041b M’Arcordo (anglo-belga)…un weekend ad Ostenda
(seconda puntata) -ai primi di dicembre del 1968-
Dopo tanto tempo ricordo ancora molto di lei, ma mi son dimenticato il nome. Forse non ha mai avuto bisogno d’un nome, per me era la Femme Fatale. Femme di nome, Fatale di cognome. E non ricordo cosa indossava sotto il cappotto. Dopo esserci fermati al guardaroba. si era tolto il cappotto come me, ma aveva tenuto il cappello, un cameriere ci aveva guidato al nostro tavolo.
Femme era belga fiamminga e lavorava al consolato del suo paese a Londra. Tornava per alcune settimane al ministero degli esteri a Bruxelles, poi sarebbe rimasta per le feste natalizie, per poi ritornatare a Londra a gennaio. Il mio inglese era migliorato abbastanza da permettermi di comunicare senza gran problemi. La conversazione scorreva veloce, con mossa elegante aveva arrotolato la retina sopra il cappello e si era sfilata i lunghi guanti neri, in qualche maniera sembrava esser diventata una meta molto più accesibile, raggiungibile, come se avesse abbassato il sistema di difesa. Speravo, e mentalmente facevo giá piani, di rivederla al suo ritorno a Londra.
Mi rendevo conto della complessitá della situazione, fra poche ore saremmo arrivati ed io mi sarei trovato davanti Anna. Lei arrivava prima e sarebbe stata al molo e con i suoi capelli rossi non sarebbe passata inosservata facilmente. Non sapevo che cosa avrei dovuto dire e fare, non volevo perderla in partenza, prima che si fosse qualche, anche se pur remota, possibilitá di successo.
Non c’era molto da studiare sul menu, non credo che i ristoranti inglesi, anche quelli d’una nave, siano famosi per la loro cucina: ordinai becon and eggs, dopo tutto eravamo li solo per colazione.
La nostra conversazione continuava, mi sentivo soddisfatto, quando non mi sentivo di nuovo preoccupato sul come avrei dovuto gestire la sitazione all’arrivo. Mi sentivo in un altalena d’emozioni. E lei era così bella, e nonostante la sua apparenza elegante e sofisticata, la percepivo alla mano, senza pretese.
Poi arrivó il cameriere con la colazione e mi mise davanti il piatto con le uova ed il bacon e tutto all’improvviso cambiò. Le uova mi guardavano, i due tuorli allineati, circondati dal bianco erano come i grandissimi occhi d’un bue. In attimo una repentina ed orribile sensazione mi sali in gola dallo stomaco: era la sensazione del vomito! Senza dir nulla, con la mano stretta sulla bocca mi alzai e corsi via dal salone. Ce la feci a raggiungere la ringhiera e rigettare quel poco che avevo in mare, sperando che il vento non me ributtasse addosso. Poi continuai ad aver conati, ma non avevo nulla nello stomaco: orribile sensazione. Oggi sorrido, ma in fondo ancora provo un po’ d’amarezza nel narrarvi la storia. Allora mi sentii non solo male, ma imbarazzato, umiliato, sarei voluto sparire. Ero ancora alla ringhiera quando mi senti un braccio sopra le spalle, era lei che mi tirava a se, mi abbracciava, e mi diceva qualche cosa di dolce, di incoraggiamento. Mi mise la mano sulla fronte. La mi’ mamma era stata l’unica persona che aveva fatto quello per me quando ero piccino in una simile situazione.
Questa era la prova che anche les Femmes Fatales hanno l’istinto materno. Appena mi senti meglio rientrammo, anche perché era freddo e nessuno di noi aveva il cappotto. Andammo in un’altra delle sale, ancora non mi sentivo troppo bene, mi misi vicino alla porta. Lei si allontanó per ritornare al ristorante, io non avevo fame.
Ritornó dopo poco con i cappotti, e mi disse che aveva convinto il cameriere a farmi pagare, perché non avevo mangiato. Chissá che bel sorriso gli aveva fatto, e lui non aveva saputo dirle di no.
Riprendemmo a parlare, ma non ricordo di che cosa. Dopo un tale incidente le mie speranze di conquista si erano azzerate. Il tempo passava e ci stavamo avvicinando alla nostra meta, quando ci fu un annuncio all’altoparlante che fra non molto avrebbero chiuso il negozio che vendeva tabacchi e liquori.
Lei mi disse che mi avrebbe fatto una domanda e mi avrebbe chiesto un piacere, ma se non me la sentivo di farlo, andava bene lo stesso. Cominciai ad esser curioso. Mi disse che lei viaggiava con un passaporto diplomatico e per le loro regolamentazioni, quando lei rientrava in patria, non poteva portar nulla senza la franchigia doganale e concluse:
”Se non ti dispiace potresti comprare due stecche di sigarette, ecco i soldi. Io non fumo, ma mio marito sará contento se gliele porto. Due stecche sono permesse a tutti gli altri. Oh, scusa non ti ho chiesto se tu vuoi comprare qualcosa.”
“Mio marito!” Pensai. Era sposata! E non mi aveva mai detto nulla. Fu allora che le guardai la mano, e si: aveva la fede! Io che come al solito non ho mai preso l’abitudine di osservare gli anelli che uno porta. Ho imparato nella vita che quello della fede non è mai un dettaglio che sfugge alle donne.
”No, aspetta qui, Vado io a comprarle e poi te le do” aggiunse alsandosi ”e tu me le restituisci dopo, quando siamo fuori dalla dogana, mio marito dovrebbe essere lá ad attendermi.”
Rimasi saduto ad aspettarla, e cominciai a pensare l’inevitabile. L’approccio che aveva fatto verso di me ora diveniva chiaro: lei aveva bisogno d’uno che le comprasse le sigarette, ecco perchè aveva attaccato discorso con me, e mi sentii amareggiato, usato. Tutto quello che avevo sperato e sognato fu spazzato via in un secondo. Ma poi ci fu anche un ripensamento, forse un po’ le piacevo, era venuta ad aiutarmi quando stavo male sul ponte, quando vomitavo, allora in fondo era una brava persona, cercavo di trovar qualche cosa per redimere lei e sentirmi meglio io. Dopo tutto mi aveva tenuto con la mano sulla fronte, come aveva fatto solo la mi’ mamma.
A tutte queste domande non avevo risposta, forse tutto questo era meglio, ora non ci sarebbero stati malintesi al mio incontro con Anna.
La nave entró nel porto nebbioso, Ostenda nel suo grigiore si intravedeva appena e noi salimmo sul ponte. Sull’edificio parallelo al molo, che poi scoprii essere quello della dogana, c’era un gran terrazzo, e lá vidi una donna dai capelli rossi: Anna era giá arrivata e sventolava un fazzoletto. Il tutto era così romantico.
Mentre scendevamo assieme le dissi che ero venuto ad Ostenda per incontare una ragazza. Lei, che di nuovo aveva tirato giù la retina della veletta, mi disse con un sorriso un po’ beffardo:
”L’avevo pensato, sei italiano dopo tutto. Prevedibile. Un italiano non va ad Ostenda d’inverno” queste ultime parole calcando la voce ”a meno che non ci sia una donna che t’aspetta.”
E mi diede un bacio sulla guancia, vicino, vicino alla bocca, stringendomi a se. Uscimmo dalla zona doganale, non vedevo Anna, forse mi aspettava da un’altra parte. Il marito della Femme Fatale era lá in atteso, un bell’omo alto ed elegante, all’altezza d’una moglie simile. Lei me lo presentò ed io gli consegnai il sacchetto delle sigarette.
“Non é un mio regalo!” Volevo fare il simpatico, a denti stretti. E mi allontanai da loro proprio quando intravidi Anna che si faceva largo fra la folla per venire da me. Diendi un ultimo sguardo alla Femme Fatale, lei mi guardava ancora, allontanandosi e mi sorrise e volli interpretare in quel sorriso la sua approvazione nell’aver scelto Anna.
Eccola. E moh?
La baciai sulle guancie, la strinsi forte e la baciai sulle labbra, o meglio sfiorai le sue labbra con le mie. Uscimmo dal terminal mano nella mano. Mi sorrideva sembrava contenta, sembrava felice. Io dovevo ancora riprendermi da quella traversata.
Ostenda era come immagino Rimini a dicembre, anche se non son mai stato a Rimini a dicembre. Era freddo, umido e nebbioso e le strade erano semideserte.
La prima cosa da fare era trovare un albergo. Lungo la strada, che sembrava importante, c’era una fila di piccoli albarghi, ma scoprimmo che erano chiusi. Non ricordo quanto vagammo tenendoci per mano, prima di troverne uno aperto.
Entrammo, sembrava carino e pulito. Mi avvicinai e chiesi al partiere:
“Avete una camera?” ma prima che ci fosse tempo per la risposta
“Due camere!” era Anna. Ecco cosa lei voleva: camere separate. Un dettaglio non ancora discusso.
Il portiere mi guardó incerto, come mi dicesse “una o due?”
“Due camere, vicine per favore.”
“Si, abbiamo due camere.”
Io andai nella mia camera ed Anna nella sua.. Ci saremmo veduti dopo poco per andare in giro e forse mangiare qualche cosa, erano forse le due del pomeriggio. Ero seduto al bordo del letto, mi sentivo scontento ed incerto sul da fare, quando sentii bussare alla porta, era lei.
Si sedette accanto a me, le mise una mano sulla spalla e la tirai verso di me e per la prima volta la baciai e lei mi bació e non andammo a mangiare. Fu un pomeriggio di tanti bacii, bacii di passione, e nient’altro. Ogni mia iniziativa, diciamo esplorativa, fu bloccata sul nascere, con grazia ma pur sempre bloccata.
E venne la sera, il buio arriva presto ad Ostenda a dicembre. Uscimmo per cena. Camminammo mano nella mano ancora per le strade semideserte fredde e piene d’una nebbia che ti fa sentir freddo fino all’ossa. Ci fermammo in un bar per un drink e parlavamo, ci raccontavamo di noi, per conoscerci meglio. Ricordo che mi raccontó che era d’origine prussiana. La sua famiglia, lei era ancora piccolissima, era fuggita dalla Prussia Orientale all’arrivo delle truppe sovietiche, per rilocarsi dalle parti di Bonn, dove era rimasta. Sapevo che lavorava in una grande libreria di Bonn (forse Brentano?) lei mi disse che era una esperta di letteratura per ragazzi.
Trovammo poi un ristorante. Non ricordo cosa ordinai eccetto le cozze. A quel tempo non sapevo che Ostenda era famosa per le ostriche, che in veritá non avevo ancora mai assaggito.
Fu al ristorante che, dopo quello che sembrava una certa esitazione, mi disse con il tono d’una confessione, che aveva una cosa da dirmi. Cosa poteva essere? Aprì la borsa e tiró fuori una foto e me la passó.
“Guarda!”
Non potevo credere ai miei occhi: era una foto della mia casa al Borgo (il Borgo é omnipresente, come vedete salta fuori anche in questa storia, ad Ostenda un sabato sera freddo e nebbioso)
“Ma questa é casa mia! Ma come hai fatto ad avere questa foto?” fu la mia prevedibile domanda.
“L’ho fatta io, semplice, sono stata a Sansepolcro. Ma tu non c’eri. Poi ho saputo il perché. Eri partito per Londra. Ti volevo fare una sorpresa.”
Mi raccontó la storia di questo suo viaggio a primi di settembre. Aveva convinto una sua amica a seguirla in Italia per andare a Sansepolcro. Quando furono ad Arezzo decisero di fare l’autostop, ed essendo due ragazze, ed una con i capelli rossi, non ebbero difficoltá a trovar subito un passaggio con due ragazzi. Lungo la strada questi cominciarono a fare i furbi, volevano offrire molto di più che un passaggio. Anna disse loro di smettere e che andava a Sansepolcro a trovere il suo fidanzato: Fausto Braganti.
“Fausto Braganti? Oh!” i due si calmarono subito e dal quel momento furono educati e gentilissimi, sapevano anche dove abitavo e le accompagnarono davanti a casa mia. “Ti prego, non dirgli niente di noi.” Fu la loro ultima raccomandazione e se ne andarono. Le chiesi di descrivermeli, ma non son mai riuscito a capire chi fossero.
Quando fu davanti a casa mia non é ebbe il coraggio di suonare il campanello, face una fotografia alla casa ed andarono al Borgo a cercare un albergo. Dalla descrizione capii che si sistemarono da Orfeo. Da li fecero telefonare a casa mia, e la risposta di mia madre fu un bel colpo per Anna. Ero partito il giorno prima per Londra. La mia era stata una partenza così repentina che non avevo avuto il tempo di scriverle. Il giorno dopo ripartì per Bonn, triste, mi precisò. Le strinsi forte forti le mani, tutta questa storia mi aveva intenerito. In fondo era simile a me, quello era certo qualcosa che avrei potuto fare anch’io.
Dopo cena rientrammo in albergo, la cittá era sempre fredda, nebbiosa e deserta. Io la tenevo stretta e mi domandavo che cosa sarebbe successo, mi sentivo incerto, dubbioso sul da farsi. Invitai Anna a venire nella mia camera e ricominciammo a baciarci come nel pomeriggio e anche se riuscii a togliele parte dei suoi vestiti non feci grandi progressi, e mi sentivo sempre più frustrato e sopratutto arrapato e dolorante. Non so quanto tempo passó, fino a che un certo punto si scostó e mi disse che non era pronta, in fondo era il primo giorno che eravamo assieme. Non riuscii a convincerla dicendole che sì era il primo giorno, ma erano mesi che aspettavamo questo momento. Non la convinsi, si rivestì ed andó nella sua camera.
E rimasi solo, ricordo benissimo, o almeno credo di ricordare benissimo, che mi sentivo deluso, ma non troppo. Pensavo che se non voleva, se non era pronta, non c’era nulla che potessi fare. Mi spogliai e mi misi a dormire e ci riuscii.
All’improvviso, nel mezzo della notte mi sveglia di sovrassalto, qualcuno era entrato nel mio letto e nel buio mi abbracciava e cercava di baciarmi: era Anna, aveva cambiato idea! Mi disse che non poteva dormire, che doveva ritornare da me, che mi voleva ed altre cose del genere mi parlava anche in tedesco, e non capivo. Ed io eccitato l’abbracciavo e la baciavo con passione. La carezzavo e cercavo di scoprire il suo corpo, ma lei aveva uno strano pigiama, non capivo e non riuscivo a trovare nessun passaggio. Le chiesi se potevo accendere la luce e le mi disse di si.
Anna dai capelli rossi aveva un pigiama d’un verde sfolgorante. Era un pigiama come quelli che portano i bambini piccoli, un solo pezzo come una tutta, che la copriva tutta inclusi i piedi, con sul davanti una lunga chiusura lampo che le andava dal collo al pube. Solo la testa e le mani uscivano da quella specie di buccia, come se fosse entro un gran baccello. Avevo sognato la biancheria intima, di sicuro nera, della Femma Fatale, e non avevo mai pensato a quella d’Anna e certo non avrei certo mai immaginato una tale guaina verde.
C’era una sola cosa da fare: tirar giù la chiusura lampo, e lei non si oppose anzi mi aiutó a sfilare il pigiama, ad uscirne fuori. Aveva la pelle bianchissima e ed era rossa, come i capelli. Mi piaceva, era bella, ben fatta ed io mi sentivo eccitatissimo, sarebbe stata mia, fra pochi minuti sarebbe stata mia.
Cominciai a carezzarla ed mentre ammiravo il suo corpo nudo notai un repentino mutamento, mi parve che si era irrigidita, non mi abbracciava più, non rispondeva ai miei baci. Aveva stretto le gambe e le braccia erano immobili lungo il corpo. Fu il suo sguardo che mi fece capire che c’era qualche cosa che non andava. Aveva gli occhi aperti, ma sembrava che non mi vedesse. Non si opponeva alle mie advances ma sembrava che le mie carezze non la riguardassero, non le sentiva.
”Ich bin yungfrau!” mi bisbiglió.
Non parlo il tedesco, ma questo lo capii subito. Dopo tutto conoscevo la montagna sopra Interlaken. Ma come era possibile? Aveva 26 anni. Era bella. Ma allora quello studente a Firenze le aveva lasciato solo dei succhiotti sul collo.
”Ich bin yungfrau!” mi ripeté più d’una volta, sempre a bassissima voce, come mi chiedesse scusa. Era vergine, ed ero sicuro che non mentiva e lo sentiva come un ostacolo, come se ci fosse qualche cosa che non andava, che non funzionava.
Se mi avesse tirato un secchio d’acqua fredda credo avrebbe avuto meno impatto di quella notizia. In un secondo tutto il mio ardore, passione, desiderio crolló, si ridusse a niente.
Ed Anna quella notte rimase vergine.
Ed io la tenni fra le mie braccia, ancora rigida e muta fino al mattino. I miei successivi tentativi di baciarla, di carezzarla non diedero nessun risultato, rimase rigida e passiva, era come se lei non ci fosse. Un agnello sull’altare del sacrificio, E forse alla fine ci addormentammo, non m’arcordo.
Al mattino ci levammo come due vecchi amici e non ci furono tentativi di risuscitare quello che era morto prima di nascere. Non ne parlammo, come se non fosse successo niente, ed in veritá non era proprio successo niente.
Dopo colazione camminammo lungo i moli freddi e nebbiosi di Ostenda sul Mar del Nord. Sento ancora il suono d’una campana che veniva dal mare, forse indicava un luogo pericoloso, mentre qualcuno scattó questa foto, l’unica che mi é rimasta di lei.
Non ricordo molto, direi quasi niente del resto di quella domenica. Non so se io partti prima di lei, non ricordo nulla del viaggio di ritorno, non incontrai nessuna Femme Fatale. Di sicuro immagino che mi sentivo giù e dubbioso delle mie abilitá amatoriali. Quanti altri avrebbero gioito in una simile situazione, ed io non avevo combinato nulla.
Non ricordo se al mio ritorno quella sera od il giorno dopo raccontai i dettagli di questo memorabile week-end a Carlo, il mio compagno d’appartamento, che condividevamo in Westbourn Park Road. Si, abitavamo in Westbourn Park Road, ma allora non era ancora diventato uns strada alla moda for the rich and famous.
Ci son molte cose che non ricordo, ma considerando l’accaduto, penso che di sicuro andai a cercar Roberta, avevo bisogno di provare a me stesso che tutto funzionava, a parte la nostra relazione. La vidi l’ultima volta alla fine di gennaio ’69. Fu dura, ma fu anche una liberazione.
La corrispondenza con Anna fini nel nulla, forse con gli auguri di Natale. Qualche volta mi son domandato se poi mai riuscì a travore il cavaliere senza macchia che la liberó da tale peso, e la fece felice. Lo spero.
Mi sembra che scrissi una lunga lettera ad un amico del Borgo, ma di nuovo non ricordo quanto dissi o quanto omisi. Penso che fra voi lettori ci sia una persona che la lesse.
“Ti prego, se ti ricordi, scrivimi. Son curioso di sapere cosa dissi e sopratutto cosa non dissi.”
12 gennaio 2009, Marblehead, MA USA
Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
Facebook: Fausto Braganti
Skype: Biturgus (de rado)
febbraio 25, 2009 alle 5:07 PM |
Zoventu, zoventu`che bella!
Anche la foto.