086a M’Arcordo… della Feste delle Matricole e della Goliardia.
‘sto m’arcordo… lo ‘ncomincio da la fine.
Una sera di settembre del 1969, in un ristorante dalle parti di Settignano, non lontano da Firenze, fui eletto Gran Maestro del Sacro e Privato Ordine del Cilindro. Per l’occasione indossavo il frack, cravatta a fiocco bianca, camicia con sul davanti lo sparato rigido come un baccà con due bottoni a gemello naturalmente, ed impeccabile solino a becchi inamidato. Di certo fu un grand’onore e solo un anno prima sarebbe stata una mia mal celata aspirazione.
Il mia reggenza non durò molto, rimasi in carica cinque minuti. Infatti due anarchici infiltratisi fra di noi d’improvviso si levarono e mentre uno scaricò il suo revolver su di me l’altro mi pugnalò mortalmente ed io caddi a terra finto morto.
Con l’annunciato e simbolico decesso dell’ultimo Gran Maestro, cadeva anche l’Ordine, ma questo moriva per davvero.
Io, che da tempo avevo dato tutti gli esami e mi restava solo da discutere la tesi ed ero stato via a Londra per un anno, ritornato a Firenze ero ufficialmente ancora uno studente fuori corso. Fu allora che scoprii che molto era cambiato, il vento del ’68 stava spazzando via anche la Golardia. Con quella messa in scena volevamo annunciare al mondo che l’Ordine l’avremmo seppelito noi stessi prima che lo facesso gli altri. Diciamolo pure: fu un suicidio ben programmato.
Poi qualcuno cambiò idea e ci fu una resurrezione miracolosa che con alterne vicende a portato alcuni ordini fino ad oggi. Mi domando se al Cesare Arfieri c’é ancora l’Ordine del Cilindro.
Ci sono quelli che si fregiano di medaglie e di titoli ufficiali, importanti e conosciuti, che conferiscono ammirazione, rispetto ed invidia. Io di quelli non ne ho nessuno. Un paio di volte sono stato messo in lista per esser nominato Cavaliere della Repubblica Italiana, ma poi non é successo nulla. A dir la veritá m’avrebbe fatto piacere, dopo tutto anche Berlusconi é cavaliere, ma non é che poi abbia avuto notti insonni per la mancata nomina.
Però anch’io ho raccolto le mie medaglie (patacche) e decorazioni e ci tengo. Alcune si son perse duranti i vari traslochi e poi non siamo in molti a ricordarsi cosa siano, ma sembrano quasi ‘na cosa seria.
Ho anche delle medeglie, ma son solo dorate, ricordo delle le mie epiche e gloriose vittorie nelle gare di fumatori di pipa. Roba seria!
Poi ci sono i miei titoli goliardici, altisonanti e d’antica tradizione, anche questi sembran roba seria.
Grande Ufficiale del Sacro e Privato Ordine del Cilindro.
Cavaliere del Sovrano e Commendevolissimo Ordine di San Salvi
Cavaliere dell’Ordine della Vacca Stupefatta
Infine avevo acquisito altri titoli onorifici in giro per l’Italia durante varie feste delle matricole. Una sera, proprio davanti al palazzo del Bò a Padova e dopo gran bevute, il Tribuno dei goliardi patavini mi nominò cavaliere, ma non m’acordo il nome dell’ordine. Mica m’arcordo tutto! Qualcosa di simile successe anche a Trieste.
Ora basta di parlare di titoli e decorazioni, é meglio mettere gli eventi in ordine. Di nuovo mi butto in un altro progetto d’archeologia della memoria. Come un ricercatore spolvero via strati di m’arcordo… e riscopro persone e fatti sepolti e nascosti da decenni di nuove memorie.
Moh ‘artorno da capo.
Per la prima volta vidi uno studente con in testa il goliardo, ovvero la feluca con la lunga punta sul davanti, quand’ero piccino. Era davanti al domo del Borgo e uno studente universitario vendeva il “Giornalino”, ovvero una satira sui Borghesi che veniva pubblicato a Natale, a quelli che sortivano dalla messa de mezzogiorno, la messa delle belle, come la chiamava la mi’ mamma. Il babbo mi disse che dovevo studiare e un giorno sarei andato all’universitá, e anch’io l’avrei potuto mettere.
La prima Festa delle Matricole la vidi ‘n fotografia. Paolo Mariucci, che era giá all’universitá quand’io ero ancora al liceo, andò a Bologna per l’occasione col suo Vespone GS e documentò l’evento. M’Arcordo… una foto d’uno studente elegante con lo smoking che andava in giro con un vaso da notte e si leccava le dita marroni, tutte imbrattate del contenuto: cioccolato. L’idea che per un giorno era tutto permesso, anche l’irriverente ed l’anarchico, mi piacque. Non vedevo l’ora d’andarci anch’io.
Franco ed io arrivammo a Farmacia (ottobre 1961) pieni di timori, eravamo delle povere matricole di provincia, timide e sprovvedutte, e saremmo stati le vittime degli abusi e soprusi dei vecchi. Ci avevano detto che il primo anno dovevamo evitare la mensa, quella di Sant’Apollonia in via San Gallo, il piú possibile. In un angolo del cortile c’era la sede del Sovrano e Commendevolissimo Ordine di San Salvi, l’ordine goliardico più vecchio ed importante, che aveva autoritá su tutti gli altri. Si vantava d’aver preso il suo nome dal manicomio di Firenze, era tutto un programma: se non son matti non li vogliamo. Inoltre noi matricole dovevamo ottenere il papiro, ovvero una specie di lascia-passare, che dimostrava ch’eravamo stati approvati ed accettati dai vecchi fuori-corso, ma questo non veniva gratis: dovevamo pagarlo in sigarette, stecche di sigarette. A Farmacia di goliardia ce n’era ben poca, c’eran piú donne che uomini e non c’era nessun ordine goliardico. Ottenni un pezzo di carta, non un vero papiro da uno detto Nikita, ma mai nessuno mi chiese di mostrarlo. Gli diedi una stecca di Nazionali inutilmente, e pensare ch’ebbe anche il coraggio di lamentarsi, avrebbe voluto sigarette americane!
Ci avevano dato un ulteriore consiglio: avere sempre le mutande pulite. C’era sempre il rischio di finire legati in una cordata e portati a spasso senza calzoni per le strade del centro di Firenze.
A proposito di cordate un giorno mentre mi trovavo sotto i portici in Piazza della Repubblica vidi da lontano un gruppo che si avvicinava cantando canzoni oscene e blasfeme: era una cordata di matricole di medicina tirata per una fune dai vecchi. Mi nascosi dietro una colonna, avevo paura d’esser riconosciuto ed esser legato al gruppo dei malcapitati. Riconobbi un mio vecchio compagno del liceo del Borgo, Enzo Bruscantini che s’era iscritto a medicina. Anche lui era in mutande e cantava a squarciagola e sembrava che dopo tutto si stava divertendo, forse non era poi tanto male finire in una cordata.
Come ho detto a Farmacia di goliardia ce n’era ben poca, e cosi si arrivò fino a primavera senza grandi eventi. Un giorno comparve un manifesto dell’Ordine di San Salvi che annunciava la gran Festa delle Matricole del 1962. Finalmente avrei potuto sfoggiare il mio nuovo cappello goliardico rosso, come quello di medicina, che avevo comprato da Leva in via Martelli. Ci avevo cucito, come dettava la tradizione un po’ di medaglie, una giarrettiera di donna ed altre cianfrusaglie, che mi illudevo fossero buffe.
Quel sabato mattina, il primo giorno della festa, era una bellissima e calda giornata di primavera, sortimmo tutti in gruppo. In questa maniera noi povere matricole di Farmacia, insicure di quello che poteva succedere, ci incoraggiavamo a vicenda. E non successe proprio nulla, sembrava che noi fossimo invisibili ai vecchi goliardi. Sembrava che loro sapessero cosa fare per divertirsi, loro cantavano, facevano le serenate alle ragazze, si sostituivano ai vigii che dirigevano il traffico, loro facevano la questua raccogliendo sodi, e noi si stava a guardare.
Uno dei miei compagni di corso aveva una Bianchina cabriolet e diede un passaggio ad un gran numero di noi e scorrazzammo per ore per tutto il centro di Firenze. Ripensandoci fu un miracolo che non si spaccò in due, saremmo stati almeno una diecina.
Il repertorio delle canzoni sembrava inesauribile, ma quante “osterie” c’erano? Si cominciava dall’ “osteria numero uno, parapunzi punzi pá” quella che “al casin non c’è nessuno, …. “ e poi ne saltava fuori un’altra, d’osterie ce n’erano proprio tante. Fu allora che scoprii che mi piaceva cantare e mi diedi da fare per imparane il più possibile. Feci anche una gran scoperta: io che a scuola avevo sofferto tanto per imparare le poesie a memoria sentivo un canto galiardico una volta e non lo dimenticavo piú. Col tempo il mio repertorio si arricchì, ma di questo e di Leonardo Carloni che suonava la ghitarra ne parlerò poi. Le ragazze non cantavano, ma ascoltavano attentamente e sorridevano pretendendo di non capire e d’esser timide. Quello era il giorno ch’era permesso d’usare tutte le parolaccie oscene immaginabili.
Il giorno dopo, la domenica, Franco ed io ci incontrammo davanti a Santa Maria Novella con i liceali del Borgo e con loro andammo in gita fino a Nizza, e per tre giorni tenemmo sempre in testa il cappello goliardico, non volavamo esser presi per dei liceali. La Sig.ra Monti sembrava soddisfatta di noi e sorrideva approvando.
Passata l’estate e ritornato all’universitá per il secondo anno ero ufficialmente diventato un “fagiolo” che era un pochino meglio d’esser matricola. Quell’anno di goliardia non se ne parlò proprio per niente. Infatti e non m’arcordo la ragione, ma la Festa delle Matricole non fu fatta. Alcuni amici andarano a quella di Bologna, ma io rimasi a casa.
Come ho giá arcontato invece d’iscrivermi al terzo anno di Farmacia, cambiai facoltá ed andai al Cesare Alfieri, Scienze Politiche, e le cose cambiarono… cambiarono di molto.
15 ottobre, 2010, Marblehead, MA USA
Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
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febbraio 2, 2011 alle 12:47 PM |
Per puro caso ho letto “m’arcordo” e sono tornato ai tempi biturgenzi e successivamente al periodo universitario. E mi ricordo perfettamente quella cordata che partì da Arcetri (da Fisica), in bus fino all’Arno e poi a piedi fino a San Marco, passando da Repubblica: devo dire che mi sono divertito e che forse nel mio intimo desideravo che mi chiappassero. Sono stato poi ad altre feste delle matricole, ma col mio gruppo degli studenti di medicina e non mi posso ricordare di averti mai incontrato in quelle occasioni. Purtroppo io nel ’61 mi trasferii a Firenze e lasciando Sansepolcro ho veramente lasciato il mio passato. Mi ricordo vagamente di te e degli altri che rammenti e ciò mi ha molto rattristato. Bisognerebbe nascere, vivere e morire nello stesso luogo, perchè ogni volta che vai via lasci una parte dii te stesso. Chissà se fra noi ci potrà mai essere in futuro una chiacchierata di persona. Ti ringrazio comunque di avermi ridato una parte del mio passato e ti saluto.
E. Bruscantini