125 C’era una volta l’Albergo Roma…

febbraio 19, 2022

A Sansepolcro c’era una volta l’Albergo Roma che faceva concorrenza al Fiorentino. Quando Aldous Huxley si fermò a Sansepolcro (1922) per ammirare “The Best Picture” fece dei commenti negativi a proposito dell’albergo dove alloggiò, forse si era dimenticato il nome, cosi non sapremo mai quale fosse.  

Penso che questa sia una cartolina del 1930, circa. Lungo Via XX Settembre, che tutti ancora chiamano Via Maestra o Corso, si vede sulla destra il Caffe Appennino, che gloriosamente ha resistito fino ai tempi nostri. Oltre il portone del palazzo Alberti, quello con la testa del granduca, c’è la drogheria Mariucci, che poi credo fossero anche i gestori del Caffe Appennino.  Subito dopo l’edificio dell’Albergo Roma, caratterizzato da porte e finestre ad arco tondo romano. Forse avevano scelto il nome Roma da contrapporlo al Fiorentino, Roma era prestigiosa ed anche capitale. C’era un ristorante al primo piano, le tre finestre, ed un cliente abituale per pranzo era il sor Gherardo Buitoni. Questo me lo raccontò Gastone Trefoloni, sua nonna materna gestiva l’albergo e ristorante. Mi domando, ma cosa mangiava il sor Gherardo per pranzo? Forse preferiva le tagliatelle fatte in casa al 72..

Il mi’ babbo mi raccontava di una epica cena (1927 circa) durata una nottata per dare un saluto d’addio a un gruppo di Borghesi che aveva deciso di emigrare in Argentina. Al mattino accompagnarono i partenti alla stazione per prendere il primo treno, alcuni erano completamente ubriachi.

Quando la notizia che la Torre di Berta sarebbe saltata in aria si sparse fra i Borghesi, i miei decisero subito di allontanarsi e andarono a chiedere ospitalità a Dante Trefoloni. Mi è stato raccontato che eravamo nella cantina dell’albergo Roma quando si senti la gran deflagrazione. Fu una ottima decisione, infatti ritornati a casa trovarono il tetto della cucina sfondato e una pietra sul tavolo.  

Penso che l’albergo chiuse subito dopo la fine della guerra.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 

Fausto Braganti

19 febbraio 2022,

Marblehead, USA

ftbraganti@verizon.net

Il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro.

Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.

123 C’era una volta il Largo Garibaldi.

febbraio 13, 2022

Si può ricostruire la storia dai nomi che vengono dati a strade e a piazze e come questi mutano col tempo a seconda dal vento (politico) che tira. Ogni amministrazione al potere in un piccolo paese o in una grande città si sente in dovere di commemorare i propri “eroi”, quelli da indicare come esempio e immortalarli nel tempo. Sappiamo che Garibaldi dopo l’Unità era stato un eroe scomodo alle autorità monarchiche e solo dopo la sua morte (1882) ci fu un gran proliferare di vie, viali, piazze, porte, stazioni ecc… a lui dedicate.

Ho sempre sentito dire che Anghiari fu una delle pochissime eccezioni, infatti gli dedicarono una piazza quando era ancora in vita, e dato che la Società Operaia non aveva troppi soldi posero solo un busto di gesso sopra una colonna, il monumento attuale venne dopo, ma quella è un’altra storia.   

Da sempre ho sentito dire che lo spazio davanti al Duomo di Sansepolcro un tempo si chiamasse Largo del Duomo e quando ho visto questa fotografia sono rimasto un po’ sorpreso infatti non sapevo che un tempo fosse diventato Largo Garibaldi. Forse fu dato questo nome, di certo dopo il 1882, morte del Generale, allo stesso tempo che fu battezzata Piazza Garibaldi quella fra il lato nord del Palazzo delle Laudi e la Questura.

Non so quando il Largo Garibaldi divenne Via Roma, ho trovato in casa lettere degli anni trenta indirizzate ai miei nonni e portano scritto nella busta Via Roma 1; loro abitavano nel Palazzo delle Laudi (oggi sede del comune) che a quel tempo era residenza privata. Quando un paio d’anni fa ho richiesto copia del mio certificato di nascita viene indicato che son nato in Via Roma 1.

Immagino che nel 1945, di certo subito la fine della guerra, la nuova amministrazione volle onorare la memoria di Giacomo Matteotti dedicandogli una strada importante, e non una in periferia, cosi Via Roma sparì.

Leggiamo un po’ questa foto, direi del primo novecento. Sulla sinistra si legge il nome del Caffè Piero della Francesca, con differenti nomi ci son stati vari caffè. Sulla destra il Duomo con la facciata non ancora restaurata con il gran finestrone barocco che verrà poi sostituito dall’attuale rosone. Attraverso l’Arco della Pesa si intravede chiaramente l’apertura stretta di Porta del Castello.

Spesso in questo tipo di foto d’epoca si vedono delle persone che si mettono in posa, vogliono esser immortalate. Quando il fotografo compariva per strada con la sua monumentale macchina fotografica dal gran soffietto nero, un treppiede, sempre con un assistente che lo aiutava, le lastre di vetro erano pesanti, delicate e costose. Scattare una foto era una piccola impresa e non si potevano fare errori. Ma chi saranno stati tutti quelli che si son messi i fila? Alla loro sinistra mi pare di intravedere la ruota d’un arrotino.

Vi prego fate i vostri commenti per ampliare la lettura di questa foto.     

Per finire: da tempo e da lontano peroro diverse cause che riguardano il Borgo. La storia ci insegna che non solo si possono dar nomi alle vie ma che si possono anche cambiare, è l’ora di togliere Palmiro Togliatti dalla toponomastica di Sansepolcro e sostituirlo con Via della Pieve Vecchia.

Fausto Braganti

13 febbraio 2022,

Marblehead, USA

Il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro.

Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.

159 Non M’Arcordo.. della Repubblica Romana.

febbraio 9, 2022

Amo leggere libri di Storia. Quando lessi “Garibaldi and the Defense of the Roman Republic”, il primo volume della trilogia dedicata al Generale, scoprii tutto un periodo palpitante di vita e di passioni, di eroi e di briganti. La Storia, che non va confusa con la memoria, la lascio agli storici, quelli veri. Io mi accontento di raccontare storie, faccio del mio meglio per non narrare fandonie. C’era una vecchia frase del mi’ babbo: “io ve la dico come me l’han detta e se m’han detto ‘na bugia io ve dico ‘na bugia”.

Son convinto nell’affermare che la storia, il conseguirsi di eventi di tutti giorni, grandi e piccini, la facciamo noi; siamo noi, tutti noi, ognuno offre il suo contributo, siamo tutti attori, e non comparse. Quando si studia la Storia, i cosiddetti grandi eventi con i grandi personaggi, ci sentiamo messi da parte, possiamo solo timidamente guardare e magari cercare di capire il perché; questa volta siamo gli spettatori e magari, qualcuno come me, vorrebbero esser stato testimone che cerca di sapere, di capire quello che veramente successe quel fatidico giorno lontano.   

Provo, per quanto mi sia possibile, di non giudicare l’operato di chi ci ha preceduto, questo non mi previene di avere le mie idee, opinioni e con queste vengono i miei pregiudizi. L’errore più comune in cui cadiamo è quello giudicare l’operato di gente che ha vissuto in altri tempi, in un contesto storico diverso del nostro che appena conosciamo; e la gran differenza è che noi sappiamo come poi è andata a finire. Questo ci permette d’avere una conoscenza storica, una percezione differente e cerchiamo spesso nella Storia di trovare le prove che quello in cui noi crediamo sia giusto. Alla fine è facile trovare le risposte di quello che volevamo comprovare sin dall’inizio, ovvero affermare:

“Avevo ragione io!”

Siamo tutti colpevoli d’un peccato di presunzione, vogliamo tutti aver ragione.

Alla fine ho fatto tutto questo prologo per poi porvi solo una domanda:

“C’è un evento storico di cui vorresti esser stato testimone?” Io ne ho due. Il primo, la presa della Bastille, ma come semplice testimone che guarda il tutto da lontano, ma sente le grida della gente. Il secondo è la Proclamazione della Repubblica Romana del 1849, di cui oggi 9 febbraio è l’anniversario. Questo caso e differente, infatti avrei voluto poi essere attivo partecipe degli eventi che seguirono, anche se so come andò a finire!

E proprio questo mio specifico interesse è stata l’ispirazione, la ragione del mio scrivere il romanzo “L’Adele e Thaddeus”. Descrivendo le avventure e le passioni dei miei eroi, giovani, belli e coraggiosi, ho cercato di rivivere uno storico evento, utilizzando tutto quello che sapevo in proposito ho avuto l’illusione d’esserci. Vivevo un M’arcordo… di qualche cosa che non è mai esistito, ecco il potere dell’immaginazione.

Allora oggi è l’anniversario della Proclamazione della Repubblica, quella con una Costituzione con articoli all’avanguardia per quei tempi, come il diritto di voto a tutti i cittadini. anche le donne potranno votare, passeranno 97 anni prima che lo potessero fare. Si, avrei voluto essere presente al giubilo generale della ritrovata libertà e con l’ottimismo, l’entusiasmo sostenere la difesa della Repubblica fino alla fine e con Thaddeus seguire la legione garibaldina nella sua spedizione verso la Toscana, verso Venezia. Futile esercizio d’immaginazione, io so come andò a finire, male, nelle paludi di Comacchio.

Ma a Sansepolcro come arrivò la notizia di quello che era successo?

“A Roma hanno proclamato la Repubblica!”

Questo fu l’appello, la chiamata alle armi. Dopo il ’48, anno burrascoso per dir poco, i Borghesi repubblicani decisero subito di partire, forse si riunivano nella farmacia di Antonio Gigli.  E a piedi raggiunsero Roma, forse qualcuno si era procurato un cavallo e poi ritornarono a Sansepolcro per essere arrestati dalle autorità granducale, essere stato un soldato della Repubblica Romana era un reato.

Questa è la lista degli accusati e delle loro condanne. Le più severe sono quelle da scontare nella fortezza di Piombino, quella con le celle che si allagano con la marea, due volte al giorno. Il 64enne farmacista Antonio Gigli si prese 18 mesi. Sopravvisse?

Nella lista manca Giuseppe Barni, lei era morto a Roma, forse combattendo a Porta San Pancrazio.

La lapide commemorativa che ricorda il passaggio di Garibaldi il 27 luglio 1849 sulla facciata della casa cantoniera lungo la strada di Bocca Trabaria, sopra San Giustino in Umbria, ci ricorda che “i reduci volontari di Sansepolcro quarant’anni dopo questo ricordo posero”. Furono loro che pagarono per il marmo.

Un reverente ricordo a tutti quei volontari, ma non ci fu forse qualcuno che scrisse una memoria? Un M’Arcordo?

Fausto Braganti

9 febbraio 2022,

Marblehead, USA

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158 M’Arcordo… di Elio e della Magda Mezzabotta e della Buitoni, quella che ancora produceva la pastina glutinata.

gennaio 23, 2022

Ma da ‘ndo ‘ncomincio?

Elio non era del Borgo. Un giorno, penso verso la fine degli anni ’50, quando da tempo era iniziato un periodo di espansione delle Buitoni, arrivò a Sansepolcro un baldo giovane con la valigia in mano, era pieno di entusiasmo, pronto a lavorare. Veniva da Fermo ed anche se avrebbe poi vissuto al Borgo per il resto della sua vita, per più di sessant’anni, ancora si sentiva nel suo parlare un leggero accento marchigiano.

Quelli furono gli anni della rapida crescita della Buitoni. Come prometteva il gran cartellone pubblicitario a quelli che arrivavano a Sansepolcro: “da qui … in tutto il mondo”; ma per Elio fu differente, quello per lui fu un punto d’arrivo e ci restò. Mi domando, ma a chi venne in mente quello slogan? Favoloso. A differenza di oggi il glutine allora non era nocivo, anzi, faceva bene, aiutava i bambini a crescere belli, forti e soprattutto intelligenti.    

Elio faceva parte d’un gruppo di giovani tecnici che arrivarono per sostenere questo sforzo che portò al successo, infatti ne ricordo un altro, Riccardo Calamandrei, mi pare che venisse da Bologna. Loro avrebbero sostituito e continuato il lavoro di quelli che si avvicinavano alla pensione e fra questi mio padre, naturalmente lui non era contento, vedeva che il suo tramonto si avvicinava.

Volendo usare una drammatica espressione possiamo dire che anche Elio fu parte degli “eroi che fecero l’impresa”.

Erano loro quelli, che con l’aiuto di centinaia di operai/e facevano la pasta, e sapevano come farla buona. Poi c’erano gli altri che la pubblicizzavano, che la vendevano, che tenevano i conti e che la trasportavano e che assicuravano che la massaia napoletana, o valdostana o veneziana avesse sempre nella sua dispensa una bella scorta di spaghetti, 72 naturalmente.

Pochi giorni fa mi è arrivata la triste notizia della morte di Elio, eran passati solo sei mesi dalla scomparsa della sua amata moglie, la Magda. Dopo il primo emozionale impatto di sapere che un carissimo amico se n’era andato, di sentire il vuoto della sua scomparsa, ho ricordato, mi son balenati in mente, eventi e persone che hanno lavorato con lui, e il primo naturalmente è stato mio padre. Elio, persona sempre molto rispettosa, quando parlava di lui lo chiamava sempre il “Sor Braganti”.  

In più d’una occasione mi ha detto:

“Tutto quello che ho imparato, che è importante sapere, me l’ha insegnato il sor Braganti.”

Come sapete abito negli Stati Uniti, ma ci sono stati altri Borghesi che mi hanno preceduto, siamo un popolo di girelloni, uno di questi fu Mario Giannini, il figlio di Sostegno, vecchio meccanico della Buitoni. Il figlio Mario era un vero ingegnere, avrebbe precisato con enfasi il mi’  babbo ed io sapevo a chi si riferiva.

“Mario ha studiato e si è laureato al Politecnico di Torino.”

Forse il babbo sperava che io seguissi le orme di Mario e studiassi da ingegnere,  ma non me lo ha mai detto.

Mario dopo alcuni anni di lavoro nello stabilimento di Sansepolcro a metà degli anni ’50 parti per gli Stati Uniti, nello stabilimento Buitoni di Hackensack, New Jersey avevano bisogno di lui. Dopo la Buitoni e varie peregrinazioni andò a lavorare nello stabilimento di Prince Spaghetti a Lowell, Massachusetts, non lontano da dove abito. Occasionalmente ci siamo poi incontrati e quello che mi sorprese molto fu il fatto che Mario con me parlava in Borghese stretto, mentre poi cambiava se si rivolgeva ad un altro italiano. In casa con la moglie e la suocera parlavano solo in Borghese in una maniera che non credo ci fosse più nessuno a Sansepolcro. Fui sorpreso.

Un giorno Mario mi telefonò e mi invitò a pranzo.

“… e ci sarà una sorpresa!”

E sorpresa ci fu. Non lontano dal pastificio Mr. Pellegrino, il proprietario, aveva voluto un ristorante italiano, il Grotto, una specie di trattoria con un portico e decorazioni che dovevano far credere al cliente d’essere lungo la Costa Amalfitana. Credetemi, non ci può essere nulla di più remoto dalla vecchia e decrepita città industriale di Lowell alla Costa Amalfitana. In un angolo c’era una specie di gazebo riservato ai dirigenti dello stablimento e ai clienti speciali, dove sapevo che avrei trovato Mario. Da Lontano vedevo che c’era qualcuno con lui, ma non potevo capire chi fosse, vedevo solo le spalle.

Si, ci fu una sorpresa, una bella sorpresa!

Riccardo Calamandrei si alzò e mi abbracciò calorosamente. Naturalmente si parlò di Sansepolcro dei vecchi tempi, della Buitoni e dei colleghi. Mario e Riccardo fecero gli elogi di mio padre, e mi sentii soddisfatto che usarono le stesse parole di Elio:

“Tutto quello che ho imparato, che è importante sapere nel fare la pasta, me l’ha insegnato il Braganti.”

M’arcordo… che uno dei due, ma non ricordo chi, menzionò Elio e che ogni volta che tornava al Borgo gli riportava delle bottigline mignon.

“Anch’io! Ma certe volte cerco di portargli delle lattine della birra, della Coca Cola, ecc.” fu la mia risposta.

Dopo questa divagazione ritorniamo ad Elio

Spesso si discute chi è veramente Borghese, un Borghese DOC.

“Ma sei nato entro le mura?”

Come se questo bastasse, come fossimo l’aristocrazia dell’Ancient Regime che si attaccava disperatamente ai propri privilegi. Usando questo criterio io sarei al pinnacolo della classificazione, infatti son nato in casa, anzi palazzo, in Via Roma 1, (oggi Via Matteotti) ovvero il Palazzo delle Laudi, il Comune, si so’ nato nell’ufficio del segretario comunale.

Ma poi io son partito e son passati quasi sessant’anni.

Elio fece il percorso al contrario, e lui al Borgo ci venne, divenne un Borghese a pieno diritto, senza mai dimenticare che veniva da Fermo. Si fidanzò e si sposò con la Magda, una bella citta del Borgo e questo consolidò ancora di più il legame col paese.  Fra le sue tante collezioni aveva tutto quello che era stato pubblicato a proposito di Sansepolcro, libri, brochure e manifesti; si teneva aggiornato e ne era fiero.

Diciamo che Elio era diventato un Borghese adottato e conosciuto da tutti, mentre io era passato ad essere un Borghese da lontano e son sempre meno quelli che si ricordano di me, è una questione d’età.  

Elio presto divenne conosciuto come un attento collezionista; Elio aveva sbagliato, invece di lavorare e controllare i cassoni del glutine (quando questo era ancora di moda e faceva bene) e se la temperatura dei forni della pasta era corretta e così via, avrebbe dovuto lavorare in un museo. Non ci vuole molto a immaginarlo classificare monete romane, mettere in ordine bacheche piene di lanterne e lacrimato etruschi.

Non andai al matrimonio di Elio e Magda, quella domenica di settembre del 1961 c’era il Palio della Balestra. I giovani sposi abitarono poi nell’appartamento sopra quello dei miei genitori. Iniziò così una relazione ancora più stretta.

Questa vicinanza mi diede modo di vedere il crescere delle sue collezioni. La prima, e credo che fosse la sua favorita, era quelle delle piccole bottigline di liquore, credo che si chiamino mignon. Aggiungeva sempre nuovi scaffali per sistemare le nuove acquisizione, ed anche io, nel mio piccolo, divenni un complice, contribuivo nella ricerca di pezzi nuovi e rari. Ogni volta che tornavo a visitare mia madre avevo sempre qualcosa per lui. Poi collezionava tazzine da caffe, le lattine della birra della Coca Cola di vari paesi e così via. Aveva gran libroni dove scriveva tutto e classificava tutti gli pezzi, era preciso, carattere d’archivista.  

Certe volte, se passavo davanti alla porta della cantina aperta entravo e ripetevo sempre la stessa battuta, scontata:

“E’ l’ora dell’aperitivo! Che mi offri?”

Lui sorrideva,

“Ma come è possibile, avrai pure dei doppioni non di gran valore, beviamoli.”

“Si, l’aperitivo te lo offro, saliamo su, all’appartamento, conosci il mio bar.”

Conclusione, non ho mai bevuto una delle sue mignon.

Anche io, come tanti bambini privilegiati d’un tempo, sono cresciuto forte(?) bello(?) e intelligente(?) mangiando la Pastina Glutinata Buitoni dall’alto valore nutritivo, nel mio caso non ha funzionato del tutto bene, son rimasto bassotto. Poi il glutine rapidamente è passato di moda, è diventato nocivo, è stato messo all’indice. Certo ci sono quelli, una minoranza, che sono allergici al glutine e mi dispiace per loro. Una volta chiesi ad Elio come veniva estratto il glutine. Per anni estrarre il glutine era stata una delle sue specifiche responsabilità, e controllarne le qualità e mi diede una dettagliata descrizione dei vari passaggi fin quando il prodotto finale riempiva dei vasconi di cemento, che ricordo d’aver visto da piccolo.    

Son passati gli anni e quando la salute di mia madre cominciò a deteriorare, sono stati proprio Elio e la Magda ad offrire il loro generoso aiuto. Io che stavo lontano, anche se negli ultimi tempi della sua malattia cercavo di tornare al Borgo una volta al mese, era soprattutto Elio che era presente ogni giorno per aiutarla, come fosse un figlio.

Era il 1987 e fu lui che mi telefonò, ero a Roma per lavoro, e mi disse:

“Vieni subito, c’è stata una crisi.”

E quella sera morì.

Dopo la morte di mia madre, l’appartamento fu affittato ed Elio divenne l’amministratore, puntuale, preciso. Era lui quello che combatteva con l’inquilina refrattaria. E si arrabbiava tanto per i pagamenti ritardati. Lui che abitava al piano superiore vedeva e soprattutto sentiva tutto.

Poi nel 2011 vendetti l’appartamento e Elio mi aiutò a svuotarlo e non fu una cosa semplice, non entro nei dettagli. In una forma. direi meno grave, anche io soffrivo e soffro ancora della sindrome del collezionista, non posso buttar via nulla. Ed Elio in quei giorni aggiungeva alle sue collezioni quello che io non potevo portar via.

Ogni volta che torno al Borgo ho una lista di amici da visitare, devo sapere le ultime notizie, essere aggiornato e i pettegolezzi? La lista diventa sempre più corta.

La Magda ha preceduto Elio lo scorso giugno e ora anche Elio se n’è andato.

Mi mancheranno molto quelle visite, quelle chiacchiere fatte intorno alla tavola della loro salotto, magari bevendo una tazzina di caffe, naturalmente non una tazzina qualunque, per me qualche pezzo raro della sua collezione. Come nella foto, non è da tutti avere la tazzina col Duca di Montefeltro.

E ora anche Elio se n’è andato,

Ciao Elio!

Foto di Tanya Braganti, 2007

Fausto Braganti

23 gennaio 2022,

Marblehead, USA

Il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro.

Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.

157 M’Arcordo… il 5 gennaio del 1966.

gennaio 5, 2022

C’era una volta una casa di contadini, aveva la forma d’un cubo con una torretta al centro del tetto, la colombaia. I tempi erano duri, specialmente in inverno e solo a sera c’era un momento di riposo; allora, quando faceva buio, la famiglia numerosa, grandi e piccini, si riuniva dopo la rustica cena intorno al camino della cucina, che sembrava l’antro dell’orco. Questo era cosi grande che c’entravano due panche l’una di fronte all’altra con la legna che bruciava al centro. Bastava la luce del fuoco per illuminare la cucina, in quei tempi lontani si doveva risparmiare l’olio della lampada. I più anziani si sistemavano nelle panche mentre gli altri intorno seduti in cerchio. C’erano quelli che fumavano in pipe di coccio, il tabacco non mancava. Si mangiavano castagne arrostite sulla brace usando una padella coi buchi dal manico lungo sulla brace bevendo vino pallido, acquarellato.

Una sera uno dei vecchi sentenziò:

“Ognuno di noi si sveglierà un mattino, e quello sarà l’ultimo giorno della sua vita.’

E tutti rimasero in silenzio, fino a quando si senti la fievole e sconsolata voce d’un bambino:

“Se lo sapevo ‘n nascevo.”     

E così arrivò anche la mattina del 5 gennaio del 1966. Il mi’ babbo (Renato Braganti) di certo si svegliò presto come d’abitudine; per molti anni era andato al lavoro alla Buitoni di Sansepolcro prestissimo, col primo turno delle cinque. Ora che era in pensione da quasi due anni si svegliava ancora presto; la gran differenza era che rimaneva a letto e tranquillo amava leggere La Nazione, che avevano lasciato fuori della porta. Era la vigilia della Epifania e nel pomeriggio sarebbero venute da Gubbio la zia Tecla e la cugina Silvana per celebrare la festa assieme. Io ero venuto da Firenze prima di Natale, sarei rimasto fino al prossimo lunedì.

Fu una giornata tranquilla. Non ricordo molto solo che per cena la mamma aveva preparato uno spezzatino d’agnello con le spinaci proprio per i miei gusti.

Il babbo ed io andammo nel soggiorno per guardare la televisione. Pochi minuti dopo il babbo cominciò a lamentarsi:

“Ho un dolore, ho un dolore forte qui sul petto!”

Respirava rapidamente, ansimava.

“Ho un attacco di cuore!”

Queste furono le sue ultime parole, e quando dopo 10 minuti arrivò il dottor Cavalli il babbo era già morto, nelle mie braccia.

Oggi voglio ricordare il babbo con una foto (politicamente incorretta?) del 1926, scattata al Giardino delle Rimembranze, si intravedono gli arbusti degli alberi piantati a giugno dell’anno prima per l’inaugurazione del monumento ai caduti. Il babbo non c’era, lui era in Cirenaica a combattere una guerra dimenticata.  Con lui , primo a sinistra, ci sono Beppe, Armando e Corradino. Forse celebrano il suo ritorno con una scorribanda, Corradino aveva l’automobile.

Marblehead  5 gennaio 2022

Fausto Braganti

ftbraganti@verizon.net

156 M’Arcordo… luglio 1970, un incontro segreto in Duomo, roba da spie internazionali o complotto carbonaro?

febbraio 19, 2021

“Fausto, ti devo parlare, è importante e soprattutto urgente.”

Ero rimasto sorpreso, meglio dire quasi esterrefatto, quando poco prima la mi’ mamma mi aveva chiamato annunciandomi.

“C’è Vasco al telefono.”

Ecco una telefonata inaspettata e per me di Vasco a Sansepolcro ce n’era uno solo; ma cosa voleva?

“Fausto, ti devo vedere, prima possibile, subito!”

Il fermo tono della sua voce non lasciava dubbi, quello era come un ordine.

“Allora, vengo, ma dove ci incontriamo? Nel suo ufficio?”

Quella era una caldissima mattina di luglio, afosa ed io in quei giorni non avevo molto da fare. Avevo tutto il tempo per preoccuparmi, incertezze sul prossimo futuro, parto o non parto? Da giorni, anzi da settimane, aspettavo una telefonata che non arrivava, ma non quella di Vasco, aspettavo quella del consolato americano di Genova.

Parto o non parto?

Facciamo un salto indietro. Pochi mesi prima, il 21 marzo 1970, mi ero sposato a Londra con Nancy Lichman, cittadina americana che come me lavorava a Londra come insegnante, io d’italiano e lei di francese. Diciamo che il nostro era stato un amore grammaticale, infatti lei era stata una mia studentessa. Lei da tempo voleva ritornare in America dopo un’assenza di 5 anni e mi aveva facilmente convinto a seguirla. Io avevo 29 anni ed ero pronto per una nuova grande avventura, forse era l’ora che decidessi cosa fare da grande. Avevo l’intenzione di iscrivermi ad una università americana per prendere un Ph.D. contando poi di intraprendere una carriera accademica, professore universitario di storia, almeno questo era quello a cui aspiravo.

Ai primi di maggio ero andato con Nancy al consolato americano di Londra; lei aveva iniziato la pratica di emigrazione del consorte, questo era un suo diritto. La documentazione richiesta era voluminosa, e inoltre dovevo dichiarare sotto giuramento che non ero mai stato comunista o anarchico, e se fossi stato donna si aggiungeva la dichiarazione di non essere mai stata una prostituta. Poi ci sarebbe stata anche una visita medica, sifilitici e tubercolosi non potevano chiedere di entrare negli Stati Uniti. Penso che oggi, considerando tutti i gruppi terroristi che ci sono in giro, la documentazione da presentare sia ancora più voluminosa e di certo più attentamente setacciata. 

Dovuto al fatto che a giugno saremmo tornati in Italia, a Sansepolcro, la mia pratica era passata da Londra al consolato di Firenze per poi essere spedita a quello di Genova dove da settimane raccoglieva polvere. Il nostro obbiettivo era quello di partire ai primi di agosto dandoci modo di organizzarci e per poter permettere a Nancy di cercare un lavoro come insegnante di francese in qualche liceo nella zona di Boston e per me iniziare la ricerca d’una università dove iscrivermi. Per me sarebbe stato un po’ più problematico trovare un vero lavoro I genitori di lei abitavano da quelle parti, il che ci dava un punto d’appoggio al momento dell’arrivo, avremmo almeno avuto un tetto.

Così eravamo arrivati alla metà di luglio e ancora non era successo nulla. Questi miei ultimi giorni a Sansepolcro nell’appartamento di mia madre diventavano sempre più tesi, da non sottovalutare i miei rapporti con lei che vedeva avvicinarsi il giorno della mia partenza; lei ancora sperava che io andassi a trovare il Sor Marco Buitoni chiedendogli un lavoro, sicura che lui me l’avrebbe trovato.

Nonostante tutto questa incertezza avevo già spedito negli USA un baule di beni personali.

Continuavo a domandarmi: parto o non parto?  Nella peggiori delle ipotesi Nancy sarebbe partita da sola e poi io l’avrei raggiunta quando la mia autorizzazione sarebbe arrivata.  

Avevo telefonato più volte al consolato americano di Genova, la risposta era sempre stata la stessa, dovevo aspettare, la pratica non era completa, mi avrebbero chiamato.

Non era completa, ma cosa mancava? Io avevo doverosamente consegnato i documenti richiesti e non avevano domandato altro.

Questa in breve la mia, la nostra, situazione in quei giorni afosi di meta’ luglio a Sansepolcro.

Ma poi, come ho già detto, arrivò l’inaspettata telefonata di Vasco.

Mi aveva detto:

“Non in ufficio, incontriamoci al caffe davanti al Duomo”

Quando arrivai lui stava traversando la strada e mi disse:

“No, non andiamo al caffe, troppa gente. Andiamo in Duomo, è più fresco e di certo a quest’ora non c’è nessuno.”

Lo seguii e ancora non avevo la più pallida idea su quale fosse la ragione di questa convocazione inaspettata.

Come previsto la cattedrale era deserta e un po’ più fresca.

Ci sedemmo sull’ultima panca sulla sinistra, la prima entrando. La scena era surreale, come fossimo due agenti segreti, due spie, come fossimo saltati fuori da un romanzo John Le Carré. Chissà quale segreti ci saremmo scambiati.

Non ci furono preamboli, Vasco fu diretto:

“Fausto, io devo fare un rapporto su di te, c’è chi lo aspetta, subito. Lo so, ti conosco, sei un bravo ragazzo, le nostre famiglie sono state vicine da sempre, ma tu sei, sei stato troppo amico dei comunisti.”

Ricordo esattamente queste parole.

“Io non sono comunista, e poi come è possibile non essere amici di comunisti in un paese come il nostra. Vasco, lei stesso lavora tutti i giorni circondato da tanti di loro.”

“Si, lo so, ma il problema vero, più grave, è che c’è chi la pensa differentemente, sei stato schedato, sei schedato marxista leninista.”

Enfatizzando queste due ultime parole voleva mettere in evidenza la gravità della mia situazione.

Sapevo già d’essere stato schedato e per intimorirmi per vie traverse me l’avevano fatto anche sapere, e anche questa era stata una delle ragioni che mi aveva spinto ad andarmene a Londra due anni prima. Poi mi piaceva dire che ero arrivato a Londra come Mazzini, rifugiato politico. Esageravo un po’!

Ma come faceva Vasco a sapere tutto questo?

A questo punto, seduto su quella panca dura del Duomo deserto, mi fu chiara la ragione di quell’incontro, ma rimanevo sorpreso, incuriosito, ancora mi continuavo a domandarmi ma cosa c’entrava lui con la mia domanda d’immigrazione negli Stati Uniti?

 

Per chiarire il tutto devo fare un altro salto indietro nel tempo, questa volta di quasi due anni. Nella vita dobbiamo fare sempre i conti con le cause e con gli effetti anche se in certi casi le nostre responsabilità sono condizionate dalle decisioni di altri.

Ma cosa era successo? Torniamo all’agosto del 1968.

Non c’è bisogno di ricordare che il ’68 fu un anno ricco d’eventi; uno di questi, alla fine di agosto, fu l’invasine della Cecoslovacchia da parte delle truppe sovietiche che volevano porre fine a tutto quello che stava succedendo a Praga, riforme democratiche che minacciavano di espandersi ad altri paesi del Patto di Varsavia.

Proprio in quei giorni si svolgeva ad Arezzo il Concorso Polifonico Guido Monaco, evento annuale con la partecipazione di gruppi corali che ogni anno venivano da tante parti del mondo. Quell’anno fra i vari gruppi invitati ce n’era uno cecoslovacco; i membri di questo si erano ritrovati lontano da casa durante quei giorni turbolenti senza sapere cosa stava succedendo, le notizie erano confuse, quelli erano tempi senza telefonini, ma l’immagini dei carrarmati sovietici nel centro di Praga non lasciavano dubbi sulla gravità della situazione.

A Sansepolcro ci furono quelli che presero un’iniziativa, quelli della Democrazia Cristiana invitarono la corale cecoslovacca a cena, in tal modo si voleva dimostrare il loro supporto nei confronto dei giovani del coro lontani da casa.

In quei giorni io abitavo a Firenze e da poco tempo ero ritornato da un lungo viaggio per l’Europa alla ricerca d’un amore perduto, un’altra storia. Facevo finta di lavorare sulla mia tesi di laurea ed ignoravo le conseguenze politiche di quello che stava succedendo a Praga con gli sviluppi che avevano spinto la Democrazia Cristiana di Sansepolcro ad organizzare una cena per i giovani della corale cecoslovacca, volevano dimostrare la loro solidarietà in un momento così difficile.

Arrivò quel fatidico sabato pomeriggio della fine dell’agosto 1968; mi ritrovai tutto solo a Firenze e nel tardo pomeriggio decisi di tornare a Sansepolcro. Senza passare da casa andai direttamente in piazza, per la Via Maestra, speravo di incontrare qualche amico. Si, c’era un mondo senza cellulari, le persone si dovevano cercare sperando di trovarle. Incontrai un conoscente che mi disse che degli amici avevano organizzato una cena alla Balestra, e così pensai di unirmi al gruppo.

Entrando notai da lontano che la gran sala era piena di gente, erano tanti, a prima vista non riconobbi nessuno. Ebbi appena il tempo di notare alcune belle ragazze bionde, la cena prometteva bene, quando un piccolo gruppo, venendo da dietro di me, entrò di corsa spingendomi come fossi uno di loro, lanciando volantini e berciando frasi che non capivo. Questi li conoscevo, erano di Sansepolcro. Ma non furono i soli ad irrompere, infatti un gruppo di poliziotti alcuni anche i borghese era irrotto nella sala venendo dal lato dell’hotel cercando di fermare i dimostranti e la distribuzione dei volantini. Pensai poi che i poliziotti erano già la’, in attesa, nascosti, loro sapevano quello che sarebbe successo. C’era di certo stata una spiata.

Un gran casino! Alcune sedie e tavoli furono ribaltati, solo spintoni, nessuna colluttazione… ed io lì nel mezzo, io che ancora non capivo cosa stesse succedendo.

Ma cosa c’era scritto in quei volantini sovversivi e incriminati?

Mi ritrovai spinto in un angolo assieme al gruppo dei dimostranti che avevano cercato di lanciare i volantini senza gran successo; quattro o cinque persone, oggi ne ricordo solo uno.

Perfetto, mi ero ritrovato nel luogo sbagliato nel momento più inopportuno!

Non ci furono arresti, ma notai che i poliziotti cercavano di prendere i nomi di tutti noi. Da lontano vedevo i commensali che penso non avevano capito nulla di cosa stava succedendo.

Ci lasciarono andare. Mi domando come andò a finire quella cena.

Alla fine ebbi modo di leggere il volantino sovversivo.

Era scritto in italiano, francese, inglese e tedesco, questo più o meno il senso del breve messaggio:

“Noi giovani comunisti di Sansepolcro condanniamo fortemente l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Vogliamo solo avvisarvi che questo invito a cena da parte della Democrazia Cristiana ha il solo obbiettivo di sfruttarvi come uno strumento della loro propaganda.”

Non ricordo se poi quella sera cenai.

Dopo un paio di giorni il fratello d’un amico mi fermò per la Via Maestra e senza preamboli mi disse:

“Bravo Fausto! Ah, allora c‘eri anche tu l’altra sera alla Balestra! Ti hanno schedato. Marxista-leninista, stai attento.”

Non ricordo cosa risposi, ma di certo fui turbato. Conoscevo i dimostranti, membri del PCI ma di certo nessuno era marxista-leninista.   

Due settimane dopo ero a Londra, e avevo un lavoro di insegnante di italiano… come Mazzini, si fa per dire.

 

Raccontato tutto questo ritorniamo ad un incontro segreto dei due seduti sull’ultima panca, come fossero due Carbonari, nel Duomo di Sansepolcro, a metà luglio 1970.

“Fausto, non ti preoccupare, so cosa devo fare, cosa dire, ma ni raccomando, non mi far fare brutta figura. In bocca al lupo.”

Fine della conversazione, niente caffe. Io tornai a casa, mentre Vasco si avviò verso il suo ufficio. Era circa mezzogiorno, quasi ora di mangiare.

 Il pranzo non era ancora finito quando ho sentito il telefono suonare.

“Qui il consolato americano di Genova. Fausto Bragant? Lei è convocato per dopodomani alle 8:00 per la visita medica e l’ultima intervista prima del rilascio del visto.”

Due settimane dopo, sabato 1 agosto 1970 atterravo all’aeroporto di JFK, New York, un’altra giornata caldissima, afosa da non respirare. Avevo il gran bustone giallo sigillato da consegnare all’ufficiale dell’immigrazione. Ero ufficialmente in America, ora dovevo cercar lavoro, avevo $200.00 in tasca.

Il resto non fu facile, anche se avevo Nancy ed il supporto iniziale della sua famiglia.

Son passati più di 50, era l’ora che raccontassi anche questo M’Arcordo… di certo uno dei più importanti della mia vita.

 

Dimenticavo, nel consolato di Genova feci un altro giuramento: mi sarei presentato entro sei mesi dal mio arrivo, al distretto militare più vicino, dovevo essere inserito nelle liste di leva. Ancora si combatteva in Viet-Nam.

  

 Fausto Braganti 

ftbraganti@verizon.net 

Marblehead, 21 febbraio 2021

  

Il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro.

 Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Cuj_L36JYeQ

 

 

155 M’Arcordo… la lettera del Franceschini

dicembre 16, 2020

155 M’Arcordo… la lettera del Franceschini. 

E’ passato esattamente un anno da quando ho scritto l’ultimo M’Arcordo … e il ritrovamento d’una lettera mi ha spinto a scrivere questo. Duranti i lavori di archeologia domestica è riemersa una busta con l’indirizzo scritto in bella calligrafia che ho immediatamente riconosciuto, quella era una lettera del Franceschini. Ne ricordavo il contenuto.

Diciamo che sono stato sempre un po’ grafomane e lo sono ancora, anche se in forma minore e usando differenti strumenti di comunicazione.

Una volta si scrivevano lettere e cartoline e io mi sfogavo, avevo bisogno di comunicare, ma soprattutto ero impaziente di ricevere. Ogni giorno aspettavo il postino, con ansia quando aspettavo una lettera da “lei”. Confesso, ci sono stati tempi in cui c’erano più d’una “lei”.

Credo di avere quasi tutte le lettere e cartoline che ho ricevuto, naturalmente non ho copia di quelle che ho scritto, eccetto quelle mandate a mia madre; queste sono ben organizzate attentamente legate in pacchetti con nastrini, amore di mamma.

I tempi son cambiati e anche tanto. I grandi scrittori di fantascienza ci hanno raccontato di tutto sul nostro futuro, già Leonardo aveva progettato una specie di elicottero.  Ci hanno descritto mondi immaginari con incredibili progressi e molti si sono realizzati. Nessuno, almeno per quanto ne sappia io, ha mai ipotizzato l’avvento dell’internet, ovvero l’abilità di comunicare con tanta velocità con tanti strumenti. Solo nell’ultimo anno Zoom ha allargato e rivoluzionato la comunicazione ad un ulteriore livello. Ma forse c’è stato chi ha scritto qualcosa che prevedeva un tragico futuro: il Grande Fratello, che in “1984” di George Orwell compare senza preavviso nello schermo d’ogni appartamento con i suoi diktat, è un vago precursore di Zoom? Forse.

Circa 25 anni fa un amico, un collega di lavoro, mi aiutò a creare il mio primo indirizzo e-mail. Io, il grande grafomane, avevo a disposizione una nuova maniera di scrivere lettere, che sarebbero arrivate al destinatario in pochi secondi. Problema iniziale, non conoscevo nessuno che avesse l’email, eccetto chi mi aveva aiutato a creare la mia. In poco tempo le cose cambiarono e scrivere una lettera su carta divenne un evento sempre più raro fino a divenire eccezionale. Crisi economica degli uffici postali.

Le nuove generazioni, quelle che non hanno mai scritto lettere, non avranno nulla, andrà tutto perduto fra un computer e un altro.

Generazioni senza memoria, senza passato.

Detto questo parlerò d’una lettera, una lettera ritrovata. Una lettera che Francesco Franceschini di Sansepolcro mi scrisse nel marzo del 1971, il primo anno che ero in America. Tempi duri per me che alla soglia dei trent’anni ero senza lavoro, con la moglie incinta che mi manteneva, cercavo di iniziare una carriera ma ero confuso su cosa avrei voluto fare da grande. Forse alla soglia degli ottanta le idee non sono ancora del tutto chiare. Quel periodo era oscurato anche dalla possibilità, dalla paura di essere coscritto e partire per il Vietnam; allora la legge americana prevedeva che tutti i residenti era soggetti alla leva. Io, che da ragazzo avevo giocato a fare la guerra lungo l’Afra, correvo il rischi di finire per davvero nel Mekong River.

In quel periodo mi misi a scrivere e scrissi tante lettere, era la mia maniera per mantenere contatto con amici lontani. Fu allora che scrissi anche a Francesco Franceschino, amico e coetaneo di mio padre (1904), balestriere e repubblicano. Ero curioso di sapere d’un evento avvenuto verso il 1930 quando un gruppo di repubblicani, liberi pensatori che furono arrestati dopo aver reso omaggio ad un compagno di Sangiustino morto, in piena era fascista aveva tirato fuori una bandiera verde di mazziniana memoria. Di questo accaduto se ne parlava in casa e mio padre, anche se buon fascista premarcia, ricordava l’evento con una malcelata ammirazione per questi coraggiosi.

Solo una settimana dopo aver ricevuto questa lettera, solo una coincidenza, la mia situazione ebbe un felice ribaltamento. Io che avevo ricevuto tante risposte negative alle mie domande di lavoro ricevetti una telefonata con un’inaspettata offerta di lavoro. Il giorno dopo mi presentai per l’intervista e fui immediatamente assunto. Due giorni dopo mi presentai al lavoro: Alitalia, aeroporto di Boston, ma questo è l’inizio d’un’altra storia… lunga.

Una strana curiosità, c’è un errore di affrancatura, infatti il timbro porta la data 72 invece che 71.  

Questo il testo della lettera, da questa si può ricostruire un bel pezzo della Storia d’Italia, di altri tempi, quando non c’erano i crocefissi nelle aule, ma poi venne il Concordato.

Non ho trascritto una parte di carattere personale.

 

lettera di Francesco Franceschini del marzo 1971, il timbro erroneamente porta la data 1972

 Sansepolcro, 6 marzo 1971

Caro Fausto,

Non voglio farti penare tanto. Ieri ricevei la tua graditissima lettera ed oggi sono con te nell’intento di esaudire nel miglior modo possibile i tuoi desideri.

Prima di entrare nel vivo di ciò che ti interessa sento il dovere di ringraziarti per il buon ricordo che conservi nei miei confronti e per le vicende che riguardano la vita americana di cui hai voluto ragguagliarmi.

Un particolare cordiale saluto vada alla tua bella e simpatica sposa cui va pure il più fervido augurio per una serena gestazione e perché il lieto evento avvenga secondo le vostre aspirazioni.

Mi compiaccio con te per il tuo rapido e lusinghiero ambientamento nella vulcanica America. Non ho avuto ancora la possibilità di conoscerla e penso che non avrò il piacere di metterci piede, ma da ciò che ho letto ed ascoltato da coloro che l’hanno visitata, sia pure apprensivamente, mi rendo perfettamente conto quanto e come sia diversa la vita quotidiana e come sia contrastante il modo di concepire le cose in senso lato da quelle nostre. 

Ma tu sei giovane e quindi con la collaborazione di tua moglie che è un’anglosassone non dovresti trovarti a disagio.

Ed ora torniamo all’argomento principe.

L’episodio di cui a suo tempo ti accennò il Signor Camillo Benci avvenne all’incirca nel 28-29. Non più tardi perché il carro funebre laico che venne usato in tale occasione, venne poi distrutto tanto è vero che per il mio povero babbo, deceduto nel Maggio 1930, fummo costretti a sistemare alla meglio la cassa entro l’auto da noleggio del Cesarini, mio amico, da lunghi anni emigrato a Casablanca, perché la Congregazione della Misericordia rifiutò di concedere il carro essendo trasporto civile.

E’ ovvio dirti come il fatto che mi accingo a descriverti, desto’ scalpore anche in quell’epoca ricca di soprusi e violenze.

Le vittime furono tutte repubblicane (massoni). Devi sapere innanzi tutto che, a differenza di oggi, nei partiti militavano persone mature. Nel P.R.I. poi la quasi totalità oltrepassava i 50 – 60 anni: anticlericali per eccellenza, antifascisti, ma nel contempo oppositori dei socialcomunisti, per non parlare della incallita avversità verso il P.P. (Partito Popolare Italiano) oggi Democrazia Cristiana, e verso infine quel rimasuglio di conservatori Monarchici.

Questo fermo atteggiamento degli ultimi Repubblicani Risorgimentali e quindi di fede patriottica (e qui è bene ricordare il nostro interventismo alla I Guerra Mondiale) face sì che la furia fascista non si abbattesse con quella violenza di cui, in massima parte, ne fecero le spese, come in tutta Italia, i Socialcomunisti.

Dopo questo preambolo ritorniamo alla vicenda che ti sta a cuore.

Forse tu saprai che per amicizia di buon vicinato e per quella antica tradizione che voleva che tra i numerosi laici del Borgo, di Sangiustino e di Città di Castello, non venisse infranta nella buona e nella cattiva sorte quell’affetto fraterno, tramandato da padre in figlio. Frequentemente i bontemponi di libertari non mancavano di scambiarsi visite e di inneggiare, fra plurime bevute e spuntini alla Repubblica Mazziniana, unica legittima e valida forma di Stato Popolare democratico sovrano.

Quel malaugurato giorno era un evento di lutto. Era morto a Sangiustino un vecchio Repubblicano di cui non ricordo il nome.

Era dovere andare a rendergli l’ultimo saluto, magari al ritorno al Cantinone o alla Dogana, avrebbero cercato di mandar giù la tristezza con qualche litro di quello buono. Non credere che questa dissertazione abbia sapore ironico, tutt’altro. E’ una nostra forma familiare che non si riscontra in altri partiti.           

Facevano parte della comitiva, ora tutti nel mondo dei più, Camillo Benci, Ernesto Casucci, vecchio funzionario del Magazzino dei Tabacchi, gia segretario della sezione, Luigi Mariucci, tipografo, poi proprietario del Caffè Appennino, detto il Padrino, padre di Ado (?), il Dindelli detto Gnespola (e’ detto bene cosi al Borgo, non nespola) calzolaio, portabandiera, Checco Boncompagni, scalpellino detto il Crudo, padre di quelli che si ubriacavano. Non credo che ce ne siano stati altri, comunque questi sono i più noti.

Per il trasporto funebre come ripeto, fu utilizzato il nostro carro funebre per il quale contribuivo anch’io per la manutenzione E così il nostro fiero drappello di Liberi Pensatori in cravatta alla Lavalliere, con in testa la vecchia bandiera verde (non rossa del P.R.I. poiché il partito era stato sciolto come tutti gli altri partiti oppositori del Regime dopo l’omicidio Matteotti nel 1924)

La gente guardava con stupore e nel contempo con ammirazione perché dall’avvento del fascismo, raramente si verificavano trasporti civili e tanto più con bandiera di un sodalizio fondato in memoria del Martire Nolano Giordano Bruno.

Apriti cielo! Le autorità locali: il segretario politico, il podestà Roti, vero aguzzino che si accanì in maniera bestiale, il maresciallo dei Carabinieri, l’arciprete ed altri della combutta, fecero sì che al ritorno dal cimitero questi valentuomini, rei di aver reso a modo loro gli onori funebri ad un grande amico, venissero fermati e incarcerati in attesa di ulteriori istruzioni.  Fu redatto denuncia nientemeno al Tribunale Speciale per manifestazione sovversiva e di complotto contro lo Stato.

Dopo qualche giorno li vedemmo partire con il trenino incatenati l’uno agli altri alla volta di Roma. Roba da Inquisizione. Te lo immagini vedere questi uomini di una certa età in tali condizioni come fossero dei futuro banditi?

Furono trattenuti nella capitale per diverso tempo in attesa della celebrazione del processo. Fortunatamente il fratello del Signor Camillo Benci, il Sig. Fervido si rivolse al Generale Traditi allora Comandante della Milizia, il quale era stretta parente dei Martini e quindi della moglie del Signor Fervido. Questo provvidenziale personaggio riuscì a svuotare i pesanti addebiti e a far liberare i detenuti.

Non credo quindi che il Vescovo Pompeo Ghezzo, ottimo uomo, in verità abbia influito sulla risoluzione del fatto. In ogni modo però questo prelato molto ha fatto per la nostra Città in ogni circostanze specie nel torbido periodo della Repubblica Sociale e nel corso del passaggio della guerra. Molte persone furono da lui salvate dalle mani della soldataglia tedesca.

I predetti incriminati ritornarono al paese e furono accolta da i più con affetto e simpatia anche perché parte di essa erano di una certa levatura sociale. Anche gli altri, benché di condizione modesta, il Crudo, il Padrino, e Gnespola, ebbero la loro parte di gloria.

Non ci furono rappresaglie violente ne’ d’indole economica anche perché tutti erano indipendenti come lavoratori in proprio.

Con ciò il primo argomento è chiuso. Parliamo quindi della nostra gloriosa sezione del P.R.I.

La nostra sezione ha radici molto antiche. E’ però certo sia costituito poco dopo che il Granducato di Toscana, nel ’59, fu unito al Regno d’Italia. Anche mio nonno paterno, oggi sarebbe stato un ultra centoquarantenne era fervente Repubblicano passato poi alle appena nate idee socialiste da inculcare poi, visti gli inutili sforzi verso i suoi figli, nella testa di Gigino Bosi, suo nipote e quindi cugino di mio padre. Questo mio parente era allora studente universitario di Agraria a Pisa. Esponente assieme all’Avv. Massa del P.S.I. e indi Deputato. Fu molto perseguitato dal Fascismo.

Ritorniamo a noi. Ricordo nella mia prima giovinezza dei diversi personaggi Repubblicani i quali facevano spicco colla loro rettitudine e con il loro buon senso più che come uomini di cultura. Infatti il complesso degli iscritti era formato da operosi artigiani. Io, oltre la scuola paterna, fui educato e perfezionato da uno stuolo di anziani capeggiati da Pergente Cerri, coetaneo di mio padre, oriundo della Maremma ove conobbe il brigante Triburzi. Facevamo cenacolo allo Stand Tiro a Volo, oggi trasformato in Autostazione, palazzi e abitazioni di Midio Meucci.

E così all’età di 16 anni nel 1920 andai a studiare ad Arezzo ove mi iscrissi alla Sezione Giovanile Repubblicana – Circolo Oberdan. Avevamo la sede in uno scantinato vicino ai casini. Delle volte ci riunivamo con gli anziani all’Albergo La Luna di proprietà di Paride Verecondi, repubblicano. Come ricordo con affetto i Montaini, Cenni, Marchiò, Icilio Spaccialbeffo, funzionario delle foreste, nativo di Città di Castello, reduce e ferito alla battaglia di Damakos in Grecia alla quale partecipò con la spedizione di Ricciotti Garibaldi figlio primogenito dell’eroe dei due Mondi.

Quando ritornavo a casa partecipavo alle riunioni di questi simpatici amici. La sezione era in via della Fraternita per andare ai Servi. Il locale era una specie di scantinato, tappezzato di stampe risorgimentali, bandiere polverose. Quando entravi a prima vista non distinguevi nulla tanto era il fumo, sprigionato dalle pipe. Non ti dico poi il clamore che si elevava quando qualcuno prendeva la parola intercalando il breve discorso con moccoli dell’80 (?). Era uno spasso. Poi veniva passato il fiasco e così, inneggiando alla Repubblica, aveva termine il raduno.

Ma quale impronta aveva lasciato il vecchio Partito in sede locale! Basterebbe pensare la costituzione della Società Operaia che ebbe l’onore di avere una lettera autografa di Giuseppe Garibaldi.

Come già accennato il P.R.I. venne disciolto nel 1924 e quindi la nostra sezione dovette chiudere i battenti, ma con questo non finì l’affiatamento e la fratellanza fra gli iscritti.

A guerra conclusa ricostituimmo la sezione. Fra gli anziani rivedemmo Fosco Dini, Brando Duranti, Rosvindo Guidobaldi, Demetrio Barciulli, il Padrino, Amerigo Medici e suo fratello, Pergente Cerri, e tanti altri. Mentre fra i giovani segnalo Ado Mariucci, Beppe Nomi, Stelio il Moro, Pietro Magi ecc. ecc. Nella prima amministrazione avemmo ben 5 consiglieri: io, Ado, Magi, Stelio, Batti nipote di Gigi che purtroppo mori immaturamente.

Ed oggi, come tu sai, dopo alcune lotte elettorali andate a vuoto, abbiamo riportato in municipio un nostro rappresentante nella persona di Livio Boncompagni da poco sostituito da Tredici Coraggio perché impossibilitato di seguire l’attività del Consiglio per impegni di lavoro.

In complesso il risveglio repubblicano è in continua ascesa in tutta Italia. Anche Arezzo che per noi è sempre stato un ambiente negativo, sta raccogliendo lusinghiere adesioni. Sangiustino e’ sempre un buon ambiente ma purtroppo con la morte del Rag. Sante Meocci, vecchio Repubblicano, e uomo di vasto ingegno, temo che non faccia più progressi considerevoli.

Anche questo argomento lo considero esaurito.

 

Parte omessa …  

 

Che faticata mi hai fatto fare! Però ti pongo una condizione: quando torni in Italia mi devi riportare naturalmente dietro rimborso delle spese 4 o 5 dollari d’argento dei differenti Presidenti o coniati per commemorare qualche fatto importante.

Ed ora Fausto chiudo il sipario.

A proposito volevo tenerti al corrente degli avvenimenti cittadini. Da tempo si verificano scioperi massicci per la Buitoni, in verità molto giustificati. Si ha ragione di temere il trasferimento della lavorazione dei prodotti dietetici. L’altro giorno la città era deserta, avevano chiuso tutti i locali, negozi ecc.

 Necrologio: Vittorio Rosati, Pisini, Pietro Giambagli il Moro, tutti morti repentinamente.

 Ciao, Fausto, se mi rispondi mi farai cosa gradita, Salutami tua moglie alla quale rinnovo i miei auguri.     

 Mia moglie contraccambia cordiali saluti e tu da me abbiti un cordiale fraterno saluto.

 Francesco Franceschini  

 

1964 stazione d’Arezzo, Francesco Franceschini al centro, vestito scuro

            

Francesco Franceschini al centro, vestito scuro.

Stazione d’Arezzo, maggio 1964, partenza dei Balestrieri di Sansepolcro per Roma per poi volare ad Alghero per la Settimana Sarda

 

 

 

 

 

Nell’estate del 1959 andai ad un campeggio nel monte Fumaiolo dietro le Balze. Una domenica mattina vidi comparire mio padre e fui sorpreso, ma cosa era successo? Mi era venuto a prendere, nel pomeriggio ci sarebbe stato il funerale, civile naturalmente, del Sor Camillo Benci e anche io dovevo fare omaggio alla sua memoria. Ricordo che era una giornata caldissima e quando sia arrivati in via XX Settembre, proprio davanti alla farmacia Galardi c’era un grande assembramento di gente, notai subito una grande vecchia bandiera verde, quella era di certo la stessa bandiera che trent’anni prima era stata causa di tanti problemi. Mussolini aveva paura di quella bandiera verde.  

Fausto Braganti

ftbraganti@verizon.net

 

Marblehead, 16 dicembre 2020

Il mio libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro.

Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.

 https://www.youtube.com/watch?v=Cuj_L36JYeQ

 

 

016 M’Arcordo…quando s’andava a veglia.

novembre 9, 2018

            Quand’ero picino s’andava a veglia, e la gente arcontava le storie ed io stavo zitto e bono ed ascoltavo, allora non avevo molto da dire.

            D’inverno s’andava a veglia a case dei perenti, o dei vicini, e se questi avevano il camino si formava un semicerchio intorno al foco. Spesso si dividevano due gruppi: quello degli uomini e quello delle donne. Sotto le feste di Natale e a carnevale s’arrostivano le castagne o facevano le castagnole e se beveva la canaiola. Spesso si giocava a tombola o al mercante in fiera. Ero tristissimo se non vincevo almeno 10 lire.  Ma la grande attivitá rimaneve quella del raccontare. Credo che proprio allora ho imparato ad apprezzare l’importanza del ricordo ed anche il rischio di miticizzare. <<Ai miei tempi…>> era il tipico inizio del racconto ed in qualche maniera c’era l’impressione che quelli fossero tempi migliori. Quante volte ho sentito:<<Se stava meglio quando se stava peggio!>> ed io rimuginavo <<Ma cosa vuol dire?>> Mi sembravan tutti così vecchi.

            Si parlava spesso della guerra passata da poco o altre guerre più lontane, poi a secondo la stagione si discuteva di caccia, di calcio o di ciclismo, e quasi mai di politica. Immagino che ci saranno stati altri argomenti ma non ne ho chiara memoria.

            Spesso io chiedevo al mi’ babbo di riraccontare della Libia e della piccola guerra dimenticata, si fa per dire, che aveva combattuto contro i ribelli del Gran Senusso nel 1924-25. Nei libri non compare quasi mai;  è forse in qualche nota a fondo pagina e viene identificata come “Campagna della Riconquista della Libia”.  Io conoscevo la storia benissimo, e non era mai stanco di risentirla. Tutto era cosi chiaro nella mia mente che mi sembrava che c’ero stato anch’io.  In sua assenza l’avrei potutata narrare, ma non sarebbe stata la stessa cosa. ‘l mi’ babbo aveva il vantaggio di poterla arricchire ogni volta con qualche qualche piccolo dettaglio, senza cambiarne il contenuto. Il fatto che in due anni sparó solo un colpo di moschetto di notte a casaccio nel buio non ebbe mai variazioni, ed allora mai diceva d’aver assistito ad un’impiccagione. Questo lo appresi solo molti anni più tardi, quando ero grande.

Misurata Marina – Libia, 1925. Renato Braganti, primo a destra

            Furono in molti quelli del Borgo, tutta la leva del 1904, che andarono in Libia. ‘l mi’ babbo diceva che all’inizio del 1924 ci furono delle elezioni, forse comunali, non so, e a Sansepocro i socialisti vinsero, nonostante Mussolini fosse stato al potere da più d’un anno. Vorrei proprio sapere se questo dettaglio sia vero. Così per punizione assieme ai sui coetanei, lui, che era già inscritto al partito fascista, si trovó in una nave con destinazione Tripoli. Molti di loro, come ‘l mi’ babbo, non avevano mai visto il mare. Appena sbarcati i Borghesi, assieme ad altri conscritti di città rosse furuno messi in fila lungo il molo ed un ufficiale cominció a berciare ed ad isultarli, chiamandoli sovversivi e bolscevici e promettendo loro gavette piene di sabbia. ‘l mi’ babbo, che aveva il diploma della scuola tecnica, presto divenne caporal maggiore e se la cavò bene, a parte il tifo. Ma questa è un’altra storia.

            E quante storie come questa ho sentito narrare: storie di gente semplice, storie di guerre varie e di posti esotici e lontani, e non ho mai incontrato un eroe, solo dei sopravvisuti. Il fatto che erano li e raccontavano voleva dire che ce l’avevano fatta e questo era sufficente. Ma c’erano anche i momenti di malinconia, quando si sentiva la mancanza di che non era tornato.

            Poi venne la televisione…

            Queste mie pagine in qualche maniera mi hanno fatto sentire come se fossi andato a veglia con voi tutti, amici lettori. Sembra quasi impossibile, ma son passati sei mesi dal primo “M’arcordo” dove non ho arcordato niente, ma ho solo dato un’idea di quello che intendevo fare. Ricordate? La memoria individuale, la memoria collettiva? Va be’, é ora di fare on po’ il punto della situazione, di tutte queste sere passate a veglia, e’ ora di ricapitolare.   

            Grazie al Ghiozzo ho pubblicato 15 memorie e ne ho iniziate almeno un’altra diecina, che stanno li, da qualche parte, nel “M’arcordo” del computer. Prima o poi le finiró. Lo prometto e vorrei fare anche una serie di personaggi.

            Poi ho impostato un mio blog, Biturgus, dove ho riedito le stesse pagine già comparse nel Ghiozzo. Purtroppo non son molto bravo nell’impostare questo sito. Sto imparando, lentamente.

            L’obbittivo finale, seguendo le orme d’Arduino Brizzi, sarebbe quello di farne un libro. Vedremo.

            E’ stata per me, e spero che continui ad essere in futuro, un’esperienza positiva. Non solo ricordando ho rivissuto il mio passato, ma ho anche ritrovare tanti cari amici. Amici, che pensavo si fossero perduti nel tempo e nello spazio, si son fatti vivi. Da alcuni di loro ho avuto incoraggiamenti, correzioni e suggerimenti, che spesso  si son poi sviluppate in storie. Grazie! Alcuni di loro hanno scritto i loro “M’arcordo..” Per me é certo stata la parte migliore di questa esperienza.; ma c’é sempre un lato triste, quello di sapere e costatare che ci son tanti che ci han lasciato.

            C’è stato anche un aspetto inaspettato in questa esperienza. Mi ha permesso di liberarmi di segreti che tenevo nascosti entro di me. Per esempio, quando ho scritto il “M’arcordo… quando s’andava al cine”, ho potuto narrare di quando un amico di famiglia, ben conosciuto da tutti al Borgo, ha cercato di toccarmi e farsi toccare al cinema Dante. Per più di 50 anni non ho nascosto questo incontro, come se fosse stata colpa mia. Mi son sentito subito più leggero. Grazie per avermi ascoltato.

            Domenica scorsa Vasco, un amico di San Giustino proprietario d’un ristorante a Londra, dove abita da una vita. é passato qui da me, purtroppo per solo poche ore. E’ sempre bello riscoprire d’avere tanti amici in comune. Vasco ritornava dal Maine con la moglie e con una coppia inglese, per continuare nella direzione di New York. Mi ha detto che una persona del Borgo che lavora con lui a Londra, leggeva il Ghiozzo e che regolarmente seguiva i miei “M’Arcordo..” e questo mi ha fatto gran piacere.

 

            Grazie a tutti voi che siete venuti a veglia, e …

… se ve pieci, artorneteci, ve prometto che n’arconto d’altre, ma ‘n ve scordete de di’ le vostre e ‘na volta che artorno al Borgo ci s’artrova e se mangia le castagnole e se s’emputano ‘ntu la gola, se mandan giù co’ la canaiola

 

18 settembre 2008, Marblehead, MA USA

I vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese. Mi raccomando, scrivete! Fausto Braganti      

ftbraganti@verizon.net

il diario dell’ufficiale austriaco

novembre 6, 2018

Nel novembre del 1964 abitavo con Paolo Massi ed altri amici alla Pensione Parterre della signora Checcucci, in Via Pippo Spano, vicino a Piazza della Libertá a Firenze, ma questa è un’altra storia. Come al solito un  giorno, dopo aver mangiato alla mensa di Via San Gallo, si ritornava verso la pensione quando facemmo una grande scoperta. In Via San Gallo c’era un magazzino dove si raccogliavano cartaccie e cartoni. Speso entravamo in quella specie d’antrone dove in angolo c’era una pila di libri vecchi e ci piaceva spulciare nella speranza di trovare qualche cosa d’interssante. Quel giorno fummo fortunati, molto fortunati. C’erano dei vecchi quaderni legati con lo spago. Erano dei diari di guerra scritti a matita d’un certo ufficiale Morali, originale del Mugello. Erano diari della Guerra di Libia e della Guerra all’Austria come la chiamava lui. Questa non era ancora diventata la Grande Guerra e tanto meno la I Guerra Mondiale. Purtroppo non c’erano tutti.

Per pochi soldi comprammo i diari e tornati in pensione ci mettemmo a leggerli avidamente. L’impressione generale che ricordo é che lo scrittore era un tipo pignolo e meticoloso nella cronologia delle sue giornate e degli eventi, e raramente esprimeva i propri sentimenti. Doveva essere un avvocato e faceva parte d’una corte marziale. Purtroppo questi diari, che avevamo avuto la fortuna di salvare, sono nuovamente andati perduti. Ma qualcosa si é salvato: questo stralcio d’un diario d’un ufficiale austriaco che era stato tradotto e ricopiato ed inserito fra le pagine di quello dell’ufficiale Morali. Oggi ho la copia dattilografata che feci subito dopo il ritrovamento. Ci sono delle frasi non chiare e dei frammenti di frase e nome sconosciuti e probabilmente dall’ortografia errata.

 

Dal Diario della Guerra all’Austria di R.Morali

Giovedi 27 gennaio 1916, viene a trovarmi il Cap. De Prosperi (di Padova) di complemento, del quale ho giá parlato in questo diario, e che dalle trincee va in licenza a Padova. Me ne racconta di tutti i colori! Tutti, al fronte, sono stufi di questa guerra. E questo lo sapevamo! Mi conferma il fatto del fraternizzamento de’ nostri soldati alla trincea, co’ nemici. E pure questo lo sapevo benissimo!

Mi consegnò uno stralcio d’un diario trovato nel campo di battaglia, ch’io copiai avidamente e che unisco a questo diario. É un documento importantissimo, umano, scritto da un vero filosofo e che fa molto pensare.

 

Diario di un ufficiale austriaco (copia riservatissima)

COMANDO III.a  ARMATA

(2.A Sezione Informazioni)

Diario di un ufficiale austriaco ignoto, rinvenuto sul campo di battaglia.  Nota: Il diario è guasto dall’umiditá ed ha alcune pagine sgualcite – MANCA di 42 pagine. Va dal 13 luglio  all’11 agosto (1915). É scritto in tedesco, ma la lingua lascia molto a desiderare sia in ortografia che per la grammatica e la sintassi. É evidente che chi l’ ha vergato non è tedesco: di fatti si legge a pagina 47 “son nato sloveno…”

Per quanto ricerche si siano fatte fra i prigionieri, non si è potuto avere notizia alcuna sull’autore si ha fondata ragione di credere che appartenga ad un ufficiale dell’ 87.º Fanteria, perchè in una nota menzione l’Alfiere Manfrussato dell’87.º Fanteria, 41.º Battaglione.

_______________________________________________

Testo:

…. faremo niente anche in seguito. É impossibile tener fronte ai Deport italiani coi nostri tubi da coduttura fuori uso. Che cosa sono veramente questi cannoni Deport? Non ne ho la minima idea. Ma devono essere qualche cosa di terribile. É ben vero che abbiamo alcuni pezzi da 305, ma tutto il resto si riduce a delle macchine da far rumore.

14 luglio – Il generale Cambronne ha legato il suo nome alla storia perché a gridato “merde” in faccia al nemico, io che ci vivo in mezzo da due mesi devo diventare per lo meno un semidio.

15 luglio – Gl’italiani cantano nei ripari per farsi coraggio, e perchè si sentono coristi da operetta anche in faccia alla morte…

18 luglio – Ho dormito due giorni. Fa bene essre rilevati per un po’. Si dice che Hein si sia ucciso. Pare si impazzito dalla paura. Lo si seppellirá oggi.

“Sará sepolto nel crocevia chi si sará suicidato” (Heine) I tedeschi hanno un solo vero, un solo grande poeta: Heine e non lo vogliono riconoscere. Goethe! Goethe! Verissimo, Goethe era un tedesco ma appunto per ciò non era un poeta. E va bene. Si dice che era anche un filisofo, grazie tante. Perchè ha messo in rima tante balordaggini è un poeta, perchè non si comprende ciò che ha poetato, è un filosofo. C’è più poesia in una stanza del Piccolo Testamento di François Villon che in tutto Faust.

Dove mi ha portato il povero Heine! Povero amico, sei stato un asino! Non avresti potuto aspettare la scheggia di granata? Oggi grandina. Incredibile quanto sparano oggi gli italiani. Credo che i capelli diventeranno bianchi a quelli che stanno in trincea.

20 luglio – Anniversario di Lissa. Me ne infischio. Messa da campo. “Gott erhalt” – “Weat am Rhein”. Discorsi politici. Il cappellano militare ha detto oggi tante messe che deve essere mezzo ubriaco del sangue di Cristo. Banchetti, discorsi, spumante, triplice evviva. Il Signor Maggiore si è ubriacato come una troia, e ha vomitato come uno studente. Qualche cosa di stupendo il patriottismo! E poi mi strapazza perchè non sono patriota! Pardon! Sono nato Sloveno, ho passato l’infanzia in Vienna, la prima adoloscenza in Bosnia, due anni a Budapest, tre in Svizzera poi a Parigi… e poi un povero diavolo dovrebbe sapere ciò che veramente è, ed essere per giunta un patriota austriaco .

21 luglio – Non è decente ciò che fanno gli Italiani. Non si è più sicuri in nessuna parte. Il diavolo se li porti. Oggi il Maggiore si è congratulato con me. La bocca gli puzza come il… contrario. Io mi dovrei essere comportato splendidamente di fronte al nemico. Avrò una medaglia per il mio coraggio. Ma chi dice che io ho del coraggio è un asino, e non capisce niente. Giacchè non è lo stesso aver coraggio  e non aver paura. É quindi una qualitá negativa. Mah! Sarebbe troppo da un Maggiore volere che sia uno psicologo: è giá abbastanza che non sia un “cuologo”(?).

Di sera sono andato da Mariutta: 17 anni e giá un ciuffo di peli fra le poppe.

22 luglio – Questa notte devo rilevare gli Houvert del 17º. Ricevo rinforzi. Si dice di nuovo che lá è andato malissimo. Gli Italiani avrebbero fatto prigioniero un numero enorme di Houvert. Con questo fuoco d’artiglieria!

23 luglio –  Porca di vita questa! Invece che a mezzanotte, ho raggiunto la trincea alle 4 e un quarto. Io credo che il caporale volontario di un anno, voleva farmi sbagliare strada. Una brava persona e colta. Si dice che se non fosse Italiano, sarebbe giá alfiere. Mi sorprenderebbe che non fosse così. Salve a mia Austria! Gli Houvert erano giá impazienti; se l’immagine di… Non è un gioco resistere per tre giorni sotto il terribile fuoco degli italiani. Seno dei gran signori quei bei tipi, e fanno spreco di munizioni. Succederá loro come ai Francesi. Veramente questa è una cosa che riguarda piuttosto loro ed io ho i miei pensieri coi quali rompermi il capo se mi fa piacere. Umanamente incredibile quello che succede quá: teste, zaini, gambe, zolle di terra, viscere, pietre, tutto vola in aria. É come se il mondo velesse ritornare al caos. I miei soldati sono come instupiditi e pallidi di terrore. Non basta che i porcaccioni che abbiamo rilevato, ci abbiano lasciato indietro i loro morti puzzolenti.  Anche la maggior parte dei miei è giá fatta a brani dalle schegge. Se vale la pena di ridursi in tale stato per questi quattro sassi pidocchiosi del cazzo…

24 luglio – Notte terribile! Vorrei essere giá morto. Oh, non ci si fará ad uscir mai più da questa fossa, o ci si estrarrá pazzi. Penso ai pittori di battaglie e delle poesie del campo di battaglie! Vorrei conoscere il poeta capace di mettere in bella rima questi ventri squarciati, questi brandelli di carne, questi torsi stroncati, e la chiazze di sangue e brani di cervello.

Ho avuto comunicazione che un intero battaglione di Houvert si è arreso e che il tiro italiano ha prodotto gravissimi danni anche all’artiglieria. Stiamo  freschi. Ore tragiche. Eppure bisogno che rida, non ne posso fare a meno. 

Una scheggia di granata ha asportato i genitali al mio attendente. Eppure il mondo è cosi vasto…no, proprio li doveva far centro la granata italiana. Povero Zuenke, è certo che non andrai in giro a far vedere la tua gloriosa ferita, specialmente non la mostrerai alla bella del villaggio.

25 luglio – Ore infernali. Eppure la stanchezza mi aveva conciliato il sonno. Mi svegliai che era giorno, ma non fui destato dal rombo del cannone. Senti sulla guancia qualche cosa di caldo che scendeva verso la bocca, e mi penetrò nella bocca. Dio del cielo! Erano brani di cervello di un caporale che giaceva vicino a me col cranio scoperchiato!… Dio, Dio, mi liberorò mai più di questa orribile impressione?

26 luglio – Ci hanno rilevato. Lá è finita per me. Mi sento completamente demoralizzaro. Anche i miei uomini sono instupiditi del tutto, con gli occhi sbarrati, e tremano con fili d’erba. Ieri, nel pomeriggio ne lasciai andare alcuni. Probabilmente li avranno fuciliti.

28 luglio – Ho dormito tre giorni. Mi sento meglio. Di notte riterniamo in trincea.

29 luglio – Non è a dire quanto puzzino i morti! Da non poter resistere! Si apre la bocca per mangiare un boccone e si inghiotte puzzo concentrato di cadavere.

Accanto a me c’è un torso strappato col fegato nero, chiazzate di verde. Io verrei portare quá chi abbia un figlio in guerra. Io credo che in capo ad una settimana non ci sarebbero più imperatori, nè re, nè generali. E le poverette lá, a casa, credono che i feriti vengono curati e i morti sepolti con la croce ed il nome. Giá, cose che si vedono nelle figure della “Leipziger” disegante nello studio.

Ci si suiciderebbe se non si fosse del tutto ottusi e indifferenti. Vivere in mezzo a questa putritudine e a questo orrore! E il brano di cervello in bocca. Dio! Se ci penso mi pare di impazzire!

Niente rancio, niente acqua; e nella notte si sente si sente il concerto dei rospi e delle rane. Ciò  inasprisce più la seta.

30 luglio – Se un Dio vedesse dall’alto questi solchi puzzolenti e stillanti di sangue, potrebbe pensare che madre natura ha il mestruo.

2 agosto – Il Tenente medico dice che non é cosa da prendere alla leggera. Ritornerá da me con il Maggiore medico. Io mi sento tanto male. Mah! Dicono che vaneggio tutta la notte. Il cibo mi nausea, ho sempre in bocca il sapere di cervello.

3 agosto – Mi si manderá in licenza per quattro settimane. Ció mi resta più gradito di qualsiasi medaglia. Oggi vado con Frik e Molmer a Nabresina da una ragazza. Il nostro battaglione ha perduto fin ad oggi 609 uomini, cioé 276 fra morti e feriti e 333 dispersi. Fra questi il Capitano, due Tenenti, due Alfieri morti, il Sottotenente ed il cadetto dispersi.

4 agosto – Si trova di rado un’armonia di linee come nella Gilda. Una deliziosa fusione di linee e nessuna esagerazione né nei fianchi né nel seno. E una schiena… straordinaria! La “Venere Giacente” del Velasquez non é più bella. Per quanto io preferisca le membra sode e rotonde della “Maya Svestita” di Goja. Ho mal di capo. “Re Fosco” * era troppo forte. Ci si accorge troppo tardi.

5 agosto– Non ricordo la giornata di ieri. Ho un mal di capo da impazzire. E una nausea del cibo. Se qualc’uno mi presentasse un piatto di cervella all’uovo e mi promettesse le più belle donne di tutti i tempi qualora io ne mangiassi, sia Elena, Eleonora di Poiten (?) e Madame Récamier**, io volgerei la testa dal piatto. Ho sempre in bocca quel cervello umano…

É triste! Mefistofele diventa sentimentale. E non puó ridere neppure di se stesso.

Visita del Maggiore Medico. Stasera mi si fará una inizione di morfina.

Altri 13 prigionieri italiani. É sciocco quello che si fa con loro. Si portano di quá e lá e sono sempre gli stessi. Io credo che siano quelli che abbiamo visto dieci giorni fa.

6 agosto – Oggi ho veduto per la prima volta i soldati dela Ladsturm con fucili Werndl***. Credevo di scoppiare dalle  risa. E la baionetta che vi era applicata! É vero che gli italiani sono ancora alle lancie, ma l’ “antico” non é ridicolo, il “fuori moda” invece sì. Nessuno riderebbe dinanzi un cavaliere in armatura, di un borghese in frack e pantaloni a quadrigliati riderebbero anche i morti. Fucili Werndl! Si spara, poi si prega il nemico che per amor di Dio non si muova, poi si ricarica, si spara e così via.

Gravi perdite nel treno. Gl’italiani sparano senza posa. Oggi ho chiesto di Hem. É considerato disperso; ma lo si ritiene morto. Peccato! Un ufficiale valoroso, un uomo di cuore. Non si sarebbe detto che era un ungherese, e per giunta un ufficiale di carriera.

Pace alle sue ceneri!!

Per mare si va splendidamente. Un sottomarino ha silurato ed affondato la dreadnaugt (dragamine) “Conte di Cavour”. Così la trinitá italiana si trova unita ancora  in fondo al mare: “Re d’Italia”, “Garibaldi”, “Conte di Cavour”.

Versavia caduta, Lublino presa. Banchetto alle 8 e mezza. Non ci vado. Il cantiere di Monfalcone in fiamme. Meravigliosa scena di guerra!

Pare che gli italiani sgombrano le loro posizioni. Frick dice che allo Stato Maggiore corre voce che essi preparino le trincee per coprire la ritirata.

Nell’ordine del giorno firmato dall’Arciduca Giuseppe é che un altro aeroplano nemico é stato costretto ad atterrare nelle nostre posizioni. Forse che urtó contro le sue corna…? Voglio farmi raccontare da Molmar la storia dello schiaffo al capitano degli Ussari che lo ave reso come un volgare “cocu”.

7 agosto – La “Conte di Cavour” si é trasformata in un sommergibile. Forse non é vero neanche questo, per quanto la Marina Italiana non valga niente. L’Ammiraglio capo é un alpinista!

Oggi per la prima volta ho visto che gli arei italiani sono di rosso di rosso, bianco e verde. Si dice che questa é ormai storia antica. Sará! Io non l’ho notato fino ad oggi. Cose simili mi sono del tutto indifferenti.

Piangerei dai dolori di testa, mi pare che la testa mi voglia scoppiare. Chi ha fatto la danza della morte nelle trincee e non é stato travolto, non ha che una sola via aperta innanzi a sé: la via del manicomio.

6 agosto – L’Ida puzza come un caprone ed ha le croste ai ginocchi. Ho schiacciato 18 cimici nei pagliericci.

Le contadine non guardano neppure i Drachen. Se fossero signorine di buona famiglia, verrebbero meno dal desiderio.

9 agosto – Il mio attendente, il povero Zueke é morto (cancrena). Tanto non era un più uomo. E anch’io mi sento finito! Non riesco ancora a mangiare. Tutto ha sapore di cervello umano. Schifoso!

Il Maggiore Medico é stato ancora da me. Un uomo ruvido ma benevole. Che se io sia pazzo sul serio? Soltanto che mi fa delle domande Curiose. Forse perché incomincio  credere alla vittoria finale degli Imperi Centrali.

La Russia ha tradito lo Slavismo, l’Inghilterra ha tradito il mondo, La Francia si é palesata più miserabile ancora di quanto si potesse supporre, e l’Italia si é lasciata sfuggire il momento buono. La Serbia é ormai daccordo con l’Austria per ottenere l’Albania settentrionale.

11 agosto – Ieri ho avuto la febbre, ed ho veneggiato tutta il giorno, ed oggi mi sento molto debole.

Sono sceso soltanto adesso per godermi il tramonto. I cipressi del cortile accanto sono tutti di porpora d’oro. Sono triste. Qualche cosa di dura come l’acciaio ha urtato contro la mia anima, e l’ha ridotta in frantumi.

Io siedi nell’aia, e la villana vecchia e magra scende ad attingere l’acqua e la versa nella vasca di pietra, perché i buoi ne bevano. Essa é come la guerra, che toglie gli uomini alle loro case e li versa nella trincea, perché la morte li beve.

 

 

…..”Dio punisca l’Inghilterra e la fredifraga Italia”…..

Se aspettiamo l’aiuto di Dio stiamo ferschi…

 

Maggior Generale De Nagy a Terwis. Se resta parecchio tempo fuori di casa….sará papá un’altra volta….

 

Ore 6 e mezzo. Pasta coi piccioni.

 

 

In una pagina si legge il seguente prontuario di lingua iataliana:

“Cara signorina, voi siete bella e mi piacete molto.” oppure

“Signorina,voi mi siete molto simpatica e discorrerei un pochino con voi.”

“In dove abitate? La vostra signora madre é sempre in casa?” oppure

“Quando vi potrei trovare sola soletta, per farvi un pochino di gradevole compagnia.”

“Voi avete occhi come stelle.”

 

NOTE SPARSE

 

Non v’é al mondo nulla di più stupido della guerra mondiale, giacché ognuno si troverá al punto di prima e dovrá pagare da solo e suoi debiti.

Io credo che dopo questa guerra molto teste coronate perderanno la corona se non la…testa! Luigi XVI aspetto con ansia i nuovi colleghi, e se avesse la testa riderebbe.

Non sono ancora in chiaro se l’ Alfiere Manfruzzato sia di sentimanti Austriaci o Italiani. Non entra in discorsi politici. Ho sentito dire che combatte senza entusiasmo. Ed io pure “moi aussi. Je m’en foute!”

É sciocco parlare di combattere. Stare rannicchiato nelle trincee ed aspettare una granata italiana che deve farci a pezzi non é combattere.

Se si sente Italiano deve essere tremendo quello che si sente dentro di lui, quando si trova in trincea.

Si dice che al di lá, dai “verdi”, ci sia mezzo Trieste nelle trincee; se fosse stato patriota, avrebbe dovuto scappare da tempo. Ad ogni modo vorrei guardare dentro la sua anima.

Non serve che i nostri ufficaiali si vestano di color di fieno, perché traspare giá abbastanza il fieno che hanno nella testa.

Ció sia detto degli ufficiale di carriare.

Io credo che per molte fanciulle la guerra é la benvenuta. Sono state violate, ció che fa sempre piacere ad una femmina, ed ora possono godersi la vita ed hanno mille scuse per non farsi chiamare prostitute.

 

*  Refosco e’ un vitigno autoctono diffuso in tutto il territorio friulano. Viene coltivato anche nelle campagne pianeggianti che circondano le vestigia dell’antica citta’ d’Aquileia. Da questo si ottiene un corposo vino rosso (informazione datami da Mario Besi)

** Madame Récamier. Bellissima dama del periodo napoleonico, la cui mitica

bellezza fu immortalata da David.

 

***dalla ricerche che ho fatto ho scoperto che il fucile Werndl era un vecchio modello prodotto nel 1873. Non aveva caricatore, una cartuccia alla volta. Il nostro Carcano ’91 lungo in confronto era un’arma modernissima.

 

 

9 nov. 2008, Marblehead, MA USA                                                                                         I  vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese. Mi raccomando, scrivete! Fausto Braganti      

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152 M’Arcordo… del libro “M’Arcordo…storie Borghesi” 25 aprile 2015.

aprile 25, 2017

Luisa Taba, la prima sortita di Fausto Braganti e’ diventata un manifesto

Sono passati tre anni; quel sabato pomeriggio fu per me memorabile. Infatti non voglio essere tacciato di falsa modestia, ne sono fiero ed orgoglioso. Quella fu per me la grande occasione per poter dire a tutti i Borghesi:

“È vero, me ne sono andato via; ma non mi son dimenticato di voi, il Borgo siete voi.”

Quello che sette anni prima era iniziato per caso scrivendo una serie di ricordi si era materializzato in un libro. Nel presentarlo nella grande sala consiliare del Comune di Sansepolcro avevo raggiunto un obbiettivo che non sapevo neanche esistesse.

M’Arcordo… con soddisfazione quella sala piena di amici vecchi e nuovi, che son venuti anche da lontano per condividere quel momento con me. Vederli sorridere, esser riuscito a farli ridere, mi ha dato una gran soddisfazione. Ringrazio tutti per questa grande manifestazione d’affetto.

Quello che avevo scritto, circa 800 pagine, non era un libro, era solo una serie di articoli. C’erano molti M’Arcordo… che non erano pertinenti a Sansepolcro, ma ad altre esperienze di vita in giro per il mondo. Eliminarli questi ultimi fu semplice; ma poi scegliere gli altri, metterli in qualche ordine logico e ridurre il tutto alle dimensioni d’un libro normale non fu facile. Ci sono stati momenti di scoraggiamento, un gran voglia di mandare tutto a quel paese. L’aiuto di Anna Di Varoli che mi ha aiutato a selezionare e correggere è stato fondamentale per darmi disciplina e portare a termine l’impresa. Grazie!

Avevo sin dall’inizio l’idea che la presentazione doveva esser fatta nella sala del biliardo del palazzo Marini (delle Laudi, Comune di Sansepolcro). Quella era stata la casa, si fa per dire, dove ero nato. Per me aveva un significato particolare, come se sperassi che i fantasmi dei miei si aggirassero ancora per le sale, che fossero venuti ad ascoltarmi. Ci tenevo che il sindaco, Daniela Frullani, ci fosse, sia nella sua veste ufficiale e sia come amica di famiglia. Ringrazio Daniela mi concesse la sala, e proprio quel giorno era per lei un anniversario importante. Grazie.

Libero Alberti ha continuato la tradizione d’amicizia che da sempre ha legato le nostre famiglie. Io abito lontano e ogni qual volta abbia avuto bisogno d’aiuto si è prestato senza esitazione, e anche con il libro M’Arcordo… è stato di grande aiuto. Grazie.

 

Pascale Queval, mia moglie, era venuta con me ed era particolarmente contenta e soddisfatta. Lei mi aveva seguito in questa avventura sin dall’inizio. Erano stati i suoi incoraggiamenti che mi avevano stimolato a mettere in ordine i M’Arcordo… e convincermi che era possibile tirarne fuori un libro. Lei è la più esperta francese di storia del Borgo. È stata lei che ha filmato i primi venti minuti della presentazione con il telefonino. Merci.  

Amici, Borghesi, vi voglio bene.  

Fausto Braganti 

ftbraganti@verizon.net 

Ripubblicato Marblehead, 25 Aprile 2018  

Il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro.

 

Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.

Presentazione del libro “M’Arcordo…”