127 M’Arcordo… quando il sesso non esisteva, ma poi si cominciò a giocare ai dottori.

E moh da ‘n do’ s’encomincia?

Venere di Cirene

Venere di Cirene

Parlare di sesso non sarà facile. È da tanto che volevo scrivere di questo ma poi rimandavo, per il momento non son neanche sicuro se poi pubblicherò questo M’Arcordo… Vedremo come si sviluppa, come va a finire, forse il problema di base è questo: ci sono tanti aspetti di cui ancora alla mia “tenera” età non ne ho capito la ragione, ma forse non c’è.

Diciamo che per il momento ha un valore di confessione, ma evitiamo paragoni con Sant’Agostino o Rousseau.

E poi c’è quello che si può dire e quello che è meglio lasciare andare.

In casa non si parlava di sesso, possiamo pur dire che in quegli anni del dopo guerra il sesso non esisteva, almeno per me, un piccolo bambino, figlio unico con una mamma super protettiva, che mi faceva mettere la maglia di lana grezza, quella che pizzica. La mamma era l’unica donna in giro per casa e la mamma non conta, la mamma era un essere superiore, inimmaginabile che potesse far sesso, anche quando poi non sapevo che cosa volesse dire, una specie di Madonna su una nuvoletta. Evito di parlare di Freud altrimenti vado fuori tema. Avevo una cugina bella ma molto più grande di me e stava anche lontano. Il resto erano tutti cugini e anche loro erano tutti più grandi. I cugini sarebbero diventati importanti sorgenti d’informazioni ma molti anni dopo.

Non so quando scoprì che le bambine non avevano il lillo per fare la pipi, ma come poi facevano rimaneva sempre un mistero, anche perché loro, come la mamma, per farla si mettevano a sedere. Che strano.

In compenso in casa mia c’erano libri, giornali e riviste, per questo sono stato fortunato. Mi piacevano quelli con tante fotografie in bianco e nero del Touring Club Italiano, ch’era alla fine degli anni trenta era stato ribattezzato Consociazione Turistica Italiana perché il nome originale era troppo inglese. Io, curioso, esploravo quei pesanti volumi pieni d’immagini, scoprivo così che per l’Italia e per il mondo c’erano tanti luoghi e mi promettevo sempre che un giorno ci sarei andato. Però le mie ricerche erano mirate, speravo sempre di scoprire riproduzioni di statue o di pitture di donne nude; com’erano belle e io volevo saperne di più. La ritrovata Venere di Cirene, ch’era stata poi portata in un museo romano, era la mia preferita, anche se le mancavano braccia e testa. Per ragioni politiche seppi che, in un passato non molto lontano, fu “restituita” a Gheddafi. Anche se la statua veniva dalla Libia, lui arabo beduino arrivato dal deserto molto tempo dopo i greci e i romani, non poteva reclamarla, culturalmente non ne aveva alcun diritto. Non so dove sia finita e ora magari corre il rischio d’essere distrutta a mazzate da un qualche fondamentalista zelante che crede che quando andrà in paradiso, anche se non a cavallo come il profeta, ci saranno tutte quelle vergini che lo aspettano a braccia e gambe aperte.

A proposito della Libia c’erano in un cassetto della scrivania del babbo delle cartoline marroncine e alcune a colori di donne discinte e seminude che lui aveva collezionato, ricordo delle glorie coloniali. Quando i miei genitori si accorsero della mia scoperta le cartoline sparirono. Solo moltissimi anni dopo ne ho ritrovate tre.

cartolina coloniale

cartolina coloniale

Poi c’erano anche quelle statue di gesso nel cortile della scuola elementare Edmondo De Amicis, e quel groviglio del Ratto delle Sabine con i culi tondi era molto interessante. Ma poi cos’era un “ratto”? Io pensavo fosse un topone.

Ero già grandino (otto, nove anni?), che trovandomi per caso presente quando cambiavano il pannolino a una bambina, ebbi modo d’osservare più da vicino di che si trattava, ma ancora la situazione non era chiara. Anche lei poi è diventata grande, e adesso quando la incontro per strada le chiedo come stanno i nipotini. Penso anche che leggerà questo M’Arcordo…

A proposito del seno posso dire che ne sapevo un pochino di più, ai quei tempi le mamme davano ancora la poccia in pubblico. Se per caso la mamma di latte ne aveva poco c’era sempre pronta un’amica che si prestava come sostituta. Se poi di latte non ne aveva proprio c’erano le balie, in genere rubiconde contadine piene di salute. Le balie era spesso utilizzate dalle signore ricche che non volevano “rovinare” il seno. Di conseguenza c’erano i famosi fratelli o sorelle di latte. Spesso vedevo, specialmente quando s’andava a giocare al giardino, delle giovani mamma che tranquillamente si sbottonavano il vestito o la camicia e dopo averla tirata fuori davano la poccia al citto/a. Ho sempre pensato che in quel bellissimo gesto c’era tutta la fierezza d’esser mamma. Mi sono quasi commosso quando ho visto una mamma, seduta accanto a me, durante un volo sopra l’Atlantico, che serenamente si è sbottonata la camicetta e ha allattato il piccolino/a.

M’arcordo anche la volta che ne vidi una con un capezzolo enorme, da far paura.

All’elementari imparai due nuove parole, le parolacce: fica e pipare! E pensare che c’erano anche quelli che osavano scrivere sui muri VIVA LA FICA. E a me sembrava che fosse peccato solo a pronunciarla, forse è ancora peccato a scriverle, come sto facendo adesso? Si, ancora alla mia età mi sento a disagio d’averle scritte, temo proprio d’avere offeso qualcuno, penso in particolare alle mie lettrici. Di certo se fosse viva la mi’ mamma non sarebbe stata d’accordo e sapesse che l’ho fatto.

A proposito di scritte sui muri moh v’arconto questa, un pochino fori tema.

Una domenica mattina (1964) a Coblenza, anche se avrei dovuto fare l’autostop, decisi di prendere per pochi pfennig un treno per andare a Colonia, non lontana. La ferrovia spesso corre lungo il Reno e all’improvviso mi comparve una scritta, enormi lettere cubitali, nel muro di quello che sembrava un casolare abbandonato e io sorrisi, forse risi. Un povero emigrante s’era voluto consolare con l’affermare davanti a tutti quello in cui credeva fermamente. Gridare al mondo VIVA LA FICA era certo meglio di scrivere su un muro il nome d’un qualche politico o di una squadra di calcio.

Questo, ripensando alla cosiddetta parolaccia, è un argomento interessante da sviluppare. Che differenza culturale; la nostra  è una bella parola. ci ricorda qualcosa di dolce, non c’ è nulla di sporco. Credo, per quanto ne sappia, che sia impensabile di fare una simile affermazione in inglese o in francese.  Forse va bene per i tedeschi, loro amano fogelin (passerina). Basta, ritorniamo all’argomento.

Madonne dei Sette Dolori

Madonne dei Sette Dolori

Quest’idea del peccato si accentuò, specialmente dopo il catechismo preparatorio alla cresima ed alla comunione (1949). Il diavolo tentatore, quello coi i corni e il forcone era dietro l’uscio, le fiamme dell’inferno erao dietro l’angolo. E poi c’era quella Madonna dal cuore trafitto che mi impauriva. Mi ammonirono che ogni coltello era un peccato. Infatti mi dovevo confessare, far penitenza, io non potevo esser responsabile di quelle pugnalate. Ma quali gran peccati può commettere un cittino d’otto anni? I genitori io li rispettavo. Ma poi cosa voleva dire quando il prete mi domandava “hai commesso atti impuri?” nessuno mi aveva spiegato cosa fossero. Rubare lo zucchero, cosa che non facevo, doveva essere un atto impuro. Le bugie le dicevo, ma le mie più che bugie erano fantasiose invenzioni, ovvero quello che avrei voluto che fosse accaduto, e non delle menzogne. Per esempio raccontavo a mia nonna che avevo incontrato dei marziani tutti verdi a Porta Fiorentina, e lei attenta mi ascoltava e volava sapere dettagli, per esempio “ma com’erano vestiti?”

Oggi ripensandoci, dopo tutti questi anni, ma cosa succedeva alle bambine della mia età in quei tempi? Di certo anche loro saranno state curiose, volevano sapere, ma le remore religiose e culturali erano di certo più pesanti e restrittive. Il peso di quel dono divino che avrebbero dovuto salvare fino alla morte, la verginità, doveva essere enorme. Quelli erano i tempi che la vergine Santa Maria Goretti fu beatificata, e ce ne parlarono tanto in quelle lezioni di catechismo, anche se poi non mi era molto chiaro che cosa fosse questa famosa verginità. E poi le poverine quando si confessavano si inginocchiavano davanti a un prete, a un uomo! Mi piacerebbe sentire i commenti delle mie amiche in proposito.

Si, sono ancora curioso, non ho mica tutte le risposte, anche se ci provo.

Poi arrivò un memorabile Ferragosto (1952?), con grande scampagnata a Caprese assieme ad altre famiglie e un cocomero enorme, il più grande che avessi mai visto. C’erano nel gruppo due bambini, fratello e sorella, più o meno della mia età. Ci mettemmo a giocare, forse a nascondino, e fu la bambina che prese l’iniziativa. Questa delle ragazze, delle donne che prendono l’iniziativa, magari in forme differenti, è un tema che si ripeterà per tutta la mia vita, ne parlerò un’altra volta.

Quando ci trovammo da soli in un capanno scuro fu lei che subito mi chiese:

“Se mi fai vedere il lillo e io ti faccio vedere la passerina.”

Accettai subito l’invito, diciamo che quella fu un’ispezione più attenta, forse imparai qualcosa, forse era fiera e voleva che l’osservassi attentamente o forse era invidiosa di quello che avevo io? Non m’arcordo cosa disse o fece quando tirai giù i calzoncini corti, ricordo solo che il fratello gridava invitandoci a sortire. Fu sempre lei che mi disse che lei sentiva quando i genitori pipavano, dormiva nella stessa stanza. Aggiunse anche che sapeva cosa facevano e mi descrisse il tutto, incluso imitando i movimenti e io ascoltavo e osservavo attento. C’era molto da imparare. 

Ci furono altri incontri di questo tipo. Con la mamma andavo spesso a trovare una sua amica che calendarietto-2aveva due figlie, mie coetanee. Una volta mi portarono in cantina e mi fecero vedere un tesoro nascosto, la collezione dei calendari a colori e profumati del barbiere che il loro padre teneva nascosti in un cassetto. Ma com’erano belle tutte quelle ragazze, prosperose e profumate. Anche loro, le due sorelle, mi fecero domande, ma non m’arcordo cosa successe, forse niente.

Ci furono ulteriori incontri, questa volta in una soffitta, con due bambine e il fratello di una delle due. Anche se eravamo in quattro le mie esplorazioni mediche furono limitate alla sorella del mio amico anche se io avrei voluto giocare con tutte e due, lui non era interessato a fare lo scambio, penso che il tabu dell’incesto sia istintivo.

Poi un giorno (1952?) la mamma mi portò ad Arezzo. Quella era una di quelle occasione in cui il babbo, che non aveva macchina, chiedeva al Sor Gherardo o la Sor Marco Buitoni se poteva avere una vettura aziendale a disposizione. L’autista fu probabilmente il Giommoni che venne a prenderci con l’imponente Lancia Artena nera. Andammo da un grande professore (Calamari?) che dopo una brevissima visita, poi pagata in contanti, sentenziò che stavo bene di salute, che crescevo bene, ancora pensavano che sarei diventato alto, e ch’ero sviluppato.

Ma cosa voleva dire?

Ecco un altro mistero da risolvere. Il silenzio, l’omertà continuavano. Doveva essere la congiura del silenzio.

 

1 novembre 2014, Marblehead, MA USA                                                                                        

 

ftbraganti@verizon.net

Facebook: Fausto Braganti

Skype:       Biturgus (de rado)

Una Risposta to “127 M’Arcordo… quando il sesso non esisteva, ma poi si cominciò a giocare ai dottori.”

  1. augusto verando Says:

    bravissimo Fausto letto tutto e commentato fra me e me un salutone

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