071a M’Arcordo… quando hanno scoperto ch’ero maturo.
Nel luglio del 1961, dopo anni passati seduto sui banchi duri del Liceo Scientifico Piero della Francesca di Sansepolcro, dope un numero illimitato d’ore dedicate agli studi piú disparati, ma considerati indispensabili, dopo notti insonni piene di paure, pillole che dicevano avrebbero migliorato la memoria, rosari della mamma a Santa Rita, e per finire dopo due afose e tormentate settimane d’esami, una commissione di gran professori venuti da lontano saggiamente scoprirono ch’ero maturo. Ed io fui contento, soddisfatto e fiero, fu il giorno della mia rivincita.
Liceo Scientifico Piero della Francesca, Sansepolcro
Ci avevo messo sei anni, ero stato baccioto ed avevo ripetuto la seconda, per arrivare a quel fatidico giorno, per raggiungere quell’agognata maturitá, Ho sempre cercato, per quanto m’é stato possibile, di tenere nascosto il fatto ch’ero stato un ripetente, come un vergognoso segreto.
Ci ho messo solo cinquant’anni per superarne il complesso. Questo é uno dei pochi vantaggi di diventar vecchi, certe cose non sono piú importanti.Ma andiamo per ordine. Torniamo indietro all’autunno del 1955 quando arrivai alla nuova scuola, mi sentivo grande, ed avevo i calzoni lunghi. Ero nervoso ed eccitato; c’era il vantaggio che conoscevo la maggioranza dei miei compagni, molti di quelli con cui avevamo fatto le medie. I miei avevano deciso, credo da sempre, che sarei andato all’universitá. Allora, dopo la terza media, c’erano solo due scelte: o liceo classico a Cittá di Castello, o lo scientifico a Sansepolcro. Io armasi al Borgo, era vicinissimo a casa, ancora abitavamo in Via della Firenzuola.
Il Liceo Scietifico del Borgo non aveva una lunga e gloriosa tradizione, era aperto da meno di dieci anni ed era sistemato in un vecchio edificio sullo slargo vicino a Porta del Castello. Questo, come del resto erano tutte le altre scuole del Borgo, era parte d’un vecchio convento, quello di San Francesco ed era condiviso con l’Istituto d’Arte. Si saliva per una scala comune al primo piano, poi noi s’andava sulla destra dove si apriva un solo corridoio, dopo una gran porta a vetri. C’erano cinque classi, piú i vari uffici e i gabinetti. Di nuovo c’era solo l’aula di scienze al piano terra, da poco costruita, ma si doveva uscire e vi si accedeva direttamente dallo spiazzo. I banchi erano disposti ad anfiteatro, immaginavo che tutte le aule all’universitá sarebbero state così. C’erano dei tavoli per fare esperimenti e scaffali con vari strumenti di cui non ricordo l’uso, c’erono degli scheletrini di piccoli animali ed anche un cranio umano, era vero, non di plastica.
In tutto le cinque classi credo che fossimo un’ottantina di studenti, le ragazze erano poche ed al contrario dell’elementari e delle medie portavano il grebiule nero invece di quello bianco.
Giá prima dell’inizio della scuola in casa m’avevan fatto molti discorsi sull’importanza del Liceo e su quello che sarebbe successo. Mi avevano condizionato nel credere che l’umanitá intera fosse divisa in due categorie, quelli che facevano il liceo ed alla fine, superato l’esame di maturitá, sarebbero andati all’iniversitá ed avrebbero avuto tutto il mondo a loro disposizione e poi c’erano tutti gli altri, e questi non contavano. Avevo 14 anni ma giá mi dicevano che quando sarei andato a fare il servizio militare sarei stato un ufficiale. In fondo era un lavaggio del cervello diciamo di classismo intelletuale. Era la rivincita della piccola classe media degli impiegati, dei commercianti e di qualche contadino benestante, che cercava d’arrampicarsi mandando i propri figli all’universitá.
Il bisnonno Angelo (1841-1893) era di sicuro analfabeta, il nonno Luigi detto ‘l Barbino (1874-1960) non era mai andato a scuola ma aveva trovato chi gli aveva insegnato a leggere, a scrivere e a far di conto ed era diventato un fattore, mio padre (1904-1964) aveva fatte le scuole tecniche ed infine c’ero io, ed io dovevo andare all’universitá. Era il passo necessario, obbligatorio per dimostrare il successo della famiglia.
Ma torniamo al primo giorno di scuola. Il Prof. Francesco Franceschini, che oltre ad essere il preside ci avrebbe insegnato la storia, era un signore corpulento vicino alla pensione, venne in classe e ci fece un discorso. Venne in classe e ci fece un discorso. Allora mi parve strano e non credo che ne capii il vero significato, di certo non ero maturo. Mi ci son voluti anni, ma in qualche modo mi colpì molto e forse fu una delle megliori lezioni di vita. Eccolo, piú o meno come me lo ricordo, spero di mantenerne il significato:
“Oggi cominciate il liceo e nella migliore delle ipotesi ci rimarrete 5 anni, 5 ore al giorno per 6 giorni alla settimana” fece una rapida stima delle ore che avremmo passato in scuola ed aggiunse tante altre ore dedicate a fare i compiti ed a studiare, alla fine venne fuori con un gran numero.
“Voi siete venuti al Liceo per studiare e dopo tutte quelle ore che abbiamo contato ce ne saranno ancora di piú, andrete all’universitá. Se non avete voglia di studiare non c’é nulla di male. Il male é che voi perdete tempo e fate perder tempo anche a noi. Al Telebar a Porta Fiorentina c’é un biliardo, allora io vi do un consiglio: andate a giocare al biliardo! Ma anche questo lo dovete fare seriamente, dovete andarci tutte le mattine invece di venire a scuola. 5 ore al giorno, 6 giorni la settimana per 5 anni. Vi assicuro che diverrete dei campioni imbattibili, non ci avrete fatto perder tempo, e voi potrete vivere vincendo tutti.”
Detto questo se ne andò e cominciarono le lezioni. Noi continuammo ad andare al Telebar a giocare a biliardo, ma nessuno decise di farlo a tempo pieno.
La scuola non comiciò bene, anzi. Dopo un paio di giorno fummo tutti sospesi. Un fatto senza precedenti nella storia del giovane liceo: tutta la prima fu sospesa in blocco, ed ancora oggi posso dire che nessuno fu colpevole del malfatto.
Mentre stavamo entrando in classe, e mentre ci sistemavamo ai nostri banchi, il Prof. Franceschini entrò berciando come una furia:
“ Chi ha fischiato? Voglio sapere chi a fischiato. Non si fischia al Liceo! Chi ha fischiato?”
Io non avevo sentito nessuno fischiare. Ci siam guardati incerti e dato che nessuno si muoveva, prese di forza uno studente e lo spinse fuori della porta, continuando a gridare
“Fuori tutti!!! Fuori tutti!!! Sospesi! Siete tutti sospesi!”
E noi tutti impauriti ed obbedienti prendemmo le borse e tutti mesti uscimmo. C’erano dei ritardatari che ci hanno incontarto per le scale, che ben felici si sono uniti a noi in questa inaspettata vacanza.
Non m’arcordo quanti giorni rimanemmo sospesi, ma m’arcordo che ci furono riunioni di genitori con gli altri professori e non sapevano sul da farsi e come far riconoscere la nostra innocenza. Ero come dire che il preside era vecchio e rimbambito e che sentiva strani rumori in testa. M’arcordo solo che un giorno tornammo a scuola.
Sembrava che l’incidente fosse dimenticato ed il prof. Franceschini venne a farci le sue lezioni di storia greco-romana. Le rendeva interssanti, addirittura divertenti, e spesso andavano un po’ a rota libera. Cominciava magari a parlare delle Guerre Puniche e finiva nel darci una lezione sui vini francesi o sulla differenza fra la musica di Verdi e quella di Wagner. La storia mi piaceva ma ci fece imparare a memoria tutti gli imperatori romani e questo fu divertente.
Mrs. Monti era la nostra professoressa d’inglese ed avrei sentito la sua indimenticabile risata per i prossimi sei anni ed in veritá, come dice suo nipote Bernardo, la sento ancora oggi.
Jan Czubacki era suo marito ed era uno di quei polacchi ch’erano armasti al Borgo alla fine della guerra. Lei indossava sempre un gran cappottone e per giustificarsi ci disse ch’era freddolosa di non farci caso. Lo portava fino a giugno, fino all’ultimo giorno di scuola. Aveva sempre una particolare attenzione nei confronti delle poche ragazze che avevamo in classe. Spesso dava loro consigli per difendersi da noi, ragazzi marpioni.
Forse quel cappottone era eccessivo ma certo d’inverno le classi eran fredde. C’era una gran stufa a legna, una di quelle di terracotta rossa, alta a veri ripiani. Se si era vicini si moriva dal caldo, al contrario se eri lontano morivi di freddo. C’era il vantaggio che poteva arrostire le castegne.
Come ho giá detto conoscevo bene quasi tutti i miei compagni con cui avevo fatto le medie. Nel caso di Paolo l’amicizia addirittura risaliva ai tempi dell’asilo. Poi c’era Bruno che abitava vicino in una gran casa con tante stanze ed una soffitta piena di tesori. C’era anche un altro Paolo ed era sempre a casa mia, ma poi quando all’improvviso la sua famiglia si trasferì ad Arezzo mi sentii triste, lui era il confidente. Qualche volta studiavo, si fa per dire, con Mario. Proprio lui aveva costruito un marchingegno che permetteva d’aprire la porta di casa con il semplice girare del pomo sulla parta e per questo l’ammiravo moltissimo. L’avrei voluto fare anch’io, ma non potevo, noi stavamo ancora in affitto.
C’erano studenti dei paesi vicini, ma con loro non si studiava o giocava, loro alla fine delle lezioni prendevano la corriera e tornavano a casa. M’arcordo uno di San Giustino, mi sembra, che aveva un cognome slavo e che un giorno venne a scuola col cavallo e lo legò ad un’inferiata con la briglia. Fu un episodio memorabile, epico.
Quel primo inverno di liceo nevicò moltissimo, ed avemmo anche la buona fortuna che la scuola fu chiusa per veri giorni. Ci fu una gran nevicata anche il 16 marzo. Non preoccupatevi troppo sulle capacitá della mia memoria, é una data facile d’arcordare, era il mio compleanno.
I primo grande evento di quell’anno di certo non furono gli studi, ma fu piuttosto la Festa del Liceo, la mia prima. Quel sabato pomeriggio del gennaio del 1956, alle Stanze feci la meravigliosa scoperta che, come ho narrato in un altro M’Arcordo…,
https://biturgus.wordpress.com/13-m%e2%80%99-arcordo%e2%80%a6-quando-s%e2%80%99-andava-a-ballare/
con con la scusa di ballare, si poteva stringere ‘na citta fra le mie braccia. E per me quella sensazione fu una graditissima e piacevole scoperta.. Quel giorno fu sopratutto importante perché mi innamorai. Mi innamorai perdutamente proprio con la prima ragazza a cui chiesi di ballare e che, con mia sorpresa, accettò il mio invito. Fu un amore dapprima gestito da lontano, in silenzio, poi pian piano ci siamo avvicinati e dopo solo due anni riuscii a baciarla.
L’altro evento di quell’anno fu la gita scolastica, mi sembra che andammo a Viareggio e Pisa, e nel pomeriggio ci fermammo a Firenze. Fu ritornando al Borgo tardi nella notte che sentii quelli grandi, quelli sopra i 18 anni, che raccontavano le loro bravate, loro erano andati a trovore la zia e le sue nipotine in Via dell’Amorino. La legge Merlin doveva ancora essere approvata.
Non seguii il consiglio del prof. Franceschini e rimasi a scuola, ma non studiai molto ed anche se mi mandarono a ripetizione, fui rimandato in latino, inglese e matematica. A settembre feci gli esami di riparazione e miracolosamente andai in seconda.
L’anno passò lento, ed io non andavo troppo bene, ero specializzato nel fare il minimo indispensabile ed il mio odio verso il latino continuò a crescere.
In compenso avevo scoperto che mi piacevano le lezioni di scienze ed il prof. Bistarelli con i gran baffi e con il suo accento ‘n po’ casteleno m’era simpatico. Una volta lo feci arrabbiare perché quando ci fece vedere lo scheletrino del pipistrello gli chiesi se fosse maschio o femmina. Rimase incerto e volle sapere il perché della mia domanda. E come fosse la cosa piú normale gli dissi che ero curioso di vedere l’ossicino del pene del pipistrello. Fui sorpreso della sua arrabbiatura, la mia era un’onesta curiositá scientifica, in fondo ce l’aveva detto lui che i maschi hanno un ossicino proprio li e che permette loro di copulare in volo.
In casa dicevano che ero svogliato e tutte le prediche che mi sorbivo non davano gran risultati. Fui rimandato in latino, era certo sembrava un miglioramento rispetto all’anno prima.
Intanto continuavo ad essere innamorato, da lontano, ma proprio durante l’estate (1957) ci fu un avvicinamento. Si cambiò casa ed andai ad abitare vicinissimo a lei, e questo ero il meglio che mi poteva succedere.
Quell’estate studiai poco e male, non riuscivo a concentrarmi sul IV libro dell’Eneide. Sin dall’ora Enea e Didone mi son rimasti antipatici, ma tanto. Poi ripensandoci non era colpa loro, il problema era solo il latino. Infatti quell’anno leggemmo i “Promessi Sposi” e mi piacque.
A settembre andai all’esame di riparazione, scritto ed orale e fu un disastro, ricordo ancora la bocca asciutta senza saliva, non riuscivo a parlare anche perché non avevo risposte.
E fui bocciato.
Sarei diventato un ripetente, che umiliazione, che vergogna.
Era come se mi avessero marcato a fuoco una gran “B” sulla fronte, “BOCCIATO”.
Come ho giá detto ci ho messo 50 anni per ammettere questa sconfitta, del tutto meritata.
16 aprile, 2010, Marblehead, MA USA
I vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese. Mi raccomando, scrivete!
Fausto Braganti
Facebook: Fausto Braganti
Skype: Biturgus (de rado)
Rispondi