097 M’Arcordo…via dei Filosfi 8 e il campo di tabacco.

Mi domando, chi vive oggi in al numero 8 di via dei Filosofi a Sansepolcro? Non son sicuro se ancora esista? E di certo da più di trent’anni nessuno ci coltiva piùil tabacco.

Il primo agosto del 1957 si cambiò casa, ci trasferimmo da via della Firenzuola 49, la casa del Melandri, in un palazzone di 16 appartamenti dall’indirizzo via dei Filosofi 8.

E quello fu un grande evento. Per la prima volta la famiglia Braganti (per esser precisi era il babbo Renato) diventava proprietaria di quattro mura. Si diceva che il nonno fosse stato l’unico fattore nella storia che non solo non aveva comprato un podere ma non s’era fatto neanche la casa. Io non sapevo se fosse vero, ma so che lui scrollava le spalle e non diceva niente.

Ma un giorno e non m’arcordo quando, forse agl’inizi degli anni sessanta, cambiammo indirizzo, ma non cambiammo casa. Scoprimmo ch’eravamo andati ad abitare al numero 5 di piazza Beccari, ma senza traslocare. Ma chi era questo signore sconosciuto? Alcuni pensarono che ci fosse stato un errore, forse volevono onorare Beccaria, ma no, era proprio Beccari. Scoprii poi che Jacopo Beccari era stato un quasi dimenticato professore che aveva insegnato all’Università di Bologna all’inizio del settecento e ch’era riuscito a separare il glutine dalla farina. Appresi questa storia solo perchè il babbo aveva portato a casa un librone su di lui, che era stata pubblicato con la sponserazione daLa Buitoni. Non divenne mai un best-seller, ma per La Buitoni era importante: era proprio questa sua scoperta che era stata una delle ragioni della fortuna dell’azienda: aveva permesso di creare la famosa pasta glutinata Buitoni che fu per tant’anni un prodotto di gran successo.

Tutti i bambini la dovevano mangiare per crescere belli, forti ed intelligenti. E guai alle mamme e ai babbi che non la compravano per i loro piccoli, magari facendo anche sacrifici perch’era cara. Ci sarebbe stato il rischio che i loro figli gracilini non sarebbero cresciuti bene, e sarebbero stati indifesi agli attacchi di tante malattie. Adesso credo che sia passata di moda. Ma la fanno ancora?

In ogni modo questo cambiamento toponomastico non mi piacque, preferivo il vecchio nome, mi piaceva dare il mio indirizzo e dire via dei Filosofi, in qualche modo m’illudevo d’abitare in un posto speciale. E per anni continuai a dare quell’indirizzo incorretto, tanto il postino mi trovava lo stesso, e questa era solo vanità.

Nel dopoguerra c’era stato bisogno di case ed una delle buone iniziative governative di quei tempi fu quella d’offrire a delle cooperative di lavoratori la possibilatà d’ottenere dei prestiti ad un tasso d’interesse molto basso per la costruzione di nuove abitazioni. Era un mutuo di trentacinque anni,.

Anche gli operai e gli impiegati delLa Buitoni formarono una cooperativa, il ministero approvò il mutuo, e la famiglia Buitoni offrì gratis il terreno fabbricativo: dei campi vicino ai poderi di Paternostro e del Tordino, sotto la villa di Catolino, ai piedi delle colline a nord del Borgo. E verso il 1951 cominciarono i lavori per le prime tre case con quattro appartamenti ciascuna. Penso che dodici famiglie ebbero le chiavi nel ’52,  poi venne costruirono un palazzo con nove appartamenti, penso che l’occuparono nel 1954 ed in infine il nostro, il più grande con sedici appartamenti. Alla fine era avanzato un gran campo proprio davanti alla mia abitazione e non poteva rimanere inutilizzato e fu dato al Martini (il Tordino) che per anni ci lo coltivò a tabacco, credo fino verso il 1980.

1978-09 il Martini (‘l Tordino) nel campo di tabacco

Prima che iniziassero le costruzioni era stato stabilito l’ordine di precedenza con un sorteggio. Una sera il babbo andò in comune, nella sala della Resurrezione, con tutti gli altri membri della cooperativa e la sorte fu affidata ai numeri della tombola, quelli dentro la bacheca di vetro che si girava con la manovella, il tutto sotto lo sguardo severo del Cristo Risorgente. Il babbo non fu uno dei primi, e neanche fra i secondi e dovemmo aspettare ben 7 anni per entrare nel nostro appartamento.

La rata del mutuo mensile non era alta e col tempo, ed anche con l’aiuto dell’implacabile svalutazione della lira divenne un costo quasi trascurabile. Fu per tutti un bell’investimento. Dopo la morte del babbo (1966) e quello della mamma (1987) son diventato l’unico proprietario ed ho pagato l’ultima rata nel 1991 e mi sembra fosse circa 70.000 lire per 6 mesi.

Ritorniamo al quel primo agosto del 1957, io ero contentissimo, sarei andato ad abitare vicino alla citta a cui volevo bene, e la potevo vedere dalla finestra di cucina quando passava, ma questa storia me sa che ve l’ho già arcontata.

temporale, dalla finestra di cucina

Ero  contento perchè col nuovo appartamento venne anche la televisione ed il frigorifero. Il babbo ne aveva sempre rimandato l’acquisto aspettando che fossimo nel nuovo posto.

Traslocare in estate è meglio, col tempo buono fu tutto più facile. Ma ci furono anche delle perdite che a quel tempo, purtroppo, non capii e non potei evitare.  Il vecchio appartamento era grande e avevevamo dei mobili antichi e non sarebbe stato facile sistemarli nel nuovo posto. M’arcordo in particolare una specie di canterano massiccio probabilmente del sei-settecento di legno scuro, con due ante borchiate che si aprivano dando accesso a tanti cassetti. Si diceva che fosse stato un mobile da sacrestia, ma poi com’era arrivato da noi non lo so. Il babbo cercò di venderlo ad un antiquario, che gli fece un’offerta offensiva ed il babbo s’arrabbiò:

“Piuttosto che vendertelo a quel prezzo lo regalo!” E così fece.

Lui che in chiesa c’andava poco, ma era stato sempre pronto ad aiutare le orfanelle, lo donò alle monache dell’orfanotrofio e così quel mobile ritornò in una sacrestia, ma non credo che ci restò tanto. Anni dopo scoprii ch’era sparito, forse avevano trovato un antiquario più generoso. Non voglio pensare troppo al valore ch’avrebbe oggi sul mercato, se no mi sento male. E non parliamo della specchiera veneziana dall’elaborata cornice dorata, anche quella che si perse nel trasloco. La bicicletta del nonno (1910 circa) la vendetti come ferraccio al Baco, e coi i soldi ci andai una volta al cine all’Aurora, chè costava meno.

In compenso col trasloco acquisii nuovi grandi spazi. Le colline divennero in qualche maniera più accessibili ed i ragazzi, i miei nuovi vicini, mi portarono subito ad esplorare. M’arcordo ancora la prima avventura:

“Andiamo ai Tre Pini.” Così avevano ribattezzato una specie di punto d’avvistamento dove, guarda caso, c’eran proprio tre pini.

Lo spazio delle nostre escurzioni era vasto, dai Pratalti fino a Monte Casale e tante volte siam risaliti per il greppo della Reglia per poi continuare lungo l’Afra fino ad arrivare alla Montagna.  Più d’una volta siamo arrivati fino a Bocca Trabaria ed una volta a Badia Tedalda.

gruppo, circa 1960

Con crescere crebbero anche i primi amori ed in estate s’andava a ballare all’OZO, quello che poi divenne La Balestra. Via dei Filosofi, che correva lungo il muro delLa Buitoni, (quello che si vede nella foto del tabacco)  era poco illuminata, anzi direi proprio buia e questo era un gran vantaggio per quando s’artornava a casa. Impiegavamo tanto tempo per far solo cento metri.

A quei tempi avevo trovato, ma non m’arcordo dove,  un giradischi a valigetta, di prima della guerra, uno di quelli con la manovella e si potevan suonare solo dischi a 78 giri. Una sera lo portai fuori: avremmo ballato nello spiazzo. Non fu una bell’idea. Ci furono quelli, i soliti grandi sciupafeste,  che non la pensavano come noi. In molti vennero alla finestra e cominciarono a sgridarci. E quella fu la prima e l’ultima volta che si ballò in piazza Beccari.

Nell’autunno del ’61 andai all’università a Firenze ed i primi tempi artornavo al Borgo ogni sabato con la borsa piena dei panni sporchi, per poi ripartire il lunedi mattina con quelli puliti.  Cogli anni le mie visite si facero sempre più rade. In estate cominciai a viaggiare e di consequenza al Borgo ci stavo sempre di meno. Ma il tutto fu un processo lento, senza traumi.

A settembre del ’68 partii per Londra, e per poi andare negli Sati Uniti nel ‘70.

Anche se m’ero allontanato sempre di più dall’appartamento, sapevo che là c’era mia madre, lei ne era la custode, sapevo che al mio prossimo ritorno l’avrei trovato intatto, immutato, avrei riconosciuto anche gli antichi odori. E lei m’avrebbe cucinato i miei piatti preferiti. Nella mia camera, nei cassetti della mia scrivania era tutto allo stesso posto. Tutto era come l’avevo lasciato al tempo della mia visita precedente e se l’ultima sera prima di ripartire avevo poggiato un libro sul comodino ero certo che l’avrei ritrovato nello stesso posto. Uno studioso avrebbe potuto ricostruire la sitazione politica della primavera del ’68 solamente spulcianto fra le carte accatastate sulla mia scrivania. La mamma si preoccupava solo di spolverare, che tutto fosse pulito e che i pavimenti fossero lucidi. Qualche volta lei andava in giro con le pianelle, ma non era mai riuscita a convincermi a fare il lucidapavimenti.

La mamma morì nell’ottobre del 1987, ventun’anni dopo il babbo, e non mi ci volle molto a capire che tutto era cambiato. Con la sua morte avevo perso quell’ancora che, se anche aveva una catena lunghissima, mi teneva attraccato alla casa.

1961-11 Renato Braganti e Luisa Taba (il babbo e la mamma)

M’arcordo del mio primo ritorno, il giorno dopo Natale del 1987, dopo la sua scomparsa. Questa volta non suonai il campanello, non venne ad aprirmi la porta e non la trovai  in cima alle scale sorridente nel vedermi. Aprii la porta con la chiave, ed il corridoio era scuro: la casa era vuota, gli odori d’una volta non c’erano più. E mi son messo a piangere, a singhiozzare come non ricordavo d’aver mai fatto, neanche quando l’avevo vista morta.

Si… le poltrone, i mobili, i quadri appesi ai muri, i libri negli scaffali, come  tutto il resto, erano al loro posto, ma ciononostante non era più quello di prima. La mamma non c’era, quell’appartamento avevo perso l’anima. Quelle erano diventate solo quattro mura: era una nuova e difficile realtà, e ci ho messo anni, tanti anni per accettarla. Ed io, che da lontano volevo illudermi che ancora avevo una casa al Borgo, ho tristemente capito che senza la mamma non avevo più niente, avevo perso quello che contava. Ero solo il padrone dei muri.

Grazie al generoso aiuto d’un amico, Elio Mezzabotta, che durante le mie lunghe assenze ha preso cura di tutto, un vero amministratore puntuale, son stato capace di mantenere il tutto anche da lantano. L’appartamento, con alterne vicende, è stato dato in affitto. E quando per un certo periodo ci andò ad abitare il mio caro amico Paolo Massi la situazione cambiò per il meglio, il tutto riprese vita, almeno per po’.

Quando artornavo al Borgo stavo con lui a casa mia, quasi fossimo tornati a Firenze, ai tempi dell’università. Ma c’era una differenza: ogni mattina veniva la Maria, come ai tempi di Villa Paradiso, puliva tutto e preparava il pranzo, che formalmente ci serviva in sala da pranzo. Ma poi, d’improvviso, Paolo morì, a metà marzo del 2002, ero stato con lui solo tre settimane prima.

Di nuovo, come dopo la morte di mia madre, tristemente l’appartamento perse nuovamente l’anima.

E son passati ancora degli anni e con l’eccezione di alcuni giorni alla fine di maggio del 2008 non ci ho più dormito. Era quasi sempre occupato.

Al ritorno negli Stati Uniti, dopo il mio ultimo viaggio quando sono stato due settimane nella torre d’Uguccione, ho passato alcuni giorni a New York con mia figlia Tanya. E proprio là una mattina mi son svegliato e d’improvviso era tutto chiaro: devo vendere l’appartamento al Borgo.

Devo accettare l’idea che son via da troppo tempo e che io al Borgo non c’artornerò mai più ad abitare. Questa è una realtà. Conto di andarci in visita più spesso possibile e per questo non ho bisogno d’un appartamento. Tanya non andrà mai ad abitare al Borgo ed alla mia morte si troverebbe persa fra i meandri della burocrazia italiana.

E proprio a New York assieme abbiam deciso di vendere ed ora non ci rimane altro che sperare che possiamo trovare un acquirente in un prossimo futuro.

La voce è in giro.

Ed io? Come mi sento?

Ancora un po’ confuso, anche se credo che sia il giusto da fare.

Come un amico mi hai detto:

“Tu non hai bisogno d’una casa per stare al Borgo, tu sei più Borghese di tanti altri che ci hanno passato tutta la vita. I tuoi parenti, i tuoi amici, incluso me, son pronti ad aprirti le loro case, ogni volta che verrai”

E forse per incoraggiarmi in questo difficile momento ha aggiunto:

“Fai bane, hai preso la decisione giusta, e Tanya te ne sarà grata”.

 

Ora il mio ultimo pensiero va a Beppe Caporali, vecchio amico del mi’ babbo, Borghese del Borgo che, dopo l’Afganistan, visse quasi tutta la sua vita a Milano. Proprio durante la sua ultima venuta (estate 1989, credo, quando ebbi modo di rivederlo) e proprio l’ultimo giorno prima di ripartire per il nord, ebbe la buon’idea di morire al Borgo e d’esser seppellito così con i suoi amici, come voleva lui. Ma Beppe Caporali non è stato il solo. Anche il mitico Cirano Testerini, cantante a Parigi ed amico di Yves Montand e di Edith Piaf, che poi abitava a Juan les Pins fra Cannes e Cap d’Antibes, alla fine decise d’artornare al Borgo e ci armase.

E se questo succedesse anche a me? Penso che sarebbe una buona dipartita, l’importante è non soffrire. Mia figlia, mia moglie e con l’aiuto dei Fratelli:. saprebbero cosa fare.

Ed alla fine potrei dire soddisfatto:

“Oh citti, Ecchime! Ve l’ivo detto che prima o poi sarei artorneto.”

 19 maggio, 2011, Marblehead, MA USA                                                                                        

 ftbraganti@verizon.net

Facebook: Fausto Braganti

Skype:       Biturgus (de rado) 

Una Risposta to “097 M’Arcordo…via dei Filosfi 8 e il campo di tabacco.”

  1. luciana Says:

    Bello mi e’ piaciuto, mi hai fatto tenerezza I tuoi ricordi cosi’ vivi del Borgo ti fanno rivivere la tua giovinezza. Ma ormai hai staccato e dubito che vorresti ritornarci.

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