155 M’Arcordo… la lettera del Franceschini

155 M’Arcordo… la lettera del Franceschini. 

E’ passato esattamente un anno da quando ho scritto l’ultimo M’Arcordo … e il ritrovamento d’una lettera mi ha spinto a scrivere questo. Duranti i lavori di archeologia domestica è riemersa una busta con l’indirizzo scritto in bella calligrafia che ho immediatamente riconosciuto, quella era una lettera del Franceschini. Ne ricordavo il contenuto.

Diciamo che sono stato sempre un po’ grafomane e lo sono ancora, anche se in forma minore e usando differenti strumenti di comunicazione.

Una volta si scrivevano lettere e cartoline e io mi sfogavo, avevo bisogno di comunicare, ma soprattutto ero impaziente di ricevere. Ogni giorno aspettavo il postino, con ansia quando aspettavo una lettera da “lei”. Confesso, ci sono stati tempi in cui c’erano più d’una “lei”.

Credo di avere quasi tutte le lettere e cartoline che ho ricevuto, naturalmente non ho copia di quelle che ho scritto, eccetto quelle mandate a mia madre; queste sono ben organizzate attentamente legate in pacchetti con nastrini, amore di mamma.

I tempi son cambiati e anche tanto. I grandi scrittori di fantascienza ci hanno raccontato di tutto sul nostro futuro, già Leonardo aveva progettato una specie di elicottero.  Ci hanno descritto mondi immaginari con incredibili progressi e molti si sono realizzati. Nessuno, almeno per quanto ne sappia io, ha mai ipotizzato l’avvento dell’internet, ovvero l’abilità di comunicare con tanta velocità con tanti strumenti. Solo nell’ultimo anno Zoom ha allargato e rivoluzionato la comunicazione ad un ulteriore livello. Ma forse c’è stato chi ha scritto qualcosa che prevedeva un tragico futuro: il Grande Fratello, che in “1984” di George Orwell compare senza preavviso nello schermo d’ogni appartamento con i suoi diktat, è un vago precursore di Zoom? Forse.

Circa 25 anni fa un amico, un collega di lavoro, mi aiutò a creare il mio primo indirizzo e-mail. Io, il grande grafomane, avevo a disposizione una nuova maniera di scrivere lettere, che sarebbero arrivate al destinatario in pochi secondi. Problema iniziale, non conoscevo nessuno che avesse l’email, eccetto chi mi aveva aiutato a creare la mia. In poco tempo le cose cambiarono e scrivere una lettera su carta divenne un evento sempre più raro fino a divenire eccezionale. Crisi economica degli uffici postali.

Le nuove generazioni, quelle che non hanno mai scritto lettere, non avranno nulla, andrà tutto perduto fra un computer e un altro.

Generazioni senza memoria, senza passato.

Detto questo parlerò d’una lettera, una lettera ritrovata. Una lettera che Francesco Franceschini di Sansepolcro mi scrisse nel marzo del 1971, il primo anno che ero in America. Tempi duri per me che alla soglia dei trent’anni ero senza lavoro, con la moglie incinta che mi manteneva, cercavo di iniziare una carriera ma ero confuso su cosa avrei voluto fare da grande. Forse alla soglia degli ottanta le idee non sono ancora del tutto chiare. Quel periodo era oscurato anche dalla possibilità, dalla paura di essere coscritto e partire per il Vietnam; allora la legge americana prevedeva che tutti i residenti era soggetti alla leva. Io, che da ragazzo avevo giocato a fare la guerra lungo l’Afra, correvo il rischi di finire per davvero nel Mekong River.

In quel periodo mi misi a scrivere e scrissi tante lettere, era la mia maniera per mantenere contatto con amici lontani. Fu allora che scrissi anche a Francesco Franceschino, amico e coetaneo di mio padre (1904), balestriere e repubblicano. Ero curioso di sapere d’un evento avvenuto verso il 1930 quando un gruppo di repubblicani, liberi pensatori che furono arrestati dopo aver reso omaggio ad un compagno di Sangiustino morto, in piena era fascista aveva tirato fuori una bandiera verde di mazziniana memoria. Di questo accaduto se ne parlava in casa e mio padre, anche se buon fascista premarcia, ricordava l’evento con una malcelata ammirazione per questi coraggiosi.

Solo una settimana dopo aver ricevuto questa lettera, solo una coincidenza, la mia situazione ebbe un felice ribaltamento. Io che avevo ricevuto tante risposte negative alle mie domande di lavoro ricevetti una telefonata con un’inaspettata offerta di lavoro. Il giorno dopo mi presentai per l’intervista e fui immediatamente assunto. Due giorni dopo mi presentai al lavoro: Alitalia, aeroporto di Boston, ma questo è l’inizio d’un’altra storia… lunga.

Una strana curiosità, c’è un errore di affrancatura, infatti il timbro porta la data 72 invece che 71.  

Questo il testo della lettera, da questa si può ricostruire un bel pezzo della Storia d’Italia, di altri tempi, quando non c’erano i crocefissi nelle aule, ma poi venne il Concordato.

Non ho trascritto una parte di carattere personale.

 

lettera di Francesco Franceschini del marzo 1971, il timbro erroneamente porta la data 1972

 Sansepolcro, 6 marzo 1971

Caro Fausto,

Non voglio farti penare tanto. Ieri ricevei la tua graditissima lettera ed oggi sono con te nell’intento di esaudire nel miglior modo possibile i tuoi desideri.

Prima di entrare nel vivo di ciò che ti interessa sento il dovere di ringraziarti per il buon ricordo che conservi nei miei confronti e per le vicende che riguardano la vita americana di cui hai voluto ragguagliarmi.

Un particolare cordiale saluto vada alla tua bella e simpatica sposa cui va pure il più fervido augurio per una serena gestazione e perché il lieto evento avvenga secondo le vostre aspirazioni.

Mi compiaccio con te per il tuo rapido e lusinghiero ambientamento nella vulcanica America. Non ho avuto ancora la possibilità di conoscerla e penso che non avrò il piacere di metterci piede, ma da ciò che ho letto ed ascoltato da coloro che l’hanno visitata, sia pure apprensivamente, mi rendo perfettamente conto quanto e come sia diversa la vita quotidiana e come sia contrastante il modo di concepire le cose in senso lato da quelle nostre. 

Ma tu sei giovane e quindi con la collaborazione di tua moglie che è un’anglosassone non dovresti trovarti a disagio.

Ed ora torniamo all’argomento principe.

L’episodio di cui a suo tempo ti accennò il Signor Camillo Benci avvenne all’incirca nel 28-29. Non più tardi perché il carro funebre laico che venne usato in tale occasione, venne poi distrutto tanto è vero che per il mio povero babbo, deceduto nel Maggio 1930, fummo costretti a sistemare alla meglio la cassa entro l’auto da noleggio del Cesarini, mio amico, da lunghi anni emigrato a Casablanca, perché la Congregazione della Misericordia rifiutò di concedere il carro essendo trasporto civile.

E’ ovvio dirti come il fatto che mi accingo a descriverti, desto’ scalpore anche in quell’epoca ricca di soprusi e violenze.

Le vittime furono tutte repubblicane (massoni). Devi sapere innanzi tutto che, a differenza di oggi, nei partiti militavano persone mature. Nel P.R.I. poi la quasi totalità oltrepassava i 50 – 60 anni: anticlericali per eccellenza, antifascisti, ma nel contempo oppositori dei socialcomunisti, per non parlare della incallita avversità verso il P.P. (Partito Popolare Italiano) oggi Democrazia Cristiana, e verso infine quel rimasuglio di conservatori Monarchici.

Questo fermo atteggiamento degli ultimi Repubblicani Risorgimentali e quindi di fede patriottica (e qui è bene ricordare il nostro interventismo alla I Guerra Mondiale) face sì che la furia fascista non si abbattesse con quella violenza di cui, in massima parte, ne fecero le spese, come in tutta Italia, i Socialcomunisti.

Dopo questo preambolo ritorniamo alla vicenda che ti sta a cuore.

Forse tu saprai che per amicizia di buon vicinato e per quella antica tradizione che voleva che tra i numerosi laici del Borgo, di Sangiustino e di Città di Castello, non venisse infranta nella buona e nella cattiva sorte quell’affetto fraterno, tramandato da padre in figlio. Frequentemente i bontemponi di libertari non mancavano di scambiarsi visite e di inneggiare, fra plurime bevute e spuntini alla Repubblica Mazziniana, unica legittima e valida forma di Stato Popolare democratico sovrano.

Quel malaugurato giorno era un evento di lutto. Era morto a Sangiustino un vecchio Repubblicano di cui non ricordo il nome.

Era dovere andare a rendergli l’ultimo saluto, magari al ritorno al Cantinone o alla Dogana, avrebbero cercato di mandar giù la tristezza con qualche litro di quello buono. Non credere che questa dissertazione abbia sapore ironico, tutt’altro. E’ una nostra forma familiare che non si riscontra in altri partiti.           

Facevano parte della comitiva, ora tutti nel mondo dei più, Camillo Benci, Ernesto Casucci, vecchio funzionario del Magazzino dei Tabacchi, gia segretario della sezione, Luigi Mariucci, tipografo, poi proprietario del Caffè Appennino, detto il Padrino, padre di Ado (?), il Dindelli detto Gnespola (e’ detto bene cosi al Borgo, non nespola) calzolaio, portabandiera, Checco Boncompagni, scalpellino detto il Crudo, padre di quelli che si ubriacavano. Non credo che ce ne siano stati altri, comunque questi sono i più noti.

Per il trasporto funebre come ripeto, fu utilizzato il nostro carro funebre per il quale contribuivo anch’io per la manutenzione E così il nostro fiero drappello di Liberi Pensatori in cravatta alla Lavalliere, con in testa la vecchia bandiera verde (non rossa del P.R.I. poiché il partito era stato sciolto come tutti gli altri partiti oppositori del Regime dopo l’omicidio Matteotti nel 1924)

La gente guardava con stupore e nel contempo con ammirazione perché dall’avvento del fascismo, raramente si verificavano trasporti civili e tanto più con bandiera di un sodalizio fondato in memoria del Martire Nolano Giordano Bruno.

Apriti cielo! Le autorità locali: il segretario politico, il podestà Roti, vero aguzzino che si accanì in maniera bestiale, il maresciallo dei Carabinieri, l’arciprete ed altri della combutta, fecero sì che al ritorno dal cimitero questi valentuomini, rei di aver reso a modo loro gli onori funebri ad un grande amico, venissero fermati e incarcerati in attesa di ulteriori istruzioni.  Fu redatto denuncia nientemeno al Tribunale Speciale per manifestazione sovversiva e di complotto contro lo Stato.

Dopo qualche giorno li vedemmo partire con il trenino incatenati l’uno agli altri alla volta di Roma. Roba da Inquisizione. Te lo immagini vedere questi uomini di una certa età in tali condizioni come fossero dei futuro banditi?

Furono trattenuti nella capitale per diverso tempo in attesa della celebrazione del processo. Fortunatamente il fratello del Signor Camillo Benci, il Sig. Fervido si rivolse al Generale Traditi allora Comandante della Milizia, il quale era stretta parente dei Martini e quindi della moglie del Signor Fervido. Questo provvidenziale personaggio riuscì a svuotare i pesanti addebiti e a far liberare i detenuti.

Non credo quindi che il Vescovo Pompeo Ghezzo, ottimo uomo, in verità abbia influito sulla risoluzione del fatto. In ogni modo però questo prelato molto ha fatto per la nostra Città in ogni circostanze specie nel torbido periodo della Repubblica Sociale e nel corso del passaggio della guerra. Molte persone furono da lui salvate dalle mani della soldataglia tedesca.

I predetti incriminati ritornarono al paese e furono accolta da i più con affetto e simpatia anche perché parte di essa erano di una certa levatura sociale. Anche gli altri, benché di condizione modesta, il Crudo, il Padrino, e Gnespola, ebbero la loro parte di gloria.

Non ci furono rappresaglie violente ne’ d’indole economica anche perché tutti erano indipendenti come lavoratori in proprio.

Con ciò il primo argomento è chiuso. Parliamo quindi della nostra gloriosa sezione del P.R.I.

La nostra sezione ha radici molto antiche. E’ però certo sia costituito poco dopo che il Granducato di Toscana, nel ’59, fu unito al Regno d’Italia. Anche mio nonno paterno, oggi sarebbe stato un ultra centoquarantenne era fervente Repubblicano passato poi alle appena nate idee socialiste da inculcare poi, visti gli inutili sforzi verso i suoi figli, nella testa di Gigino Bosi, suo nipote e quindi cugino di mio padre. Questo mio parente era allora studente universitario di Agraria a Pisa. Esponente assieme all’Avv. Massa del P.S.I. e indi Deputato. Fu molto perseguitato dal Fascismo.

Ritorniamo a noi. Ricordo nella mia prima giovinezza dei diversi personaggi Repubblicani i quali facevano spicco colla loro rettitudine e con il loro buon senso più che come uomini di cultura. Infatti il complesso degli iscritti era formato da operosi artigiani. Io, oltre la scuola paterna, fui educato e perfezionato da uno stuolo di anziani capeggiati da Pergente Cerri, coetaneo di mio padre, oriundo della Maremma ove conobbe il brigante Triburzi. Facevamo cenacolo allo Stand Tiro a Volo, oggi trasformato in Autostazione, palazzi e abitazioni di Midio Meucci.

E così all’età di 16 anni nel 1920 andai a studiare ad Arezzo ove mi iscrissi alla Sezione Giovanile Repubblicana – Circolo Oberdan. Avevamo la sede in uno scantinato vicino ai casini. Delle volte ci riunivamo con gli anziani all’Albergo La Luna di proprietà di Paride Verecondi, repubblicano. Come ricordo con affetto i Montaini, Cenni, Marchiò, Icilio Spaccialbeffo, funzionario delle foreste, nativo di Città di Castello, reduce e ferito alla battaglia di Damakos in Grecia alla quale partecipò con la spedizione di Ricciotti Garibaldi figlio primogenito dell’eroe dei due Mondi.

Quando ritornavo a casa partecipavo alle riunioni di questi simpatici amici. La sezione era in via della Fraternita per andare ai Servi. Il locale era una specie di scantinato, tappezzato di stampe risorgimentali, bandiere polverose. Quando entravi a prima vista non distinguevi nulla tanto era il fumo, sprigionato dalle pipe. Non ti dico poi il clamore che si elevava quando qualcuno prendeva la parola intercalando il breve discorso con moccoli dell’80 (?). Era uno spasso. Poi veniva passato il fiasco e così, inneggiando alla Repubblica, aveva termine il raduno.

Ma quale impronta aveva lasciato il vecchio Partito in sede locale! Basterebbe pensare la costituzione della Società Operaia che ebbe l’onore di avere una lettera autografa di Giuseppe Garibaldi.

Come già accennato il P.R.I. venne disciolto nel 1924 e quindi la nostra sezione dovette chiudere i battenti, ma con questo non finì l’affiatamento e la fratellanza fra gli iscritti.

A guerra conclusa ricostituimmo la sezione. Fra gli anziani rivedemmo Fosco Dini, Brando Duranti, Rosvindo Guidobaldi, Demetrio Barciulli, il Padrino, Amerigo Medici e suo fratello, Pergente Cerri, e tanti altri. Mentre fra i giovani segnalo Ado Mariucci, Beppe Nomi, Stelio il Moro, Pietro Magi ecc. ecc. Nella prima amministrazione avemmo ben 5 consiglieri: io, Ado, Magi, Stelio, Batti nipote di Gigi che purtroppo mori immaturamente.

Ed oggi, come tu sai, dopo alcune lotte elettorali andate a vuoto, abbiamo riportato in municipio un nostro rappresentante nella persona di Livio Boncompagni da poco sostituito da Tredici Coraggio perché impossibilitato di seguire l’attività del Consiglio per impegni di lavoro.

In complesso il risveglio repubblicano è in continua ascesa in tutta Italia. Anche Arezzo che per noi è sempre stato un ambiente negativo, sta raccogliendo lusinghiere adesioni. Sangiustino e’ sempre un buon ambiente ma purtroppo con la morte del Rag. Sante Meocci, vecchio Repubblicano, e uomo di vasto ingegno, temo che non faccia più progressi considerevoli.

Anche questo argomento lo considero esaurito.

 

Parte omessa …  

 

Che faticata mi hai fatto fare! Però ti pongo una condizione: quando torni in Italia mi devi riportare naturalmente dietro rimborso delle spese 4 o 5 dollari d’argento dei differenti Presidenti o coniati per commemorare qualche fatto importante.

Ed ora Fausto chiudo il sipario.

A proposito volevo tenerti al corrente degli avvenimenti cittadini. Da tempo si verificano scioperi massicci per la Buitoni, in verità molto giustificati. Si ha ragione di temere il trasferimento della lavorazione dei prodotti dietetici. L’altro giorno la città era deserta, avevano chiuso tutti i locali, negozi ecc.

 Necrologio: Vittorio Rosati, Pisini, Pietro Giambagli il Moro, tutti morti repentinamente.

 Ciao, Fausto, se mi rispondi mi farai cosa gradita, Salutami tua moglie alla quale rinnovo i miei auguri.     

 Mia moglie contraccambia cordiali saluti e tu da me abbiti un cordiale fraterno saluto.

 Francesco Franceschini  

 

1964 stazione d’Arezzo, Francesco Franceschini al centro, vestito scuro

            

Francesco Franceschini al centro, vestito scuro.

Stazione d’Arezzo, maggio 1964, partenza dei Balestrieri di Sansepolcro per Roma per poi volare ad Alghero per la Settimana Sarda

 

 

 

 

 

Nell’estate del 1959 andai ad un campeggio nel monte Fumaiolo dietro le Balze. Una domenica mattina vidi comparire mio padre e fui sorpreso, ma cosa era successo? Mi era venuto a prendere, nel pomeriggio ci sarebbe stato il funerale, civile naturalmente, del Sor Camillo Benci e anche io dovevo fare omaggio alla sua memoria. Ricordo che era una giornata caldissima e quando sia arrivati in via XX Settembre, proprio davanti alla farmacia Galardi c’era un grande assembramento di gente, notai subito una grande vecchia bandiera verde, quella era di certo la stessa bandiera che trent’anni prima era stata causa di tanti problemi. Mussolini aveva paura di quella bandiera verde.  

Fausto Braganti

ftbraganti@verizon.net

 

Marblehead, 16 dicembre 2020

Il mio libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro.

Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.

 https://www.youtube.com/watch?v=Cuj_L36JYeQ

 

 

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