“Fausto, ti devo parlare, è importante e soprattutto urgente.”
Ero rimasto sorpreso, meglio dire quasi esterrefatto, quando poco prima la mi’ mamma mi aveva chiamato annunciandomi.
“C’è Vasco al telefono.”
Ecco una telefonata inaspettata e per me di Vasco a Sansepolcro ce n’era uno solo; ma cosa voleva?
“Fausto, ti devo vedere, prima possibile, subito!”
Il fermo tono della sua voce non lasciava dubbi, quello era come un ordine.
“Allora, vengo, ma dove ci incontriamo? Nel suo ufficio?”
Quella era una caldissima mattina di luglio, afosa ed io in quei giorni non avevo molto da fare. Avevo tutto il tempo per preoccuparmi, incertezze sul prossimo futuro, parto o non parto? Da giorni, anzi da settimane, aspettavo una telefonata che non arrivava, ma non quella di Vasco, aspettavo quella del consolato americano di Genova.
Parto o non parto?
Facciamo un salto indietro. Pochi mesi prima, il 21 marzo 1970, mi ero sposato a Londra con Nancy Lichman, cittadina americana che come me lavorava a Londra come insegnante, io d’italiano e lei di francese. Diciamo che il nostro era stato un amore grammaticale, infatti lei era stata una mia studentessa. Lei da tempo voleva ritornare in America dopo un’assenza di 5 anni e mi aveva facilmente convinto a seguirla. Io avevo 29 anni ed ero pronto per una nuova grande avventura, forse era l’ora che decidessi cosa fare da grande. Avevo l’intenzione di iscrivermi ad una università americana per prendere un Ph.D. contando poi di intraprendere una carriera accademica, professore universitario di storia, almeno questo era quello a cui aspiravo.
Ai primi di maggio ero andato con Nancy al consolato americano di Londra; lei aveva iniziato la pratica di emigrazione del consorte, questo era un suo diritto. La documentazione richiesta era voluminosa, e inoltre dovevo dichiarare sotto giuramento che non ero mai stato comunista o anarchico, e se fossi stato donna si aggiungeva la dichiarazione di non essere mai stata una prostituta. Poi ci sarebbe stata anche una visita medica, sifilitici e tubercolosi non potevano chiedere di entrare negli Stati Uniti. Penso che oggi, considerando tutti i gruppi terroristi che ci sono in giro, la documentazione da presentare sia ancora più voluminosa e di certo più attentamente setacciata.
Dovuto al fatto che a giugno saremmo tornati in Italia, a Sansepolcro, la mia pratica era passata da Londra al consolato di Firenze per poi essere spedita a quello di Genova dove da settimane raccoglieva polvere. Il nostro obbiettivo era quello di partire ai primi di agosto dandoci modo di organizzarci e per poter permettere a Nancy di cercare un lavoro come insegnante di francese in qualche liceo nella zona di Boston e per me iniziare la ricerca d’una università dove iscrivermi. Per me sarebbe stato un po’ più problematico trovare un vero lavoro I genitori di lei abitavano da quelle parti, il che ci dava un punto d’appoggio al momento dell’arrivo, avremmo almeno avuto un tetto.
Così eravamo arrivati alla metà di luglio e ancora non era successo nulla. Questi miei ultimi giorni a Sansepolcro nell’appartamento di mia madre diventavano sempre più tesi, da non sottovalutare i miei rapporti con lei che vedeva avvicinarsi il giorno della mia partenza; lei ancora sperava che io andassi a trovare il Sor Marco Buitoni chiedendogli un lavoro, sicura che lui me l’avrebbe trovato.
Nonostante tutto questa incertezza avevo già spedito negli USA un baule di beni personali.
Continuavo a domandarmi: parto o non parto? Nella peggiori delle ipotesi Nancy sarebbe partita da sola e poi io l’avrei raggiunta quando la mia autorizzazione sarebbe arrivata.
Avevo telefonato più volte al consolato americano di Genova, la risposta era sempre stata la stessa, dovevo aspettare, la pratica non era completa, mi avrebbero chiamato.
Non era completa, ma cosa mancava? Io avevo doverosamente consegnato i documenti richiesti e non avevano domandato altro.
Questa in breve la mia, la nostra, situazione in quei giorni afosi di meta’ luglio a Sansepolcro.
Ma poi, come ho già detto, arrivò l’inaspettata telefonata di Vasco.
Mi aveva detto:
“Non in ufficio, incontriamoci al caffe davanti al Duomo”
Quando arrivai lui stava traversando la strada e mi disse:
“No, non andiamo al caffe, troppa gente. Andiamo in Duomo, è più fresco e di certo a quest’ora non c’è nessuno.”
Lo seguii e ancora non avevo la più pallida idea su quale fosse la ragione di questa convocazione inaspettata.
Come previsto la cattedrale era deserta e un po’ più fresca.
Ci sedemmo sull’ultima panca sulla sinistra, la prima entrando. La scena era surreale, come fossimo due agenti segreti, due spie, come fossimo saltati fuori da un romanzo John Le Carré. Chissà quale segreti ci saremmo scambiati.
Non ci furono preamboli, Vasco fu diretto:
“Fausto, io devo fare un rapporto su di te, c’è chi lo aspetta, subito. Lo so, ti conosco, sei un bravo ragazzo, le nostre famiglie sono state vicine da sempre, ma tu sei, sei stato troppo amico dei comunisti.”
Ricordo esattamente queste parole.
“Io non sono comunista, e poi come è possibile non essere amici di comunisti in un paese come il nostra. Vasco, lei stesso lavora tutti i giorni circondato da tanti di loro.”
“Si, lo so, ma il problema vero, più grave, è che c’è chi la pensa differentemente, sei stato schedato, sei schedato marxista leninista.”
Enfatizzando queste due ultime parole voleva mettere in evidenza la gravità della mia situazione.
Sapevo già d’essere stato schedato e per intimorirmi per vie traverse me l’avevano fatto anche sapere, e anche questa era stata una delle ragioni che mi aveva spinto ad andarmene a Londra due anni prima. Poi mi piaceva dire che ero arrivato a Londra come Mazzini, rifugiato politico. Esageravo un po’!
Ma come faceva Vasco a sapere tutto questo?
A questo punto, seduto su quella panca dura del Duomo deserto, mi fu chiara la ragione di quell’incontro, ma rimanevo sorpreso, incuriosito, ancora mi continuavo a domandarmi ma cosa c’entrava lui con la mia domanda d’immigrazione negli Stati Uniti?
Per chiarire il tutto devo fare un altro salto indietro nel tempo, questa volta di quasi due anni. Nella vita dobbiamo fare sempre i conti con le cause e con gli effetti anche se in certi casi le nostre responsabilità sono condizionate dalle decisioni di altri.
Ma cosa era successo? Torniamo all’agosto del 1968.
Non c’è bisogno di ricordare che il ’68 fu un anno ricco d’eventi; uno di questi, alla fine di agosto, fu l’invasine della Cecoslovacchia da parte delle truppe sovietiche che volevano porre fine a tutto quello che stava succedendo a Praga, riforme democratiche che minacciavano di espandersi ad altri paesi del Patto di Varsavia.
Proprio in quei giorni si svolgeva ad Arezzo il Concorso Polifonico Guido Monaco, evento annuale con la partecipazione di gruppi corali che ogni anno venivano da tante parti del mondo. Quell’anno fra i vari gruppi invitati ce n’era uno cecoslovacco; i membri di questo si erano ritrovati lontano da casa durante quei giorni turbolenti senza sapere cosa stava succedendo, le notizie erano confuse, quelli erano tempi senza telefonini, ma l’immagini dei carrarmati sovietici nel centro di Praga non lasciavano dubbi sulla gravità della situazione.
A Sansepolcro ci furono quelli che presero un’iniziativa, quelli della Democrazia Cristiana invitarono la corale cecoslovacca a cena, in tal modo si voleva dimostrare il loro supporto nei confronto dei giovani del coro lontani da casa.
In quei giorni io abitavo a Firenze e da poco tempo ero ritornato da un lungo viaggio per l’Europa alla ricerca d’un amore perduto, un’altra storia. Facevo finta di lavorare sulla mia tesi di laurea ed ignoravo le conseguenze politiche di quello che stava succedendo a Praga con gli sviluppi che avevano spinto la Democrazia Cristiana di Sansepolcro ad organizzare una cena per i giovani della corale cecoslovacca, volevano dimostrare la loro solidarietà in un momento così difficile.
Arrivò quel fatidico sabato pomeriggio della fine dell’agosto 1968; mi ritrovai tutto solo a Firenze e nel tardo pomeriggio decisi di tornare a Sansepolcro. Senza passare da casa andai direttamente in piazza, per la Via Maestra, speravo di incontrare qualche amico. Si, c’era un mondo senza cellulari, le persone si dovevano cercare sperando di trovarle. Incontrai un conoscente che mi disse che degli amici avevano organizzato una cena alla Balestra, e così pensai di unirmi al gruppo.
Entrando notai da lontano che la gran sala era piena di gente, erano tanti, a prima vista non riconobbi nessuno. Ebbi appena il tempo di notare alcune belle ragazze bionde, la cena prometteva bene, quando un piccolo gruppo, venendo da dietro di me, entrò di corsa spingendomi come fossi uno di loro, lanciando volantini e berciando frasi che non capivo. Questi li conoscevo, erano di Sansepolcro. Ma non furono i soli ad irrompere, infatti un gruppo di poliziotti alcuni anche i borghese era irrotto nella sala venendo dal lato dell’hotel cercando di fermare i dimostranti e la distribuzione dei volantini. Pensai poi che i poliziotti erano già la’, in attesa, nascosti, loro sapevano quello che sarebbe successo. C’era di certo stata una spiata.
Un gran casino! Alcune sedie e tavoli furono ribaltati, solo spintoni, nessuna colluttazione… ed io lì nel mezzo, io che ancora non capivo cosa stesse succedendo.
Ma cosa c’era scritto in quei volantini sovversivi e incriminati?
Mi ritrovai spinto in un angolo assieme al gruppo dei dimostranti che avevano cercato di lanciare i volantini senza gran successo; quattro o cinque persone, oggi ne ricordo solo uno.
Perfetto, mi ero ritrovato nel luogo sbagliato nel momento più inopportuno!
Non ci furono arresti, ma notai che i poliziotti cercavano di prendere i nomi di tutti noi. Da lontano vedevo i commensali che penso non avevano capito nulla di cosa stava succedendo.
Ci lasciarono andare. Mi domando come andò a finire quella cena.
Alla fine ebbi modo di leggere il volantino sovversivo.
Era scritto in italiano, francese, inglese e tedesco, questo più o meno il senso del breve messaggio:
“Noi giovani comunisti di Sansepolcro condanniamo fortemente l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Vogliamo solo avvisarvi che questo invito a cena da parte della Democrazia Cristiana ha il solo obbiettivo di sfruttarvi come uno strumento della loro propaganda.”
Non ricordo se poi quella sera cenai.
Dopo un paio di giorni il fratello d’un amico mi fermò per la Via Maestra e senza preamboli mi disse:
“Bravo Fausto! Ah, allora c‘eri anche tu l’altra sera alla Balestra! Ti hanno schedato. Marxista-leninista, stai attento.”
Non ricordo cosa risposi, ma di certo fui turbato. Conoscevo i dimostranti, membri del PCI ma di certo nessuno era marxista-leninista.
Due settimane dopo ero a Londra, e avevo un lavoro di insegnante di italiano… come Mazzini, si fa per dire.
Raccontato tutto questo ritorniamo ad un incontro segreto dei due seduti sull’ultima panca, come fossero due Carbonari, nel Duomo di Sansepolcro, a metà luglio 1970.
“Fausto, non ti preoccupare, so cosa devo fare, cosa dire, ma ni raccomando, non mi far fare brutta figura. In bocca al lupo.”
Fine della conversazione, niente caffe. Io tornai a casa, mentre Vasco si avviò verso il suo ufficio. Era circa mezzogiorno, quasi ora di mangiare.
Il pranzo non era ancora finito quando ho sentito il telefono suonare.
“Qui il consolato americano di Genova. Fausto Bragant? Lei è convocato per dopodomani alle 8:00 per la visita medica e l’ultima intervista prima del rilascio del visto.”
Due settimane dopo, sabato 1 agosto 1970 atterravo all’aeroporto di JFK, New York, un’altra giornata caldissima, afosa da non respirare. Avevo il gran bustone giallo sigillato da consegnare all’ufficiale dell’immigrazione. Ero ufficialmente in America, ora dovevo cercar lavoro, avevo $200.00 in tasca.
Il resto non fu facile, anche se avevo Nancy ed il supporto iniziale della sua famiglia.
Son passati più di 50, era l’ora che raccontassi anche questo M’Arcordo… di certo uno dei più importanti della mia vita.
Dimenticavo, nel consolato di Genova feci un altro giuramento: mi sarei presentato entro sei mesi dal mio arrivo, al distretto militare più vicino, dovevo essere inserito nelle liste di leva. Ancora si combatteva in Viet-Nam.
Fausto Braganti
Marblehead, 21 febbraio 2021
Il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro.
Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
https://www.youtube.com/watch?v=Cuj_L36JYeQ
febbraio 24, 2021 alle 12:30 PM |
Io non leggo libri ma articoli di riviste datate in quanto mi risvegliano ricordi e me li integrano con episodi meno noti. Ma ascolto con molto interesse le narrazioni personali che sono vive,reali ed inquadrano la persona che racconta-da ragazzo ascoltavo gli adulti che quando non avevano altra argomentazione finivano col ricordare episodi favorevoli di Guerra come scampati bombardamenti o rastrellamenti anche se non ne traevo il vero significato ma mi attirava la narrazione-a partire dal 1968 ci sono stati moti studenteschi-nel 1969 per singolare coincidenza andarono in scadenza contratti di numerosi settori.Nella mia ditta fecero 16 giorni di sciopero,ma nei paesi se ne dolevano in pochi in quanto rimpiazzavano il lavoro nella fattorie agricole che avevano perso gli operai o si prestavano a piccole imprese edili.Si conosceva l’esistenza di una certa schedatura di estremisti,tenuta più a mente che scritta,ma quello che accadeva nel tuo paese mi sembra eccessivo ovvero un vero e proprio sistema bulgaro a rovescio-naturalmente come stanno le cose si viene a sapere più esattamente quando vanno a toccare la propria pelle-alle mie latitudini mai saputo che si siano verificate cose eclatanti.Mi sono soffermato(per dire) sull’aspetto più evidente ma non dimentico i complimenti per la narrazione e gli obbiettivi professionali poi raggiunti-ovviamente sono curioso nel sapere come andrà a finire la faccenda della investitura in grigioverde-
aprile 12, 2021 alle 8:02 am |
Scusa Rodolfo, per qualche misteriosa ragione solo oggi mi e’ stato evidenziato il tuo messaggio. Scusa non capisco la tua domanda “investitura grigioverde”