131 M’Arcordo… un M’Arcordo di Giorgio Biagioli, anzi due.

Giorgio pronto al decollo (cabina d’un L1011, AZ 614 FCOBOS, dic.1993)

Giorgio pronto al decollo (cabina d’un MD11, AZ 614 FCOBOS, dic.1993)

Io conoscevo Giorgio da sempre, anche prima che me lo ritrovassi in classe in seconda liceo scientifico nel 1957. In quegli anni difficili, in attesa dei temutissimi esami di maturità, eravamo spesso assieme anche cercando di scoprire i misteri della vita che continuamente si presentavano a noi.

Ho dedicato un capitolo a lui nel libro M’Arcordo… di prossima pubblicazione, quindi cercherò di non ripetere quello che ho già narrato.

La tragica vicenda di questi giorni, voluta dal pilota tedesco, mi ha ricordato una altra storia anche se non credo sia il caso di fare un parallelo.

 

Per una strana coincidenza della vita ho avuto modo di passare del tempo con Giorgio, anche se abitavamo in due continenti differenti; da grandi ci siam ritrovati tutti e due a lavorare con Alitalia, anche se con manzione ben differenti. Come pilota doveva viaggiare ed io lo incontravo quando faceva scalo a Boston. C’era un sistema di rotazione equipaggi che qualche volta gli permetteva di rimanere anche due o tre giorni. Spesso lasciava l’hotel ed il resto dell’equipaggio per venire a dormire a casa mia, a Marblehead. Nel 1976 addirittura lo misi a lavorare durante un mio trasloco.

“Viaggiare in giro per il mondo può essere eccitante, un giorno a Tokio, un altro a Casablanca e poi ti ritrovi a Caracas. Oh Rio mi piace! Ma poi alla fine diventa stancante ed alienante, vedi alberghi ed aeroporti. Tu non sai come son felice di venire a Boston, trovare te, venire a casa tua. E poi si chiacchiera, si potrebbe essere al Telebar.”

Mi teneva informato di tutto e di tutti, inclusi i pettegolezzi e ai tempi delle “Corse delle Carrette” mi fece un corso accelerato di progettazione. Una sera in un ristorante cinese dove c’era una tovaglia di carta mi fece il disegno dettagliato del freno, era certo che avrebbe funzionato. Ma forse frenò troppo, credo che quella volta vinse Bernardo Boninsegni.

Durante una di queste nostre conversazioni gli chiesi.

“In tutti i viaggi che hai fatto, migliaia d’ore di volo, ci saranno stati pure momenti difficili, quando hai avuto davvero paura.”

Rimase silenzioso per un po’, era chiaro che stava ripercorrendo con la memoria una serie di situazioni, forse mentalmente stava facendo una graduatoria.

“Un momento che ho avuto paura fu proprio il mio primo atterraggio a Boston. La volta che ci siamo rincontrati dopo tanto tempo, quando tu ancora lavoravi allo scalo. A quel tempo come sai ero primo ufficiale (DC8-72) e per quel giorno era stato programmato che sarei stato io a fare l’atterraggio sotto l’occhio attento del comandante. Faceva parte del mio addestramento, della mia formazione per poi passare a comandante. Le condizioni atmosferiche erano tremende, al tramonto, poca visibilità, pioggia torrenziale e forti improvvise folate di vento. Poi alla fine con tanta tensione e sudore ce l’ho fatta, ed il comandante era soddisfatto”

E poi ha continuato:

  “Diciamo che quell’atterraggio a Boston fu per me un momento pericoloso, non nego che ebbi paura. Ma poi ci fu un’altra situazione che chiamerei difficile ed anche parecchio ma per ragioni molto differenti. Ero passato ai DC10 ed ero ancora secondo ufficiale e continuavo a fare voli a lungo raggio. Quel giorno, avvicinandosi all’aeroporto di Hong Kong, famoso per l’atterraggio difficile,  venendo da Sidney, il tempo era bellissimo, condizioni atmosferiche perfette, visibilità all’infinito.

Io ero seduta al mio posto sulla destra della cabina ed il comandate a sinistra. Abbiamo iniziato regolarmente la discesa. Dopo un po’ ho notato che l’angolo di discesa non era giusto, il comandante aveva posizionato l’aeromobile con un’inclinazione eccessiva. La pista era ancora molto lontana, c’era tutto il tempo per correggere la situazione ed aspettavo che il comandante si rimettesse all’altitudine prevista. Cosa che non fece. Ed io cominciavo ad innervosirmi. Già vedevamo la pista che si avvicinava, ma c’erano ancora diverse miglia all’atterraggio, c’era tempo. Ma non c’era solo la pista ad avvicinarsi, infatti proprio prima di questa c’era anche una collina. Io ero il primo ufficiale, e quello era un comandante, uno di quelli anziani, con tant’anni di servizio. Lui era il responsabile dell’aereo, la sua autorità era assoluta. Cosa dovevo fare? Poi alla fine intervenni di certo titubante, con un:

“Comandante, siamo un po’ bassi. Ci stiamo avvicinando.”                                                                                                                                                                                                                           “Si, si Biagioli, grazie, lo vedo, lo vedo.”

Sentii nella sua voce un tono d’incertezza, e nello stesso tempo costatai con continuava la discesa troppo inclinata, senza correggerla, la collina si stava avvicinando. Un senso di panico si stava impadronendo di me.

“Comandante, siamo bassi, troppo bassi!”

“Si Biagioli.”

E ancora una volta non fece nulla.”

            Avevo natato che Giorgio nel raccontarmi questa storia si era un po’ turbato, come se rivivesse quell’esperienza.

            “Cosa potevo fare? Ci si avvicinava sempre più rapidamente, quella maledetta collina, poi c’era quella virata, prevista, all’ultimo momento per allinearsi con la pista. Avevamo già calato il carrello. Ed io continuavo a pensare che quello era un comandante, il mio comandante. Poi d’improvviso ho capito che non c’era altro da fare:

“Comandante, ritorniamo in quota.”

Ho preso il comando dell’aeromobile, ho tirato con forza la cloche per cabrare, ed ho accellerato per riportare il velivolo in quota. Avevo interrotto l’atterraggio, era quello un atto di ribellione, d’ammutinamento?

L’improvvisa gran curva di certo terrorizzò i passeggeri ed alla fine siamo ritornati in quota. Il comandante non ha detto nulla, ha abbassato la testa sul cruscotto e borbottava:

“Grazie Biagioli, Grazie Biagioli …”

La torre di controllo ci rimesso in fila per l’atterraggio e dopo pochi minuti siamo scesi senza alcun problema, apparente.

Il problema c’era e come: era il comandante. Questi era anziano, con tanta esperienza, ma che per qualche ragione era andato in crisi, in tilt. L’incidente non poteva esser nascosto. L’aereo non è potuto ripartire fin quando è arrivato un nuovo comandate.

Dopo questo incidente, chiamiamolo malore, il  comandante è rientrato a Roma dove fu sottoposto a visite mediche e tante valutazione. Conclusione fu mandato in pensione.”

            E questa è la storia che mi è tornata in mente in questi giorni, purtroppo. Di anni ne son passati tanti ed ho cercato di ricostruire le varie conversazioni di Giorgio con quello che ricordavo. Anche se di certo non sono esatte, verbatim, spero d’averne mantenuto il senso.

            Conclusione: sempre due persone nella cabina di pilotaggio.

 

            E per finire, tanto ci siamo, vi racconto un’altra storia e questa successe proprio durante il volo in cui scattai queste fotografie, nel dicembre del 1993, da Roma a Boston. Al 1993-12 Giorgio in volo fmomento dell’imbarco Giorgio mi invitò in cabina; anche nell’ MD11, come in tanti aerei, c’è uno strapuntino, non particolarmente comodo, posizionato dietro il comandante nel lato sinistro dell’aeromobile. Non eravamo ancora decollati e Giorgio era tutto preso con una complicata situazione di traffico sotto una pioggia torrenziale per raggiungere l’inizio della pista, quando il responsabile di cabina venne ad informarlo che a bordo, seduto in business class, c’era il Cardinal Law di Boston con il suo segretario.

            “Mi scusi comandante, il cardinale Law mi ha chiesto se fosse possibile accomandarlo in classe Magnifica (6 posti in una specie di super prima classe che avevamo a quei tempi).”

            E Giorgio:

“Mi pare che in questo volo non abbiamo nessuno in Magnifica”

“Infatti comandante, non abbiamo neanche il servizio catering adeguato”

“Bene, dica pure che non abbiamo servizio e che rimanga in business class.”

“Bene comandante”

E cosi il capo cabina si allontanò.

Dopo pochi minuti ricomparve di nuovo e con un tono di voce dispiaciuto:

“Comandante mi scusi, il cardinale continua, insiste, dichiarando che lui viene sempre messo in Magnifica class.”

“Dica pure al cardinale che adesso sono molto occupato e dopo il decollo verrò a parlare personalmente con lui.”

Finalmente raggiungemmo la pista e sempre sotto gran scrosci di pioggia decollammo con tanti traballoni.

Come promesso, dopo aver indossato la sua giacca blue con tutte quelle strisce dorate sulle maniche, andò a cercare il cardinale. Fu di ritorno dopo non molto, si tolse la giacca e ritornò al suo posto,

Ed io curioso:

“Allora? Ma che gli hai detto?”

“Prima gli ho ripetuto che in questo volo non si offriva il servizio di Magnifica e lui subito ha detto che sarebbe stato soddisfatto col pasto, affermando che le poltrone di Magnifica sono più comode. Allora gli ho chiesto che biglietto avesse e quando mi ha confermato ch’era di business, ho concluso, molto educatamente che infatti era seduto in business e non c’era altro che potevo fare in proposito e cordialmente l’ho salutato.”

Il cardinal Law fu susseguentemente travolto da una serie di scandali di preti pedofili tenuti nascosti e riciclati da parrocchia in parrocchia. Fu mandato in un esilio dorato a Roma. Mi domando, ma in che classe viaggiò?

 

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