083 M’Arcordo…quando cominciai a fare l’autostop

  

il cancello di villa Camerata 

 

Un giorno della tarda primavera del 1963 varcai questo cancello e di certo non pensai che le consequenze di questa decisione sarebbero state cosi determinanti.  

 Sin dall’inizio di questa avventura di scrivano, fatta di nostalgici ricordi, di rimpianti spesso accompagnati da tanta malinconia, ho pensato di scrivere un M’Arcordo…di quando ‘ncominciai a fare l’autostop. Scrissi delle note ma poi trovavo sempre una buona scusa per rimandare e scrivere qualcos’altro.

 É un M’Arcordo…impegnativo, diciamo difficile, pieno non solo di fatti ed emozioni ma sopra tutto della riscoperta di me stesso. C’è troppo da dire. Col tempo gli eventi acquistono un valore che non avevamo pronosticato. Diciamo che tutto quello che mi spinse a prendere la strada con lo zaino in spalla e con il pollice alzato implorando un passaggio era da tempo maturato entro di me, ma ancora non lo sapevo, avevo solo bisogno di fare il primo passo. E questo non fu semplice.  

Il tempo ci fa cambiare la prospettiva, gli eventi assumano differente valore . Poi verrá la dimenticanza e l’oblio. In fondo come Wiston Smith, il triste protagonista di 1984, continuamo a riscrivere la storia, la nostra storia, cerchiami in qualche modo di dare un significato alla nostra vita. Un significato che abbia un senso, una ragione e non solo di quello che abbiamo fatto, ma anche di quello che non abbiamo fatto, delle occasione perdute.  

Nell’estate del 1963, quando facevo ancora farmacia, rimasi a Firenze un po’ più del solito per dare un esame, che era stato postposto.  Decisi di disdire la camera della Sig.ra Brusa, l’affittacamere di Borgo Pinti, per andare per alcuni giorni all’ostello della gioventù a Villa Camerata. Avevo sentito dire che era bello, che costava poco e che le ragazze straniere ci arrivavano a frotte. Fu proprio questa la decisione che, nell’analisi delle cause e degli effetti,  segnò l’inizio d’una nuova vita. Fu il primo passo, la prima tappa d’un viaggio differente che mi ha poi portato lontano, molto lontano. Certo non pensai a tutto questo quando presi l’autobus #17, quello che da Piazza San Marco porta al Salviatino. Dovevo iscrivermi all’Associazione Internazionale Ostelli della Gioventú.  

Non fu semplice passare quel cancello. Un anziano guardiano in divisa, un imponente signore baffuto che sembrava un carabiniere in pensione, mi sbarrò la strada in modo burbero. Volle che gli mostrassi un documento, voleva sapere da dove venivo. Scoprìi poi che l’ingresso non era  permesso ai ragazzi fiorentini. Pare che in passato c’erano stati problemi a causa dei troppi giovani arrappati che andavano all’ostello col solo obbiettivo d’arcattare le straniere. Vide ch’ero della provincia d’Arezzo e mi lasciò passare, borbottando. Son sicuro che sapevo ch’ero arrapato come gli altri, ma io avevo un vantaggio: non ero fiorentino e non mi poteva fermare.  

Dopo il cancello c’era da fare una bella camminata in mezzo al verde lungo un viale alberato. E quella fu la prima volta che vidi la villa settecentesca, bella, imponente con un gran colonnato sul davanti, perfettamente locata a mezzacollina, sotto Fiesole. E tutto quello per 250 lire a notte. Mi piacque. 

Andai al Borgo alla fine di giugno per studiare e quando ritornai a Firenze, il giorno prima dell’esame, andai all’ostello e ci rimasi tre giorni, mi pare. Fu allora che scoprii che c’era tutto un altro mondo. Tanti giovani, ragazzi e ragazze che venivano da tutte le parti, che viaggiavano alla scoperta del mondo, o almeno un pezzettino. Ed io ero uno dei pochi italiani e venivo da Sansepolcro. A sera trovai un gran gruppo di gente, tutti erano amichevoli, tutti parlavano e c’era uno che suonava la ghitarra. Per la prima volta sentii canzoni della Guerra di Spagna, quelle repubblicane. Che strano, pensai, sembrava che in molti le conescessero. Subito imparai “Los Quatro Generales…”. Quando qualcuno intonò l’Internazionale in molti lo seguirono e proprio nello spirito della canzone fu cantato in molte lingue allo stesso tempo. Per la prima volta lo sentii cantare dal vivo.  

il portico di villa Camerata 

La sera era bellissima e m’ero dimenticato che dovevo dare un esame il giorno dopo.  

Fu allora che incontrai Ruth, una ragazza inglese londinese che viaggiava con un’amica. Avevano una Mini Morris e sarebbero andate a prendere il sole lungo la costa dell’Jugoslavia. Ed io sarei andato a Rivazzurra vicino a Rimini? Noi s’andava ogni anno a Rivazzurra.  

Ruth era bella, mi piaceva, aveva capelli neri, lunghi ed era piú alta di me, e non ci vuole molto per esser piú alto di me. Mi feci coraggio e dopo aver parlato un po’ la invitai ad andare al caffé, giù nella piazzetta davanti al cancello della villa. Fu uno di quei momenti magici quando capii che la timidizza era un lusso che non mi potevo permettere. Ruth sorrise e mi disse di si ed io fui sorpreso. Funziona, basta chiedere. Scendendo lungo il viale alberato e scuro le presi la mano, e quando la strinsi lei strinse la mia. Si prese un caffe e si fece la camminata al contrario. Come ho detto il viale era lungo, ci fermammo e la baciai, e lei mi baciò. Ma l’ostello aveva le sue regole, c’era il coprifuoco: alle 22:45 tutti in camerata, ed alle 23:00 spengevano la luce. Facemmo appena in tempo a rientrare e ci separammo: i ragazzi al piano terra e le ragazze al primo piano. C’era una becera, brutta e vecchia, forse la moglie del guardiano, in piedi sul primo scalino e faceva passare solo le donne. 

Quella mia prima notte all’ostello non mi fu facile dormire, i miei pensieri pieni di desideri e d’emozioni mi tenevano sveglio: volevo Ruth, volevo ancora sentire le sue labbra… 

La mattina dopo andai a dare l’esame, l’ultimo esame di farmacia che diedi, e presi 30. Ero in vacanza! Sarei potuto ritornare subito a casa, ma non lo feci, avevo una buona ragione per rimanera all’ostello: sperava di rivedere Ruth, anche se temevo che fosse giá partita per la costa dalmata. Venne la sera, quando i giovanni cominciano a ritornare all’ostello ed un gran gruppo di cantanti si formò. Fu allora che mi trovai seduto accanto ad un’americana di San Francisco di nome Sue. Aveva traversato gli US facendo l’autostop, con una nave cargo era arrivata a Le Havre. Dopo aver vagato per l’Europa, sarebbe andata ad Alexandria in Egitto, voleva traversare l’Africa: il suo obbiettivo finale era Cape Town. Ancora oggi mi domando se ce la fece, non lo sapròmai L’ascoltavo con ammirazione ma io continuavo a guardarmi intorno, speravo che comparisse Ruth.

Alla fine vidi la sua amica, che mi disse che era giá salita in camera. Lei andò a cercarla per me. Ruth scese e mi venne incontro sorridendo. La presi per mano e l’invitai ad andare al nostro piccolo caffe. Ci incaminammo per il lungo viale scuro, quella sera non prendemmo il caffé.  

Al mattino la rividi prima che partisse con l’amica, mi diede il suo indirizzo. Non avevo più voglia di rimanere all’ostello, era ora d’artornare al Borgo. 

E fu proprio durante quel viaggio da Firenze ad Arezzo, ero in piedi e dalla porta posteriore dell’ultimo vagone, vedevo i binare scorrere via , che cominciai a pensare a Sue, l’americana che voleva traversare l’Africa, mentre io sarei andato a Rivazzurra! Mi sentivo imbarazzato con me stesso. 

Fin a quel momento avevo un po’ viaggiato ma non molto. ‘l mi’ babbo mi aveva anche procurato dei passaggi con dei camion che portavano pasta Buitoni in varie cittá, ma questa è un’altra storia. Ora sapevo che quello non mi bastava, volevo fare qualche cosa di nuovo di differente, volevo andare per conto mio, solo con una vaga idea di quella che sarebbe stata la destinazione finale. Avevo bisogno di vagare, di scoprire. 

Cosa avrei detto ai miei?

 Giá sapevo che l’ostacolo piú grande sarebbe stato mia madre.

 “Vai a fare l’autostop? Ma sei immattito?” prevedevo quello che la mi’ mamma mi avrebbe detto. Poi quando arrivò il momento lei aggiunse con disperazione: “Vai al giro come uno zingaro!”

Per fortuna c’era ‘l mi’ babbo che mi aiutò a superare l’opposizione materna, ma ci fu una condizione: questa era la prima volta e dovevo promettere che sarei rimasto in Italia.

Cominciarono i preparativi, dovevo decidere dove andare. Non avevo neanche uno zaino. Danilo il sarto mi prestò il suo. Ero lo stesso con cui aveva traversato mezz’Italia a piedi dopo l’8 settembre per tornare al Borgo. Mi insegnò anche come allacciare la coperta sullo zaino, mi mancavano solo le fascie!

 Decisi d’andare a Trieste, dopo Venezia, anche perchè speravo di rivederere Ruth, che ritornando dall’Jugoslavia sarebbe passata da quelle parti.

 Non m’arcordo che commenti fecero i miei amici, ma mio padre, alcuni anni dopo, mi disse che la mamma d’uno di questi, dopo aver appreso le mie intenzioni, aveva fermato mio padre per strada e l’aveva implorato di dissuadermi dal fare l’autostop, non solo era pericoloso, ma sarei stato un cattivo esempio per gli altri ragazzi del Borgo: mettevo in testa strane idee! Oggi dopo quasi 50 anni, penso che forse in fondo in fondo ‘l babbo, che era stato vittima d’una mamma autoritaria, mi invidiava per quello che stavo per fare. 

E venne il giorno della partenza o meglio la sera. Mia madre sembrava che avesse un figlio che partiva per la guerra, forse era lo zaino di Danilo. ‘l mi’ babbo, mi aveva procurato un primo passaggio con un camion del Poggini. Non era proprio fare l’autostop, ma certo mi accorciava la via.

 Il babbo mi accompagnò fino al piazzale davanti alla Buitoni, cominciava a far buio, e da li partii: destinazione Padova…

  Fausto Braganti

  07 settembre 2010, Marblehead, MA USA              

  ftbraganti@verizon.net

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