al Magazzino che aveva per via degli Aggiunti e oltre alla merce gli portarono via anche la Balilla che era su un’altro locale con le ruote smontate.
(credo che l’ingresso fosse dietro l’angolo in via Giovanni Buitoni)
gennaio 13, 2013 alle 6:25 am |
Questo il commento che Rina Maslow ha lasciato su Facebook:
Gian Domenico, chissà se il tuo babbo si ricorda del mio zio, Sirio Zoppi della classe ’21. Anche lui fu catturato dai tedeschi e portato al campo di concentramento tedesco di Belsen-Bergen fino alla fine della guerra. Mi sembra aver sentito dire in casa che c’erano altri prigionieri di Sansepolcro nel treno che li portava in Germania e che alcuni avevano avuto l’opportunità di saltare dal treno in Nord Italia. Mio zio invece si era addormentato e perse l’opportunità di scappare.
gennaio 13, 2013 alle 8:50 am |
Andrea Pichi Graziani nel suo intervento ci racconta dei tedeschi che andarano a prelevare il nonno Rodolfo Paoletti a Monterchi. Ma come facevano i tedeschi a sapere che il nonno era la’? Questo mi ha stimolato la memoria. Al Borgo non ci furono solo gli sciacalli che andarono a rubare nelle case dei vicini, ma ci furono anche le spie. Me ne fu indicato uno, che fu informatore sia dei repubblichini e sia dei tedeschi. Era sdentato e a secondo quello che mi disse un giorno erano stati dei partigiani che dopo averlo preso gli buttaron giu’ tutti i denti con la punta d’una baionetta. Roba da Guelfi e Ghibellini.
gennaio 14, 2013 alle 6:44 am |
caro Fausto, con i tuoi M’Arcordo rinfreschi a tutti noi Borghesi i ricordi dei nostri genitori; complimenti ed un cordiale saluto