La settimana scorsa in Italia il teleromanzo di Luisa Spagnoli e Giovanni Buitoni ha avuto un enorme successo, purtroppo non l’ho ancora visto. Sono andato nel sito RAI ed ho ricevuto una laconica comunicazione che mi informava che per ragione di copyright non mi era permesso visionarlo nel mio paese di residenza, USA. Sarà per la prossima volta che torno in Italia. Forse è meglio non averlo visto, così non sarò influenzato in quello che dirò. Più d’una volta avevo sentito parlare in famiglia di questa storia d’amore proibita, ma sempre in gran segreto, ed io attento ascoltavo, mi sembrava di far parte d’un complotto carbonaro. E pensare che poi tanti anni dopo i loro abbracci appassionati son finiti in televisione, ma chi l’avrebbe mai detto.
Debbo aggiungere che forse quello che avevo sentito dire non era corretto e mi avevano portato a conclusioni non molto edificanti. Infatti io credevo che la differenza d’età fosse ben più grande, forse vent’anni se non addirittura trenta e non era stata Luisa ad ammaliare il giovane pivello ma piuttosto il contrario. Era stato lui che usando come strumenti la seduzione e poi l’amore voleva prender controllo dell’azienda. Penso che la mia fu una percezione del tutto sballata basata su quell’errore di differenza d’età che ho scoperto in questi gioeni. In fondo 13 anni non sono molti ed una donna di 32 di certo può essere al massimo della sua gloria, aggiungendo alla sua bellezza consolidata una buona dose di conoscenza in materia. Sa quello che vuole e non ha incertezze, non perde tempo nascondendosi dietro falsi pudori e se ci fossero sarebbero solo strumenti di giochi d’amore a breve termine. Quindi anch’io mi debbo adattare al revisionismo storico.
A proposito della Buitoni in New Jersey scrissi un M’Arcordo… circa tre anni fa con l’intenzione di poi scriverne il seguito. E poi non l’ho fatto fino, ho continuato a rimandare fino ad oggi. Avevo bisogno che Giovanni e Luisa mi dessero una spinta.
https://biturgus.com/2012/10/26/109g-marcordo-la-buitoni-ad-hackensuck-nj/
In questo io racconto del mio trasferimento da Boston in New Jersey nel 1990 e delle memorie dello stabilimento Buitoni ad Hackensack e della presenza di Giovanni Buitoni che anche da morto si faceva sentire nella memoria di tanti. A seguito del programma televisivo il mio racconto, nonostante avessi lasciato fuori Luisa per discrezione, ha ritrovato un grande interesse fra tanti curiosi che dopo aver visto il teleromanzo volevano saperne di più e sono andati nell’internet. Nel giro di tre giorni il mio blog ha avuto quasi 1500 visite, forse son rimasti delusi sperando di trovare dettagli molto più piccanti.
Ricapitolando: Giovanni per ragioni politiche decise che era meglio cambiare aria e partì per New York, eravamo alcuni anni prima della guerra (1934-35), con l’intenzione di promuovere i prodotti Perugina. Fu un raro tipo, direi unico, di emigrante che di certo viaggiò in prima classe, e la sera si metteva lo smoking per cenare al tavolo del comandante. A quel tempo c’era un prestigioso negozio di prodotti Perugina in Fifth Avenue. Non so se ci fosse anche stato uno con i prodotti di moda “Luisa Spagnoli”, quelli morbidi di lana d’angora che la cugina Silvana di Perugia amava tanto.
So anche che fu coinvolto nell’allestimento del padiglione italiano alla World Fair del 1939, un altro evento di gran successo.
Non so quando si sposò con Donna Letizia. La coppia elegante e sofisticata entrò nel giro dell’alta società di New York. So anche che fu membro del circolo “Tiro a Segno” in MacDougal St. (Greenwich Village). Questo era, e lo è ancora, un club molto esclusivo e vanta d’essere il più vecchio (1888) e prestigioso dei circoli italiani. Nel 1996 (più o meno) fui invitato ad un pranzo d’affari da uno dei membri, un anziano operatore turistico che vantava più di mezzo secolo nel mondo dei viaggi. Durante la conversazione saltò fuori che io ero di Sansepolcro. Lui subito mi disse che c’era stato e che aveva incontrato il Sor Marco e ch’era stato amico di suo fratello Giovanni e di questo se ne sentiva fiero. Mi disse anche che era stato il suo agente di viaggio personale e mi confermò che lui era un gran signore, di gran classe. Giovanni e Letizia viaggiavano per nave ed i bauli e valigie erano tanti, aveva bisogno sia delle camice per il frac come quelle per lo smoking. Naturalmente non mancarono i pettegolezzi che resero il pranzo ancora più interessante.
Nel 1940 venne la guerra e non fu una sorpresa; si interruppero le comunicazioni fra l’Italia e gli Stati Uniti ed i “Baci” non arrivarono più. Giovanni, tagliato fuori della famiglia e senza nulla da vendere, aveva pur bisogno di sopravvivere e di certo non voleva cambiare il suo stile di vita. Aveva bisogno di far soldi. Di pasta ne sapeva qualcosa così decise di mettersi a produrre spaghetti ed aveva a disposizione un buon nome, di prestigio, e mi fermo qui, non è la mia intenzione di scrivere la sua biografia anche perché non son qualificato, vado avanti per sentito dire.
Per il momento diciamo che lui rimase come una testa di ponte in attesa d’uno contingente che doveva arrivare dall’altra parte dell’oceano. Le future truppe da sbarco erano per il momento alle prese nelle battaglie del Nord Africa e di certo non pensavano all’America.
Nino Maneri sbarcò nel 1954 ed Ezio Zoppi arrivò poco dopo di lui, ambedue erano provetti meccanici della Buitoni di Sansepolcro. Non so quando arrivò l’ingegnere Mario Giannini che poi incontrai quando stava alla Prince Spaghetti,
Forse a Nino, conoscendone il carattere focoso, sarebbe piaciuto traversare il Washington Bridge con la sua autoblinda per raggiungere Hackensack NJ, a solo venti minuti da Manhattan. Anche quel veicolo era stato uno dei tanti mezzi che partendo da Sansepolcro, dopo tante tappe ed avventure, lo avrebbe portato fino in America. Nino ed Ezio furono richiamati e partirono nell’estate del 1940 all’inizio della guerra e mentre Giovanni andava all’opera o ai concerti di Toscanini a New York, loro si ritrovarono a scorrazzare per il deserto della Libia ed dell’Egitto fino a Siwa. Furono fatti prigionieri dagli inglesi dopo El Alamein e dato che questi di prigionieri ne avevano troppi e non sapevano dove mandarli furono “regalati” agli americani. Il viaggio per nave fu lunghissimo ma c’era cibo in abbondanza. Finirono in campi differenti. Ambedue intuirono che la prigionia sarebbe stata lunga e tediosa, ma almeno non c’erano pallottole che sibilavano sopra la testa, ed ambedue decisero di metterla a buon frutto. Studiarono ed impararono l’inglese ed fu proprio questa la ragione, a parte il fatto ch’erano provetti meccanici, per cui furono scelti per andare negli Stati Uniti nel 1954, ma di questo ne riparleremo poi.
Penso che in quegli anni di guerra e del dopo guerra gli affari dello stabilimento Buitoni americana andarono bene e Giovanni ebbe la geniale idea di creare uno “Spaghetti Bar” dalle parti di Times Square a New York. Aveva avuto un intuizione, come quando aveva inventato i “Baci”, come preparare e servire un pasto gustoso in pochi minuti e cosa ci poteva essere meglio d’un bel piatto di spaghetti? Entravi, ordinavi, sceglievi il sugo e via. Aveva inventato il “fast food”. Mio cugino Umberto, ma che poi in realtà si chiamava John, me ne parlò bene.
“E la pasta era buona, al dente, con un ottimo sugo.”
Mi domando se c’era già l’idea di creare una catena di ristoranti simili. Non so come andò a finire o perché chiuse. Quando arrivai a New York per la prima volta nel 1970 lo “Spaghetti Bar” era già solo un ricordo.
Per quanto ne sappia io in quei primi anni del dopo guerra i rapporti fra lo stabilimento americano e quelli italiani e quello parigini erano limitati. Giovanni era il presidente d’una repubblica separata e tornò in Italia solo nel 1952 e questo mi pare sorprendente, era stato via almeno 13 anni, ma perché? Fu quello il ritorno del fratello prodigo? Infatti gli altri quattro fratelli lo aspettavano a braccia aperte, almeno per i fotografi che li immortalarono. La ragione ufficiale fu la celebrazione dei 125 anni della fondazione della Buitoni. Ci furono feste varie, foto ricordo con centinaia d’operai ed impiegati sorridenti ed anche il mi’ babbo ebbe la sua medaglia d’oro con tanto di diploma che fu subito incorniciato e fieramente esposto nel soggiorno. Tante case a Sansepolcro furono ornate da quelle pergamene.
Il babbo cominciò a portare a casa materiale promozionale e riviste americane, di cui non capivo niente ma di certo avranno decantato la bontà dei prodotti Buitoni e Perugina. Quella fu la volta che vidi qualcosa scritto in inglese, mi pareva che una parola si ed una no fosse “the”. Che strana lingua l’inglese. Ne ricordo una con Donna Letizia in copertina, una foto scattata dall’alto e lei con una gonna ampissima che pareva una ruota di stoffa con un milione di piegoline.
“Ma come era elegante!” Avrà detto mia madre, di certo paragonandola a Scarlett O’Hara di “Via col Vento”. Quella rivista rimase in giro per la casa per anni, forse nessuno osava gettarla via.
Di certo quella fu l’occasione per i cinque fratelli Buitoni perugini di programmare il futuro e l’espansione dell’azienda, ognuno ne avrebbe avuto una fetta. Fu anche allora che in questo spirito di espansione fu coniata la famosa frase:
“da qui… in tutto il mondo” Sansepolcro, Perugia, Roma, Parigi e New York! Mica potevano dire Hackensack? Se riuscivi a pronunciarlo sembrava una parolaccia.
Lo stabilimento americano era in una fase di grande espansione, di rinnovamento, c’era bisogno di nuovi macchinari, linee di produzione, c’era bisogno di ingegneri, di meccanici qualificati che potessero impiantarli e poi operarli e fu così che venne il turno di Nino Maneri ed Ezio Zoppi assieme a Mario Giannini ingegnere, figlio di Sostegno, personaggio storico della vecchia Buitoni. Non solo erano qualificati a svolgere le loro mansioni ma parlavano inglese, ecco per loro era stato un colpo di fortuna quando prigionieri dagli inglesi invece d’essere spediti in India od in Kenya come altri si trovarono in una nave che da Alessandria li portò in America.
Ambedue, come ho già raccontato, al ritorno dalla prigionia si sposarono, non c’era tempo da perdere, come aveva detto Ezio a Mariettina
“Sposiamoci subito, ci hanno già rubato cinque anni.”
Nino sposò la Nara e quando nacque una bambina non ebbe dubbi, doveva avere un nome americano, così a Sansepolcro ci fu la prima Jane (pronuncia “iane” alla Borghese). Io non avevo mai visto un nome così, che nome strano pensavo e si scrive anche con la “i lunga” una lettera che non è neanche nell’alfabeto. Ripensandoci Nino era stato lungimirante e quando “iane” arrivò a scuola a Nutley il nome non era più strano e divenne “gein”.
Nino e Ezio partirono prima e dopo un anno li raggiunsero le mogli con prole. Ed io da lontano sentivo tutte le storie di questi Borghesi ch’erano andati in America, ma perché il babbo non ci andava? Ci volevo andar anch’io, volevo viaggiare, per un breve tempo, ma più tardi verso la fine degli anni cinquanta, si parlò seriamente d’un trasloco a Parigi, ma poi non successe nulla ed io ero triste, anche se l’idea d’andare in una scuola dove tutti parlavano francese mi preoccupava.
La Titina, sorella di Nino, era amica di mia madre e da lei si sentiva tutto quello che i nuovi americani facevano. Mi sembrò un evento eccezionale quando ci raccontò d’una telefonata intercontinentale che avevano fatto per Natale. Ma chissà quanto sarà costata!
Donna Letizia doveva avere la responsabilità di aiutare le famiglie ad adattarsi al nuovo ambiente. Una gita in cima al Rockefeller Center doveva esser d’obbligo, naturalmente hanno tutte le signore hanno i guanti bianchi.
Nino, Ezio e Mario si erano impiantati in pianta stabile ma poi c’erano altri che andavano e venivano a seconda delle necessità. So anche che l’ingegner Longinotti passò dei lunghi periodi ad Hackensuck.
Giovanni Buitoni doveva gran parte del suo successo alla sua personalità aperta e brillante, da farsi notare. Aveva un nome importante, prestigioso, che apriva le porte e lui stesso era uno strumento per far conoscere i suoi prodotti, Buitoni era sinonimo di spaghetti. Lui si doveva far vedere, riconoscere, far ricordare quel nome alla gente che entrando in un supermercato avrebbero scelto quel pacco di spaghetti solo perché ne riconoscevano il nome.
Nella foto da sinistra: Nara Donnini Maneri, ing. Longinotti, Elia Mari (segretaria) Nino Maneri, sig.ra Benassi, (cameriere?), Giovanni Buitoni, un’altra segretaria (Cassetta?) e Raffaello Benassi. Questi era di Sassuolo ed era un “montatore” ovvero uno di quelli che montava quei lunghi forni di essiccazione della pasta. Ho conosciuto personalmente il sig. Benassi che aveva lavorato anche a Sansepolcro. Era lui che comprava per mio padre casse di barolo, ancora senza etichetta e tappo legato collo spago.
Quando Giovanni Buitoni decise d’affittare il Carnegie Hall a New York per un concerto di beneficenza dove lui sarebbe stato il protagonista della serata, cantando dei brani d’opera, furono in tanti a criticarlo, una stravaganza strepitosa che sarebbe costata tanti soldi, buttati al vento. Questi si sbagliarono, il successo venne dal fatto che tutti ne parlarono, giornali, radio e televisione, e le vendite ed il guadagno compensarono la spesa di gran lunga. Ricordo che il mi’ babbo portò a casa il programma di quella serata, delle copie erano arrivate fino a Sansepolcro.
Quelli furono gli anni di espansione, del gran successo della Buitoni e Perugina in Europa, come in America. I prodotti venivano spediti in tutto il mondo. Nel film “Un Italiano in America” Alberto Sordi in poche ore da lavorante in una stazione di servizio alla periferia di Roma si ritrova nel palcoscenico d’uno studio televisivo a New York dove incontra il padre che non aveva mai conosciuto, Vittorio de Sica. La scena dai toni melodrammatici viene improvvisamente interrotta dalla pubblicità e cosa poteva esser meglio pubblicizzato d’un pacco di spaghetti Buitoni? Ve lo ricordate?
Credo che fu un bel colpo e di certo costò caro.
Anche questa volta credo d’aver chiacchierato anche troppo, finisco la storia con Giovanni a cavallo e con lui Nino e Jane, ecco io ch’ero rimasto a Sansepolcro a cavallo non ci andavo.
Post Scriptum (senza fotografie)
“Fausto, ma tu la Hilary la pipavi?”
Diciamolo che questa domanda diretta, inaspettata e inequivocabile nel suo contenuto almeno per uno del Borgo (Sansepolcro), mi colse di sorpresa ed anche tanta. E pensare che quello doveva essere un incontro d’affari. Inoltre l’uso dell’imperfetto suggeriva il ripetersi dell’azione.
Andiamo per ordine, in questa storia Luisa Spagnoli non c’entra niente e Giovanni Buitoni solo indirettamente, diciamo per parentela.
In quegli anni in cui ero ancora con Alitalia in New Jersey lavoravo molto (spedizioni cargo) con una compagnia italiana dal gran nome, prestigiosa. Un giorno uno dei dirigenti mi telefonò annunciandomi che sarebbe arrivato un nuovo presidente “e viene dal tuo paese, è di Sansepolcro! Penso che lo conosci.” Non mi disse altro.
Organizzammo un incontro e per l’occasione il mio capo, il capo del mio capo, quello con le grandi finestre dell’ufficio che davano su Fifth Avenue, traversarono il Washington Bridge per venire in New Jersey, questo era un cliente importante. Ambedue erano miei amici e ci davamo del tu nonostante i loro titoli altisonanti.
L’ufficio moderno, spazioso dalle gran vetrate del presidente non era lontano dal Washington Bridge. Fummo scortati nel suo ufficio che aveva una scrivania grande come il ponte d’una portaerei, e lui, un aitante bel giovane elegantemente vestito (Zegna o Brioni?) ci aspettava sorridente, si alzò e venendomi incontro con la mano tesa, senza alcun preambolo, ignorando tutti gli altri, mi chiese:
“Fausto, ma tu la Hilary* la pipavi?”
Ed io fui sorpreso, e gli altri rimasero interdetti, anche perché non capivano che cosa volesse dire “pipare” a parte “fumar la pipa”.
Ed io, dopo alcuni momenti d’esitazione, più o meno risposi:
“Questa sì che è una domanda a sorpresa, da non credere, se per quasi trent’anni hai potuto vivere senza sapere quello che si faceva io ed Hilary penso che tu possa sopravvivere immaginando quello che vuoi.”
Sorrise e cominciammo la riunione.
Quando sortimmo i miei colleghi erano curiosi di quella enigmatica conversazione. La traduzione in italiano del verbo “pipare” aumentò il loro interesse ed anche loro volevano sapere cosa era successo con Hilary.
Delucidazione finale. Hilary arrivò a Sansepolcro da Londra alla fine del 1964 come governante e per insegante l’inglesi ai quattro rampolli, ed il presidente era uno di questi. Hilary non conosceva nessuno e si annoiava tantissimo nella grande casa. Mi fu presentata e cominciammo ad uscire assieme ma non molto, solo quando tornavo da Firenze. In fondo quella domanda era logica, i ragazzi la vedevano uscire quando l’andavo a prendere con la macchina e di certo rimuginavano:
“Ma cosa fanno quei due?”
Il mistero persiste, tanto non ve lo dico.
*Hilary non è il vero nome.
Marblehead, 10 febbraio 2016
Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
Il mio blog di memorie M’Arcordo… www.biturgus.com/
Ho recentemente pubblicato il libro “M’Arcordo…” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile
Presentazione del libro M”Arcordo…
febbraio 10, 2016 alle 6:38 PM |
Le tue storie, Fausto, sono sempre straordinarie, in questi giorni ho saputo, che negli anni 70′ sia Giovanni Buitoni che la moglie si tratteneva spesso a Sansepolcro, e durante questi periodi la moglie andava dalla Mena parrucchiera, naturalmente per le lavoranti era festa grande, perche ‘ a parte la novita’ , venivano elargite laute mance, da parte di questa raffinatissima signora.
febbraio 10, 2016 alle 6:40 PM |
ecco questo non lo sapevo Giuliana, grazie!
Maggio 5, 2016 alle 6:24 am |
Salve Fausto, ti scrivo per conto della rivista Wooden Boat che vorrebbe usare una foto trovato sul tuo blog del pattino a Riccione nel ’48 – non sono sicuro come contattarti, allora provo coi comment… se mi potresti telefonare allo +39 348 384 0883, o scrivere un mail a james@jrtphoto.com? Grazie, a presto spero…
Maggio 5, 2016 alle 8:34 am |
nessun problema, ti autorizzo, e grazie per la correttezza nel chiederlo, non succede spesso. la mia email
ftbraganti@verizon.net
abito a Marblehead MA e di wooden Boats ce ne son tante