(i polacchi che armasero al Borgo)
Questa era la frase dipinta sul muro del Palazzo della Pretura in piazza Garibaldi, ma allora credo si chiamasse ancora Piazza Vittorio Emanuele, sulla destra proprio accanto al passaggio dell’Arco della Pesa. Uno degli ultimi tedeschi a lasciare Sansepolcro, uno che sapeva un po’ d’inglese, la scrisse con un gran pennellone a lettere cubitali ben allineate. La vernice usata doveva esser stata di buona qualità, infatti dopo tant’anni si potevano ancora intravedere quella scritta che il tempo non era riuscito a cancellare. Forse l’anonimo pittore l’aveva trovata nella bottega del Gori che allora era per la Via Maestra e, anche se all’ultimo momento, voleva lasciar qualcosa, almeno un messaggio. Questa fotografia penso sia del 1960 ed è ancora leggibile. Le porte furono costruite molto dopo la guerra, non si vede se dopo Stalin c’era un punto interrogativo.
Io che abitavo li vicino, in Via della Firenzuola, vedevo quelle letterone ogni giorno ma non capivo cosa volessero dire e non perchè non sapevo l’inglese, ancora non sapevo ne leggere e ne scrivere. Ma chi parlava l’inglese di quei tempi a Sansepolcro? Non molti. Di certo Jennie Monti, Cesi Foni di Pampanone e Miss Clay ch’era di certo nascosta da qualche parte. E chi altro/a?
Non ho memoria di chi mi disse cosa volesse dire, forse il babbo che ne aveva appreso la traduzione da qualcuno?
Ripensandoci non credo che quel messaggio, che aveva un errore in inglese, il pittore frettoloso s’era dimenticato di scrivere “do you” davanti a “fight”, fosse diretto a quelli del Borgo, ma piuttosto alle truppe alleate che sarebbero arrivate dopo non molto. Penso che quel tedesco non fosse molto ottimista sul come sarebbe andata a finire la guerra.
I soldati alleati che entrarono a Sansepolcro venendo dal sud verso la fine d’agosto del ’44 eran partiti da lontano, da tutte gli angoli del globo. Il più famoso fra di loro rimane Anthony Clarke che s’è anche guadagnato una via non per quel che fece, ma piuttosto per quel che non fece. Eroe per omissione.
Erano in tanti ed io ero confuso. C’erono uomini barbuti che portavano la gonnella ed altri dalla pelle scura sempre barbuti ma con i capelli sciolti che arrivavano al sedere.
Si acquartierarono e qualcuno fu invitato a cena. Mangiò i gnocchi, come m’arcontava la mi nonna,
e gli piacquero molto. Poi artonnò a casa perchè ne voleva de più, ma non venne a mani vuote, portò sigarette, quelle nei barattoli tondi, e scatolette di corn-beef. Ed io ho ancora un elmetto inglese, uno di quella che chiamavano a padella, solo perchè uno che aveva bevuto un po’ troppo in casa della Cesira e Riccardo se ne andò traballando dimenticandolo. Paolo Salvi mi diede, e anche questo ce l’ho ancora, un paio di stivaloni allacciati di lato come i gambali, che secondo lui appartenevano ad polacco. Ma come aveva fatto a scordasse gli stivali? Sentì il rumore del marito che tornava inaspettato?
Ma ritorniamo a quella scritta. “Perchè combattere per Stalin?”
Non sapremo mai i commenti di quando la lessero i soldati alleati. Immagino che acquisì un ignificato particole per il contingente polacco, quello che poi fu scelto per rimanere come guarnigione d’occupazione a Sansepolcro. Ma di questo non son sicuro, continuarono la campagna inseguendo i tedeschi o rimasero? Era forse per quei soldati una “licenza” premio? Loro di guerra ne avevan già fatta tanta e per molti l’ultimo Natale passato a casa era stato quel del 1938. In quel messaggio c’era la sintesi della tragica storia della Polonia passata, presente e anche a venire.
Ma io dei polacchi me n’arcordo…
Ecco: ancora li vedo, nelle loro divise pulite, tutti inquadrati che marciavano per per l’Aggiunti. Credo che partissero dal collegio INADEL, che era stato requisito e trasformato in caserma, ed andavano alla messa in duomo. Da buoni polacchi eran tutti cattolici, o quasi, ma questo lo appresi molto più tardi. Non potevano marciare per la Via Maestra ancora piena di macerie. Finita la messa uscivano e si fermevano tutti sparsi davanti al duomo per fumarsi una sigaretta e chiacchieravano. Di certo c’erano delle citte del Borgo li guardavano da lontano, belli, giovani, aitanti ed anche molti biondi; con la carenza di maschi di quei tempi in molte ci facevano un pensierino od anche due. Poi arrivava l’ordine perentorio urlato d’un qualche sergente, il riposo era finito, di rimettersi in fila e ripartivano per rientrare in caserrma marciando sotto l’Arco della Pesa e girando a sinistra per l’Aggiunti.
Proprio sulla destra di quel muro del Palazzo Pretorio avevano modo di rileggere, di certo ogni domenica, quella fatidica scritta: WHY FIGHT FOR STALIN?
Loro ne sapevan qualcosa, loro avevano fatto la scelta: s’eran rifiutati di combattere per Stalin, ma non per questo amavano i tedeschi nazisti. Come se dice da tante parti in tante lingue: loro s’eran travati fra l’incudine e il martello. O forse, fra la falce e il martello?
Ma quale era stato il lungo cammino di quei polacchi che un giorno li avrebbe portati a marciare belli ed impettiti per gli Aggiunti per andare alla messa in Duomo? In tanti non ce l’avevano fatta, i ranchi s’erano assottigliati e dimolto, questi erano i sopravvisuti e la storia non era ancora finita.
Dopo l’attacco dei tedeschi di Hitler sferrato da ovest nel settembre del ’39, ci fu quello dei russi di Stalin che veniva dall’est. L’esercito polacco combattè valorosamente, ma le cariche della sua gloriosa e fiera cavelleria a sciabola tratta non rallentò il passo degli invasori. La guerra durò poco, e la Polonia ricadde in una delle sue ennesime e tristi spartizioni, e ci fu anche la spartizione dei prigionieri.
I polacchi di Sansepolcro eran fra quelli presi prigionieri dai russi nel fronte orientale e spediti a lavorare nei gulag siberiani. Per gli ebrei fra di loro fu un colpo di fortuna, si fa per dire, nei gulag potevan morire di fame e di freddo ma almeno non finirono subito nei campi di sterminio come successe a quelli catturati dai tedeschi sul fronte occidentale. Per loro, per i piu forti, c’era ancora un po’ di speranza. E David ce la fece, ma questo ve l’arconto dopo.
La Siberia non è dietro l’angolo, e per andare a Sansepolcro non presero neanche la via più corta.
Dopo l’attacco italo-tedesco (giugno 1941) all’Unione Sovietica, Stalin, anche per la richiesta dei comunisti polacchi che avevano formato un governo in esilio a Mosca. permise di rinquadrare i prigionieri e riistiture un esercito che sperava si sarebbe affiancato alle sue truppe per contenere l’avvanzata nemica che puntava verso Mosca. “Why fight for Stalin?” prese in quel momento un significato differente. I polacchi dissero no. Non sarebbero morti per difendento la patria di quelli che solo due anni prima li avavano assaliti alle spalle. Churchill convinse Stalin a lasciarli andare, li avrebbe incorporati nell’esercito britannico. Dalla Siberia scesero in Iran, traversarono l’Iraq per raggiungere il Libano. Si imbarcarono per andare in Italia per poi scontrarsi coi tedeschi a Montcassino. Il loro contributo assieme a quello degli americani d’origine giapponese fu fondamentale per superare l’ostacolo per raggiongere Roma. Il cimitero polacco è grande.
Nella mia vita professionale (Alitalia) ho lavorato nell’organizzare un gruppo di circa 80 reduci polacchi che andavano a Montecassino nel 1984 per partecipare alle cerimonie del quarentesimo anniversario della battaglia. Venivano dalla zona di Springfiels Mass. e di Chicago. Anche questi eran di quelli che non eran tornati a casa in Polonia. Uno reduce mi raccontò che s’eran portati dietro un orso che aven trovato in Iraq e che aveva “combattuto” in prima fila a Cassino. Mi domando cosa ci sia di vero su questa storia.
I giapponesi-americani ce li ho portati più tardi, mi pare nel 2000, ma i reduci eran rimasti solo 17 (100th Infantry Battalion) e con loro c’erano una cinquantina di parenti.
Per quanto ne sappia io dalle nostre parti con l’arrivo delle truppe alleate non ci furono gravi incidenti di violenza e di soprusi, come successe da altre parti. Sansepolcro fu risparmiato.
Arrivò prima l’autunno e poi l’inverno, la nebbia, l’umido furono in molte che soffrirono il freddo nei letti lasciati vuoti da anni. Ci furono quelle che s’erano stancate d’aspettare, e c’era l’incertezza di chi non sapeva se i loro uomini sarebbero mai ritornati. C’erano quelle che eran vedove senza essersi mai state sposate o sposate per procura che non avevano mai conosciuto, in senso biblico, il marito. E c’eran tutti quei giovani in giro, anche loro avevan bisogno d’affetto, chi cercava la fugace soddisfazione del momento e chi, dopo tant’anni lontano in giro per il mondo dubitando se sarebbero mai ritornati a casa, aveva bisogno di qualcosa di più duraturo. E
forse anche le loro fidanzate e moglie lontane sentivono freddo nei letti vuoti. Così ci furon quelli che, attratti dal posto e dall’amicizia dimostrata da quella gente che voleva la pace, si fidanzarono, si sposarono e decisero di rimanere, ma non tutti, ci furon quelli che se ne andarono in Argentina. Ecco perchè ancora a Sansepolcro e nella valle si incontrano persone dai cognomi impossibili. Sembra proprio che i polacchi odiano le vocali.
Tempo addietro Bernardo Monti, conoscendo il mio affetto per la sua zia Jennie, mia professoressa d’inglese, mi mandò questa storica foto dell zio Jan, al centro nella foto, assieme a due commilitoni. Jan fu uno di quelli che armese al Borgo, o forse meglio dire artonnò al Borgo dopo la smobilizzazione in Inghilterra, si sposò con Jennie Monti e diventò Giovanni e non artornò mai in Polonia. Ho avuto il piacere di conoscerlo di persona.
Grazie Bernardo, proprio questa foto mi è stata di spunto di scrivere questo m’arcordo, e lo volevo far da tempo.
Con la pace dietro l’angolo c’era bisogno di celebrare e di divertirsi. M’arcordo che i grandi ballavano sotto le loggie del Palazzo delle Laudi. Si ballava al “La Lucciola”, al primo piano della cooperativa, in quel palazzo davanti alla Farmacia Cantucci. Il ballo permetteva incontri ravvicinati e bastava una stretta per capire dove la storia sarebbe andata a finire. Ecco il vantaggio di ballare in coppia. Con la stagione buona del ’45, e con la guerra ufficialmente finita almeno in Europa, il Bucciovini inaugurò una pista da ballo in quello che prima era un orto, angolo Aggiunti e via Giordano Bruno. Con le truppe alleate era diventato di moda di chiamar posti con nomi inglese e così nacque l’ “Excelsior Dancing” che pochi anni dopo, quando lo coprirono con il tetto, si trasformò in “Winter Club”. Allora si poteva ballare anche d’inverno. Chi si ricorda quando fu aperto il Pozzo di Piero?
Ma non furono tutte storie d’amore, anzi direi che queste furon poche. Passò la guerra e molti furono i letti che ritornarono ad esser vuoti prima che mariti o fidanzati ritornassero. Spesso questi, che avevan sofferto come i polacchi, si dimostrarono più comprensivi della gente qualunque che bollò quelle donne freddolose ed affamate come cialtrone. Non ci furono donne rasate a Sansepolcro.
Direi un diecina d’anni dopo la guerra, ma forse anche di più, per caso fui testimone d’una lite fra due donne, dalle parti di Porta del Ponte. Credo che con le invettive che si lanciavano usarono tutto il repertorio delle parolaccie fin quando una delle due sputò fuori l’arma segreta che teneva di riserva e berciò in faccia all’altra:
“Avanzo dei polacchi!”
Colpo micidiale, rimase indifesa, spogliata di tutto. La tenzone era finita, a quell’insulto non c’era risposta. E sconfitta se ne andò ed io, dopo tutti quest’anni, me ne sento ancora rattristato, sono amareggiato per lei.
E per finire ecco la storia di David Grinberg, quella a sinistra nella foto dei tre commilitoni.
Il 2 giugno 1969, Festa della Repubblica, fu celebrato all’Istituto Italiano di Cultura di Londra. Di gente ce n’era tanta, e mi ritrovai a conversare con un signore “inglese” che parlava un ottimo italiano. Quando mi complimentai, mi rispose:
“Durante la guerra sono stato a lungo in Italia e poi ho anche sposato una genovese. In casa si parla spesso in italiano.”
“Ma dov’è stato durante la guerra?”
“In Toscana.”
“In Toscana? Ma dove? Io son toscano.”
“Arezzo.”
“Arezzo? Ma proprio ad Arezzo?”
“No, in un piccolo paese.”
“Ma dove?” insistevo “Io son di quelle parti.”
“Sansepolcro.”
“Sansepolcro! Ma io son di Sansepolcro!”
E ci abbracciammo.
Fu allora che mi parve emozionato e mi disse ch’era polacco (a Sansepolcro era divebtato Davide) e che alla fine della guerra era andato in Inghilterra con la giovane moglie. Credo che nessuno della sua famiglia era sopravvissuto.
Molt’anni dopo quando Bernardo mi diede la copia della foto mi son ricordato il nome di quela signore casualmente incontrato a Londra: era lui, proprio lui: David Grinberg. I destini incrociati. Ma cosa sarà successo a Giuseppe, il terzo sulla destra? Ecco ora lo sappiamo, grazie ancora Bernardo per avercelo detto! Leggete il suo commento quì di seguito, dove ci racconta di Giuseppe.
E alla fine che successe? Come ho già raccontato la
Polonia dopo la spartizione nazi-sovietica del 1940 si ritrovò con due governi in esilio, uno a Mosca ed uno a Londra, inutile dire che riconciliare le due parti era impensabile. Finita la guerra la Polonia fu riunita, ma ‘sta volta la spartizione fu più grande, l’Europa fu divisa in due dalla Cortina di Ferro ed i polacchi, vittime di interessi politici internazionali ben più grandi di loro si ritrovarono sotto l’influenza di Stalin. E pensare che quella scritta sul muro di Sansepolcro non s’era ancora sbiadita. Giovanni che aveva fatto la sua scelta ed abitava li vicino continuò a leggerla e di certo con tanta amarezza. Il governo in esilio a Londra fu disconosciuto e perse ogni accreditazione diplomatica. Ma qualcuno tenne duro e la bandiera bianco-rossa continuò a sventolare davanti ad una bella villa alla fine di Klingle Road a Washingyon DC, dove ho abitato per quasi un anno nel 1982. Le finestre era sempre chiuse e anche se ci passavo davanti almeno due volte al giorno non ricordo d’aver mai visto nessuno eccetto quelli che venivan a tagliar l’erba. Poi qualcuno mi disse che quella era la residenza dell’ambasciatore polacco di quel fantomatico governo in esilio di Londra che non esisteva più da tant’anni e che in tanti avevan voluto dimenticare.
Ed io partii e la bandiera continuava a sventolare, ma per quanto ancora? Non lo so.
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26 dicembre, 2013, Marblehead, MA USA
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Skype: Biturgus (de rado)
dicembre 26, 2013 alle 12:47 PM |
Giuseppe Baranowskj era uno degli ufficiali e credo fosse di un piccolo casato nobile. Fu uno dei pochi che dopo la smobilitazione in Inghilterra, tornò in Polonia dove se la passò abbastanza male sotto il comunismo. Venne in Italia all’inizio degli anni ’80, diretto a Roma in visita dal papa e si fermò brevemente a casa mia, dove ricordo si commosse fino alle lacrime, era rimasto in contatto epistolare con mio zio che invece non ritornò mai più in Polonia. Seppi poi qualcosa dalle lettere che scriveva a mio zio Giovanni e spero che gli ultimi anni della sua vita siano stati allietati da un po’ di benessere e di libertà. Ricordo di quegli anni difficili per la Polonia che spesso mio zio inviava ad amici e parenti piccole somme di denaro e anche talvolta medicinali impossibili per loro da trovare. Molti di quelli che non tornarono in patria rimasero in Inghilterra, altri andarono in USA o Canadà e persino in Argentina. Quando si ritrovavano tra di loro con le loro famiglie, spesso cantavano le loro canzoni tradizionali e quasi tutti conoscevano la musica e sapevano suonare uno strumento.
dicembre 27, 2013 alle 8:45 am |
bella storia circostanziata, anch’io ho conosciuto il marito della signora Monti che è stata anche la mia insegnante d’inglese, lo ricordo come una persona estremamente gentile e protettiva nei confronti della moglie, che accompagnava a scuola quasi quotidianamente ed in caso di neve o pioggia l’accompagnava addirittura alla cattedra, per paura che scivolasse.Certo se non avessi letto questa storia non avrei ricordato neanche questi particolari, grazie Fausto!
gennaio 22, 2014 alle 5:10 am |
Buongiorno Fausto! Solo oggi ho potuto leggere il tuo racconto. Non appartengo a quella generazione perché sono nata nel ’68, ma questa storia mi appartiene e mi commuove. GRAZIE!!!
Un piccolo punto interrogativo: siamo sicuri che la frase sul muro fu l’opera di un soldato tedesco e non il polacco? Mi viene un dubbio.
Se fosse cosi, forse il soldato polacco incaricato a pulire la scritta lo fece cosi male di proposito? Un abbraccio, Kasia Jandula.
gennaio 22, 2014 alle 7:08 am |
C’è un fatto che mi sembra errato, il governo polacco in esilio a Mosca, la cosa improbabile. L’unico governo in esilio fu a Londra con il presidente Wladyslaw Raczkiewicz. Nel ’41 quando la Germania attaccò l’Unine Sovietica, il governo stabili’ relazioni diplomatiche con Stalin che accettò di liberare soldati prigionieri polacchi ed il Generale Anders, anche lui prigioniero, riusci a raccogliere soldati e civili nei campi di lavoro formando il II Corpo Polacco. Visto la diffidenza tra polacchi e sovietici si stabili’ di evacuarli in Iran e poi In Iraq.
gennaio 22, 2014 alle 9:13 am |
Grazie per il tuo commento e precisazione, ricordo d’aver letto (son quasi sicuro che fosse nel libro di Churchill) che a Mosca c’era un gruppu di polacchi comunisti, molto vicino a Stalin che volevano la sovietizzazione della Polonia, di certo come precisi tu non un vero governo, che in realta’ era a Londra, quello che poi fu disconosciuto dopo Yalta.
aprile 29, 2014 alle 4:29 am |
Commento di Marise Martini:
I tuoi M’Arcordo hanno per me un fascino particolare perché ogni tanto trovo un particolare che fa riaffiorare ricordi lontani.I polacchi:ricordo i camion sistemati lungo il viale della stazione.Io abitavo con una zia alle Santucce,attraversavo la ferrovia e andavo a scuola al collegio Regina Elena (ancora lo chiamavano tutti così). I soldati quando passavano le ragazze facevano delle avances,ma erano poche quelle che stavano al gioco perchè era considerato immorale stare coi soldati…L’offesa più grande per una fanciulla era quella di dirle”Quella è stata anche con i polacchi !”Io ero una bimbetta ,ma ero attenta alle parole dei grandi.Le chiacchiere erano la nostra televisione!Grazie.