09 M’ arcordo….’l mi’ nonno, le pipe e i toscani

M’ arcordo….’l mi’ nonno, le pipe e i toscani

Quest’ arcordo ’ncomincia da la fine. 
 

 Il mio nonno Barbino morì la notte del 30 marzo 1960, ed forse aveva 86 anni. Sulla sua etá non eravamo sicuri e non lo era neanche lui. Dalla carta d’ identitá risultava nato l’ 7 dicembre 1874, ma lui affermava che non era vero; era nato prima, molti mesi prima, forse addirittura un anno prima. Quando molto tempo dopo andai a fare un po’ di ricerche al comune di Monte Santa Maria (parte della Toscana fino al 1927), scoprii nel gran libro dell’ anagrafe, ancora scitto a mano, che suo padre Angelo (detto Barbone; il soprannome Barbino era derivato da questo) di Mattio, residente nella frazione del Gioiello, popolo di Trevine, dichiarava davanti a testimoni che gli era nato un figlio maschio “dalla di lui unione illegittima con Celeste Giuseppa Pettinari colona con lui convivente” e gli dava il nome di Luigi Pietro. Il nonno non aveva mai detto nulla di questa storia. Eventualmente fu legittimizzato assieme ad altri 4 figli con l’ atto di matrimonio civile contratto ad Anghiari il 1 maggio 1887. Ho una foto (circa 1910) della bisnonna Celeste, la peccaminosa, appesa alla parete nel soggiorno di casa mia!

Il nonno mi sentì rientrare dal cine, ero stato al Dante. Per una strana coincidenza della memoria ricordo anche il film: “Estate Violenta”. Ma come potrei dimenticarlo? Assieme nello schermo c’ erano Eleonora Rossi Drago e Jacqueline Sassard, oggetti dei miei piú intimi desideri notturni, ma tutto questo non c’ entra niente con la mia storia. Il nonno mi chiamò. Andai nella sua camera e mi chiese di accendergli un sigaro. Da mesi la sua salute si era lentamente deteriorata, senza una vera malattia, si stava spegnendo lentamente, ma continuava a fumare sigari e pipa. Gli era permesso di fumare a letto, a condizione che qualcuno fosse presente. Non volevamo che gli succedesso come al Besi, quello che aveva la salumeria accanto a Bigiarino per la Via Maestra ed un grottesco nasone paonazzo e bitorzoluto. Pochi anni prima questi aveva preso a foco a letto a causa della pipa che gli era caduta addormantandosi. Per caso mi trovavo davanti a casa sua quando i pompieri lo portarono fuori. Ancora oggi, dopo piú di cinquant’ anni, lo ricordo sulla barella, la testa sollevata, gli occhi stralunati, pieni di terrore e la pelle orribilmente ustionata. Si seppe poi che mori poco dopo. Negli ultimi tempi il nonno non ce la faceva ad accendere il sigaro, troppo duro da succhiare, non aveva abbastanza fiato per tirare, così toccava a me seguire il preciso rituale d’ accendeglielo. Prendevo il mezzo sigaro e stringendolo lo palpeggiavo con i pollici per tutta la sua lunghezza per allentarlo, come si diceva. Accendevo il primo fulminante, uno di quelli puzzolentissimi allo zolfo, e bruciavo la parte grassa del sigaro che si infiammava come uno stecco, senza tirare. Col secondo fulminante cominciavo a tirare e quando aveva preso ben bene lo passavo al nonno. Anche quella sera ripei il rituale, ma dopo solo un paio di tirate me lo ridiede indietro dicendomi: “’s’ è spento! ‘n tira!” “buona notte nonno!” e andai a letto. Dopo poche ore mio padre entrò nella mia camera piangendo, annunciandomi che il nonno era morto, si era spento come il suo ultimo toscano. Quella era stata l’ ultima sua fumata ed una delle mie prime.

In ereditá ebbi la sua camera, molto piú grande della mia. Prima di occuparla fu ridipinta per togliere l’ odore dalle pareti impregnate da anni di fumo. Inoltre trovai un cassettino del canterano pieno di sigari toscani ed alcune pipe. Mi opposi subito all’ idea di mio padre di regalare i sigari. Le pipe purtroppo furono buttate, eccetto una. A poco a poco me li fumai tutti, poi cominciai a fumare quasi esclusivamente la pipa. Fumavo i sigari in segreto, in quei tempi non era molto alla moda per uno studente del liceo di fumare i toscani: questi erano solo per i vecchi e i contadini.

Il nonno Barbino, sensale e fattore, in gioventú gran campione nel gioco delle rulle (forme di formaggio, o da un kili o da tre kili), fu un grandissimo fumatore di sigari toscani e di treccia (3 foglie di tabacco Kentucky), accanito nemico delle sigarette. Alla domanda

“Nonno, ma quando hai ‘ncominciato a fumare?” rispondeva “’N me n’ arcordo quando ho ‘ ncomiceto, ma ha 8 anni giá fumevo!” Mio padre aggiungeva che s’ era fumato tutto il tabacco di Gricignano.

Sin da quando ero piccino il nonno spesso mi chiedeva di andargli a comprare i sigari. Mi aveva dato una lezione sul come scegliere un buon toscano. “Nero e duro” mi diceva, ed imparai subito ad accontentarlo. Secondo lui l’ appalto del Canosci a Porta Romana aveva i sigari migliori. Il vecchio Canosci era un signore corpulento dai grandissimi baffoni, come quelli di re Umberto. Era gentile ma mi intimidiva. Un sigaro costava 40 lire; non ho mai visto nessuno che lo fumasse per intero. Questo veniva tagliato a metá e diventava due mezzi toscani. Il Canosci aveva una taglierina sul banco. Si poteva comprare anche un pacchetto di mezzi toscani, mi sembra ce ne fossero cinque, ma mio nonno diceva che erano di inferiore qualitá. Quando il mezzo sigaro era ridotto ad un cicca così corta che la susseguente tirata avrebbe bruciato le labbra, veniva spento e messo in una scatoletta di latta delle Pastiglie del Re Sole. Quando ne aveva abbastanza mio nonno tagliava le cicche a fettine e le fumava con la pipa: elisir di catrame! Inoltre si potevano comprare le spuntature dei toscani, da fumare con la pipa. Lungo la nostra valle da tanto tempo si è coltivato il tabacco Kentucky, quello usato per fare sigari toscani . Una volta un dirigente del Magazzino dei Tabacchi mi disse che i primi semini furono portati nel 5cento da un vescovo, che veniva dalla Spagna. Le grandi foglie verdi son pronte per la raccolta verso settembre. Durante l’ estate compariva un operaio del Magazzino, mi sembra portasse uno spolverino blu che, camminando lungo i filari, pazientemente contava le foglie delle piante, che gli arrivavano quasi al petto. Ma sará meglio raccontare la storia del tabacco ‘ n’ altra volta. Anche se c’ era quello che contava la foglie, i contadini riuscivano sempre a farne sparire abbastanza per fumarsele loro. Facevano la treccia. Si prendevano tre grandi foglie, dopo il tradizionale metodo dell’ affumicatura si inumidivano, spesso anche col vino. Facevano poi una treccia stretta stretta che veniva lasciata per alcune settimane a maturare. Alla fine sembrava una specie di canapo duro, anche questo veniva tagliato a fettine e fumato con le pipa, era micidiale. Alcuni lo trinciavano ed arrotolato nelle cartine diventava sigarette. Mio nonno aveva sempre in tasca un coltello, uno di quelli senza punta da innesto, usato sopratutto per affettare cicche di sigari e treccia di Kuntacky.

Mio nonno fumava sempre. Appena si alzava al mattino presto, molto presto, ancora in camicia da notte, si metteva il cappello ed accendeva la pipa o un sigaro. Le pipe erano “Non Canta la Raganella” oppure pipette di coccio coi bocchini di marasca, diceva che erano meglio di quelli di canna.

Fu dopo la morte del nonno che cominciai a collezionare ed anche a fumare le pipe di coccio. Queste venivano nelle più svariate forme. Ma giá all’ inizio degli anni sessanta era molto difficile trovarne. Cominciai a girare per tutti gli appalti del circondario per vedere se ancora ne avevano. Fu un gran colpo di fortuna quando alla Motina scoprii che ne avavno una scatole delle scarpe piena alla modica cifra di 10 lire, 15 col bocchino! Ancora oggi credo di averne almeno un centinaio. Dopo 40 anni fumo spesso ancora con quella testa calda di Garibaldi.

  

E per celebrere la fine di ‘sta parte, ve saluto e me ne vedo ‘n terrazza a famme ‘na fumeta, proprio con quella de coccio de Garibaldi dela Motina.
 

 

Marblehead, 11 maggio 2008

I vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese.

Come sempre mi raccomando, scrivete!

Fausto Braganti

ftbraganti@verizon.net

 

 

Una Risposta to “09 M’ arcordo….’l mi’ nonno, le pipe e i toscani”

  1. Alessandra Says:

    Buonasera sig. Fausto, anzi da Lei buongiorno! Come ha detto alla cena “veglia che s’arbei” e’ vero che il Borgo non lo fanno i muri ma i Borghesi….e Lei ne e’ la conferma. Leggo i suoi M’Arcordo e N’c’e’ …gnente da fere…n’na gricciatina ci scappa…
    Non l’ho mai conosciuta…ma quando artorna al Borgo faccia du berci cosi se sa! A quelli che come me son nati un po d’anni dopo, gni farebbe parecchio bene sentire arcontare ste cose…che sanno de VITA.
    Un saluto da n’altra borghese
    Alessandra

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