028 M’Arcordo……quando ero ladro e bugiardo
A quei tempi (verso il 1950) se stava in Via della Firenzuola, vicino al comune, al secondo piano della casa dei Melandri. Quando il tempo era buono si giocava per la via o nell’orto del Melandri. Per la mi’ via non c’erano molti citti e allora andavo in Via della Castellina. Quando la Giuliana, che stava de casa dall’altro lato dell’orto, l’ha descritta così bene in un suo “M’Arcordo”, mi ha rinfrescato tante memorie del vicinato che m’ero scordato.
C’era un pezzetto della Via Maestra che conoscevo bene, dove spesso andavo quando mi mandavano a far qualche spesa oppure quando s’andava al caffe di Bruno Fiordelli. Uscendo di casa andavo a sinistra e poi ancora a sinistra in Via Pettorotondo. Allora mi sembrava che fosse un nome normale per una via. Quanti vie, viali, piazze Garibaldi ci saranno in Italia? Chissá? Son sicuro che di Via Pettorotondo ce n’é una sola. Il bello di questo è che dopo cinque secoli ancora si celebra la mitica perfezione del seno d’una cortigiana di cui ricordiamo solo il soprannome. Di cortigiane ce n’erano altre due: la Castellina e la Firenzuola e deveno essere state tanto brave. Alla fine, sulla sinistra quando s’entrava nella Via Maestra c’era la macelleria della Maria Macellaia, quella con in due mastini sopra la porta che tengono in bocca le catene del bove. Ne ho vista una, quasi eguale, nella parte vecchia di Cannes. Poi di fronte, traversando la Via Maestra c’era la cartoleria della Boncompagni , non m’arcordo come si chiamava, forse Sora Cecca?. Li andavo a prender La Nazione, La Domenica del Corriere e L’Europeo pel mi’ babbo, e quando cominciava la scuola pennini e quaderni. C’era sempre il Sor Italo Pichi e spesso c’era anche il Sor Ausonio, credo fosse ‘l su’ babbo, seduto su una poltrona, lui mi intimidiva un po’. Mi domandava sempre: “Chi sei?” poi “Chi è ‘l tu’ babbo?” Da una volta all’altra se n’era scordato. ‘na volta l’autista di un camioncino facendo manovra, perse il controllo ed entrò entro la vetrina. Io ero proprio li quando successe. La Sora Cecca se mise a berciare: “Oh me tremano le gambe!” ed il Sor Italo: “A me me trema qualcos’altro!”
Poi andando a sinistra, lungo il lato destro della Via Maestra c’era un gran portone; li ci stava Danilo il sarto, figlio di Sagunto, il babbo dell’Amaranta e fratello dell’Etrusca. Alora al Borgo se cercavano i nomi che non erano nel calendario. Poi c’era il Bacci elettricista, con la gran motocicletta, credo fosse una vecchia Moto Guzzi, sempre parcheggiata davanti alla sua bottega. Mi raccontavano che ‘l Bacci era stato l’autista di D’Annunzio, proprio a Ronchi quando aveva deciso d’andare a Fiume, ma non so se sia vero. Poi c’era la bottega della Sora Livia cappellaia sempre sorridente, che faceva anche la sarta da donna, la nonna di Bernardo Monti. Mi piacevano tutti quei cappelli. M’arcordo che vendeva anche gli ombrelli, quelli grandi verdi d’incerato dei pecorai. Poi c’era il forno entro l’androne dell’ingresso d’un palazzo. Accanto c’era una gran bottega d’alimentari, che tutti chiamavano la Cooperativa, credo che sia proprio dove adesso c’è la Loggia d’Ugo. Li, dietro al banco, c’era sempre Bruno col grembiule bianco e sempre molto gentile e paziente anche con noi citti.. Spesso mi mandavano a fare la spesa ed altre volte c’andavo a prendere la merenda. Bruno mi faceva dei panini con l’orcello della pagnatta col tonno e i capperi, erano buonissimi. Sul banco c’erano sempre dei gran barattoloni del tonno e delle acciughe sotto sale. Più avanti, sempre su quel lato, c’era il Gori dei ferramenti, Amerigo il barbiere e poi cominciavano i tavolini del caffe di Bruno pasticciere. Ma forse mi son dimenticato di qualcuno.
Una sera, doveva essere d’inverno perchè m’arcardo che era giá buio, andai col mi’ babbo a fare la spesa alla Cooperativa. Penso che forse la mi’ mamma aveva dimenticato qualcosa, perchè ‘l babbo non andava quasi mai a fare la spesa. Mentre il babbo parlavo con Bruno io mi misi a guardare in giro.
Ai quei tempi si comprava la pasta sfusa, ma al Borgo non c’era molta gente che la prendeva alla bottega. Quasi tutte le famiglie, come la mia, avevano qualcuno che lavorava al Buitoni; allora ‘na volta al mese s’andava allo spaccio aziendale per prendere la pasta ad un prezzo speciale. Non son sicuro, ma mi sembra che se ne potesse comprare fino a 20 chili. Una famiglia come la mia, solo 4 persone, non poteva mangiare 20 chili di pasta al mese, allora si dava ai parenti che non avevano nessuno al Buitoni, e come noi credo che erano in molti quelli che la ridistribuivono. Allora non credo che i negozi di alimentari vendessero molta pasta.
Alla Cooperativa tenevano gli spaghetti sfusi in un cassetta di legno, erano lunghi, anzi lunghissimi. Erano come due spaghetti uniti da una specie di “u”, questo perchè venivano asciugati a cavallo d’una canna e poi non venivano tagliati come oggi primi d’essere impaccati. Anche la pasta corta era in cassette o in dei sacchi di iuta tutti in fila lungo il muro. Quella sera notai dei rigatoni grandissimi, mi sembravano enormi, era bellissimi. Non ne avevo mai visti di così grandi. Non seppi resistere alla tantazione, ne volevo uno, certo poi non avrei sapevo cosa farne. Ne presi uno e lo nascosi nella tasca dei calzoni. Mi piaceva toccarlo con la mano, sentirne i righini.
Il babbo finì di far la spesa ed uscimmo per tornare a casa. All’angolo della macelleria girammo a destra per Via Pettorotondo, stretta e buia, dal lastricato di vecchie pietre sconnesse. Verso metá della via, prima di girare ancora a destra in Via della Firenzuala, più o meno all’altezza degli archetti, il babbo con voce ferma mi chiese:
“Cosa c’hai in tasca?” Mi sentii gelato, paralizzato. Mi aveva visto. Cosa potevo rispondere? E con voce incerta, tremante:
“In tasca? Non c’ho gnente!”
E dopo pochi passi, sempre con voce ferma, oh come me l’arcordo quella voce anche dopo quasi sessant’anni!
“Sei sicuro? Non c’hai niente?”
Ed io:
“No, no, non c’ho niente”
Ed il babbo:
“Fammi vedere. Vuota le tasche.”
E cosi li nella penombra della starda poco illuminata dalla mia tasca saltò fuori il superrigatone bellissimo e tentatore. Ero distrutto, avrei voluto essere sparito nel nulla, perchè non c’era un buco per terra dove mi sarei potuto gettare? Quei secondi durarono cent’ore. Ed il babbo, sempre con quella voce, penso che avrei preferito che m’avesse berciato.
“Ecco!” lunghissima pausa “Sei ladro e bugiardo.” E poi invertendo la direzione
“Ora s’artorna da Bruno.”
Quel cammino fu penosissimo, ancora non avevo capito cosa sarebbe successo. Il silenzio del babbo era terribile, poi quando fummo davanti alla Cooperativa:
“Ora vai a chiedere scusa a Bruno, gli ridai il rigatone dicendogli che l’hai rubato e che sei un ladro ed un bugiardo.”
E così fu. Entrai da solo e poggiai l’oggetto delle mia cupidigia sul banco, che mi parve altissimo come una insormotabile muraglia. Bruno mi guardava sorpreso, forse ancora non aveva capito la ragione del mio ritorno. Poi tutto d’un fiato con gli occhi bassi recitai la mia parte. Non ricordo cosa disse Bruno e se disse qualcosa non lo sentii.
Tornammo a casa; il silenzio del mi’ babbo era peggio di qualsiasi sgridata. Sentivo che non mi voleva più bene. Arrivati in cucina la mamma capì subito che era successo qualcosa. Il babbo con la stessa freddissima voce:
“Ora Fausto va a letto, senza cena e gnodo!”
“Gnudo? Ma cosa voleva dire gnudo?” pensai. La mamma non disse nulla e venne in camera con me. Adesso capisco che anche la mamma voleva fare la dura, ma forse mi voleva consolare un po’ ma non lo fece. Allora capii cosa voleva dire gnudo: non mi dovevo mettere il pigiama, e dovetti togliermi anche la cannottiera e le mutande. Era una specie di penitenza, di umiliazione. Armasi solo al buio nella mia camera: gnudo e digiuno. Gnudo alla fine non mi pareva fosse una grande punizione, io ero sempre caloroso, e non m’importava di restar senza cena, con tutto quello che era successo m’era passato l’appetito. Quello di cui avevo paura, tanta paura, era che il babbo e la mamma non mi volessero più bene.
Non m’arcordo cosa successe subito dopo, nei giorni successivi, eccetto che evitai, per quanto mi fu possibile, d’andare alla Cooperativa: non volevo che Bruno mi vedesse, e così per un bel po’ di tempo niente più orcellini col tonno e i capperi. Eran tanto buoni!
Ed il babbo e la mamma mi volevano bene lo stesso,
15 novembre 2008, Marblehead, MA USA
I vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese. Mi raccomando, scrivete! Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
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