Archive for the ‘M’ Arcordo’ Category

155 M’Arcordo… la lettera del Franceschini

dicembre 16, 2020

155 M’Arcordo… la lettera del Franceschini. 

E’ passato esattamente un anno da quando ho scritto l’ultimo M’Arcordo … e il ritrovamento d’una lettera mi ha spinto a scrivere questo. Duranti i lavori di archeologia domestica è riemersa una busta con l’indirizzo scritto in bella calligrafia che ho immediatamente riconosciuto, quella era una lettera del Franceschini. Ne ricordavo il contenuto.

Diciamo che sono stato sempre un po’ grafomane e lo sono ancora, anche se in forma minore e usando differenti strumenti di comunicazione.

Una volta si scrivevano lettere e cartoline e io mi sfogavo, avevo bisogno di comunicare, ma soprattutto ero impaziente di ricevere. Ogni giorno aspettavo il postino, con ansia quando aspettavo una lettera da “lei”. Confesso, ci sono stati tempi in cui c’erano più d’una “lei”.

Credo di avere quasi tutte le lettere e cartoline che ho ricevuto, naturalmente non ho copia di quelle che ho scritto, eccetto quelle mandate a mia madre; queste sono ben organizzate attentamente legate in pacchetti con nastrini, amore di mamma.

I tempi son cambiati e anche tanto. I grandi scrittori di fantascienza ci hanno raccontato di tutto sul nostro futuro, già Leonardo aveva progettato una specie di elicottero.  Ci hanno descritto mondi immaginari con incredibili progressi e molti si sono realizzati. Nessuno, almeno per quanto ne sappia io, ha mai ipotizzato l’avvento dell’internet, ovvero l’abilità di comunicare con tanta velocità con tanti strumenti. Solo nell’ultimo anno Zoom ha allargato e rivoluzionato la comunicazione ad un ulteriore livello. Ma forse c’è stato chi ha scritto qualcosa che prevedeva un tragico futuro: il Grande Fratello, che in “1984” di George Orwell compare senza preavviso nello schermo d’ogni appartamento con i suoi diktat, è un vago precursore di Zoom? Forse.

Circa 25 anni fa un amico, un collega di lavoro, mi aiutò a creare il mio primo indirizzo e-mail. Io, il grande grafomane, avevo a disposizione una nuova maniera di scrivere lettere, che sarebbero arrivate al destinatario in pochi secondi. Problema iniziale, non conoscevo nessuno che avesse l’email, eccetto chi mi aveva aiutato a creare la mia. In poco tempo le cose cambiarono e scrivere una lettera su carta divenne un evento sempre più raro fino a divenire eccezionale. Crisi economica degli uffici postali.

Le nuove generazioni, quelle che non hanno mai scritto lettere, non avranno nulla, andrà tutto perduto fra un computer e un altro.

Generazioni senza memoria, senza passato.

Detto questo parlerò d’una lettera, una lettera ritrovata. Una lettera che Francesco Franceschini di Sansepolcro mi scrisse nel marzo del 1971, il primo anno che ero in America. Tempi duri per me che alla soglia dei trent’anni ero senza lavoro, con la moglie incinta che mi manteneva, cercavo di iniziare una carriera ma ero confuso su cosa avrei voluto fare da grande. Forse alla soglia degli ottanta le idee non sono ancora del tutto chiare. Quel periodo era oscurato anche dalla possibilità, dalla paura di essere coscritto e partire per il Vietnam; allora la legge americana prevedeva che tutti i residenti era soggetti alla leva. Io, che da ragazzo avevo giocato a fare la guerra lungo l’Afra, correvo il rischi di finire per davvero nel Mekong River.

In quel periodo mi misi a scrivere e scrissi tante lettere, era la mia maniera per mantenere contatto con amici lontani. Fu allora che scrissi anche a Francesco Franceschino, amico e coetaneo di mio padre (1904), balestriere e repubblicano. Ero curioso di sapere d’un evento avvenuto verso il 1930 quando un gruppo di repubblicani, liberi pensatori che furono arrestati dopo aver reso omaggio ad un compagno di Sangiustino morto, in piena era fascista aveva tirato fuori una bandiera verde di mazziniana memoria. Di questo accaduto se ne parlava in casa e mio padre, anche se buon fascista premarcia, ricordava l’evento con una malcelata ammirazione per questi coraggiosi.

Solo una settimana dopo aver ricevuto questa lettera, solo una coincidenza, la mia situazione ebbe un felice ribaltamento. Io che avevo ricevuto tante risposte negative alle mie domande di lavoro ricevetti una telefonata con un’inaspettata offerta di lavoro. Il giorno dopo mi presentai per l’intervista e fui immediatamente assunto. Due giorni dopo mi presentai al lavoro: Alitalia, aeroporto di Boston, ma questo è l’inizio d’un’altra storia… lunga.

Una strana curiosità, c’è un errore di affrancatura, infatti il timbro porta la data 72 invece che 71.  

Questo il testo della lettera, da questa si può ricostruire un bel pezzo della Storia d’Italia, di altri tempi, quando non c’erano i crocefissi nelle aule, ma poi venne il Concordato.

Non ho trascritto una parte di carattere personale.

 

lettera di Francesco Franceschini del marzo 1971, il timbro erroneamente porta la data 1972

 Sansepolcro, 6 marzo 1971

Caro Fausto,

Non voglio farti penare tanto. Ieri ricevei la tua graditissima lettera ed oggi sono con te nell’intento di esaudire nel miglior modo possibile i tuoi desideri.

Prima di entrare nel vivo di ciò che ti interessa sento il dovere di ringraziarti per il buon ricordo che conservi nei miei confronti e per le vicende che riguardano la vita americana di cui hai voluto ragguagliarmi.

Un particolare cordiale saluto vada alla tua bella e simpatica sposa cui va pure il più fervido augurio per una serena gestazione e perché il lieto evento avvenga secondo le vostre aspirazioni.

Mi compiaccio con te per il tuo rapido e lusinghiero ambientamento nella vulcanica America. Non ho avuto ancora la possibilità di conoscerla e penso che non avrò il piacere di metterci piede, ma da ciò che ho letto ed ascoltato da coloro che l’hanno visitata, sia pure apprensivamente, mi rendo perfettamente conto quanto e come sia diversa la vita quotidiana e come sia contrastante il modo di concepire le cose in senso lato da quelle nostre. 

Ma tu sei giovane e quindi con la collaborazione di tua moglie che è un’anglosassone non dovresti trovarti a disagio.

Ed ora torniamo all’argomento principe.

L’episodio di cui a suo tempo ti accennò il Signor Camillo Benci avvenne all’incirca nel 28-29. Non più tardi perché il carro funebre laico che venne usato in tale occasione, venne poi distrutto tanto è vero che per il mio povero babbo, deceduto nel Maggio 1930, fummo costretti a sistemare alla meglio la cassa entro l’auto da noleggio del Cesarini, mio amico, da lunghi anni emigrato a Casablanca, perché la Congregazione della Misericordia rifiutò di concedere il carro essendo trasporto civile.

E’ ovvio dirti come il fatto che mi accingo a descriverti, desto’ scalpore anche in quell’epoca ricca di soprusi e violenze.

Le vittime furono tutte repubblicane (massoni). Devi sapere innanzi tutto che, a differenza di oggi, nei partiti militavano persone mature. Nel P.R.I. poi la quasi totalità oltrepassava i 50 – 60 anni: anticlericali per eccellenza, antifascisti, ma nel contempo oppositori dei socialcomunisti, per non parlare della incallita avversità verso il P.P. (Partito Popolare Italiano) oggi Democrazia Cristiana, e verso infine quel rimasuglio di conservatori Monarchici.

Questo fermo atteggiamento degli ultimi Repubblicani Risorgimentali e quindi di fede patriottica (e qui è bene ricordare il nostro interventismo alla I Guerra Mondiale) face sì che la furia fascista non si abbattesse con quella violenza di cui, in massima parte, ne fecero le spese, come in tutta Italia, i Socialcomunisti.

Dopo questo preambolo ritorniamo alla vicenda che ti sta a cuore.

Forse tu saprai che per amicizia di buon vicinato e per quella antica tradizione che voleva che tra i numerosi laici del Borgo, di Sangiustino e di Città di Castello, non venisse infranta nella buona e nella cattiva sorte quell’affetto fraterno, tramandato da padre in figlio. Frequentemente i bontemponi di libertari non mancavano di scambiarsi visite e di inneggiare, fra plurime bevute e spuntini alla Repubblica Mazziniana, unica legittima e valida forma di Stato Popolare democratico sovrano.

Quel malaugurato giorno era un evento di lutto. Era morto a Sangiustino un vecchio Repubblicano di cui non ricordo il nome.

Era dovere andare a rendergli l’ultimo saluto, magari al ritorno al Cantinone o alla Dogana, avrebbero cercato di mandar giù la tristezza con qualche litro di quello buono. Non credere che questa dissertazione abbia sapore ironico, tutt’altro. E’ una nostra forma familiare che non si riscontra in altri partiti.           

Facevano parte della comitiva, ora tutti nel mondo dei più, Camillo Benci, Ernesto Casucci, vecchio funzionario del Magazzino dei Tabacchi, gia segretario della sezione, Luigi Mariucci, tipografo, poi proprietario del Caffè Appennino, detto il Padrino, padre di Ado (?), il Dindelli detto Gnespola (e’ detto bene cosi al Borgo, non nespola) calzolaio, portabandiera, Checco Boncompagni, scalpellino detto il Crudo, padre di quelli che si ubriacavano. Non credo che ce ne siano stati altri, comunque questi sono i più noti.

Per il trasporto funebre come ripeto, fu utilizzato il nostro carro funebre per il quale contribuivo anch’io per la manutenzione E così il nostro fiero drappello di Liberi Pensatori in cravatta alla Lavalliere, con in testa la vecchia bandiera verde (non rossa del P.R.I. poiché il partito era stato sciolto come tutti gli altri partiti oppositori del Regime dopo l’omicidio Matteotti nel 1924)

La gente guardava con stupore e nel contempo con ammirazione perché dall’avvento del fascismo, raramente si verificavano trasporti civili e tanto più con bandiera di un sodalizio fondato in memoria del Martire Nolano Giordano Bruno.

Apriti cielo! Le autorità locali: il segretario politico, il podestà Roti, vero aguzzino che si accanì in maniera bestiale, il maresciallo dei Carabinieri, l’arciprete ed altri della combutta, fecero sì che al ritorno dal cimitero questi valentuomini, rei di aver reso a modo loro gli onori funebri ad un grande amico, venissero fermati e incarcerati in attesa di ulteriori istruzioni.  Fu redatto denuncia nientemeno al Tribunale Speciale per manifestazione sovversiva e di complotto contro lo Stato.

Dopo qualche giorno li vedemmo partire con il trenino incatenati l’uno agli altri alla volta di Roma. Roba da Inquisizione. Te lo immagini vedere questi uomini di una certa età in tali condizioni come fossero dei futuro banditi?

Furono trattenuti nella capitale per diverso tempo in attesa della celebrazione del processo. Fortunatamente il fratello del Signor Camillo Benci, il Sig. Fervido si rivolse al Generale Traditi allora Comandante della Milizia, il quale era stretta parente dei Martini e quindi della moglie del Signor Fervido. Questo provvidenziale personaggio riuscì a svuotare i pesanti addebiti e a far liberare i detenuti.

Non credo quindi che il Vescovo Pompeo Ghezzo, ottimo uomo, in verità abbia influito sulla risoluzione del fatto. In ogni modo però questo prelato molto ha fatto per la nostra Città in ogni circostanze specie nel torbido periodo della Repubblica Sociale e nel corso del passaggio della guerra. Molte persone furono da lui salvate dalle mani della soldataglia tedesca.

I predetti incriminati ritornarono al paese e furono accolta da i più con affetto e simpatia anche perché parte di essa erano di una certa levatura sociale. Anche gli altri, benché di condizione modesta, il Crudo, il Padrino, e Gnespola, ebbero la loro parte di gloria.

Non ci furono rappresaglie violente ne’ d’indole economica anche perché tutti erano indipendenti come lavoratori in proprio.

Con ciò il primo argomento è chiuso. Parliamo quindi della nostra gloriosa sezione del P.R.I.

La nostra sezione ha radici molto antiche. E’ però certo sia costituito poco dopo che il Granducato di Toscana, nel ’59, fu unito al Regno d’Italia. Anche mio nonno paterno, oggi sarebbe stato un ultra centoquarantenne era fervente Repubblicano passato poi alle appena nate idee socialiste da inculcare poi, visti gli inutili sforzi verso i suoi figli, nella testa di Gigino Bosi, suo nipote e quindi cugino di mio padre. Questo mio parente era allora studente universitario di Agraria a Pisa. Esponente assieme all’Avv. Massa del P.S.I. e indi Deputato. Fu molto perseguitato dal Fascismo.

Ritorniamo a noi. Ricordo nella mia prima giovinezza dei diversi personaggi Repubblicani i quali facevano spicco colla loro rettitudine e con il loro buon senso più che come uomini di cultura. Infatti il complesso degli iscritti era formato da operosi artigiani. Io, oltre la scuola paterna, fui educato e perfezionato da uno stuolo di anziani capeggiati da Pergente Cerri, coetaneo di mio padre, oriundo della Maremma ove conobbe il brigante Triburzi. Facevamo cenacolo allo Stand Tiro a Volo, oggi trasformato in Autostazione, palazzi e abitazioni di Midio Meucci.

E così all’età di 16 anni nel 1920 andai a studiare ad Arezzo ove mi iscrissi alla Sezione Giovanile Repubblicana – Circolo Oberdan. Avevamo la sede in uno scantinato vicino ai casini. Delle volte ci riunivamo con gli anziani all’Albergo La Luna di proprietà di Paride Verecondi, repubblicano. Come ricordo con affetto i Montaini, Cenni, Marchiò, Icilio Spaccialbeffo, funzionario delle foreste, nativo di Città di Castello, reduce e ferito alla battaglia di Damakos in Grecia alla quale partecipò con la spedizione di Ricciotti Garibaldi figlio primogenito dell’eroe dei due Mondi.

Quando ritornavo a casa partecipavo alle riunioni di questi simpatici amici. La sezione era in via della Fraternita per andare ai Servi. Il locale era una specie di scantinato, tappezzato di stampe risorgimentali, bandiere polverose. Quando entravi a prima vista non distinguevi nulla tanto era il fumo, sprigionato dalle pipe. Non ti dico poi il clamore che si elevava quando qualcuno prendeva la parola intercalando il breve discorso con moccoli dell’80 (?). Era uno spasso. Poi veniva passato il fiasco e così, inneggiando alla Repubblica, aveva termine il raduno.

Ma quale impronta aveva lasciato il vecchio Partito in sede locale! Basterebbe pensare la costituzione della Società Operaia che ebbe l’onore di avere una lettera autografa di Giuseppe Garibaldi.

Come già accennato il P.R.I. venne disciolto nel 1924 e quindi la nostra sezione dovette chiudere i battenti, ma con questo non finì l’affiatamento e la fratellanza fra gli iscritti.

A guerra conclusa ricostituimmo la sezione. Fra gli anziani rivedemmo Fosco Dini, Brando Duranti, Rosvindo Guidobaldi, Demetrio Barciulli, il Padrino, Amerigo Medici e suo fratello, Pergente Cerri, e tanti altri. Mentre fra i giovani segnalo Ado Mariucci, Beppe Nomi, Stelio il Moro, Pietro Magi ecc. ecc. Nella prima amministrazione avemmo ben 5 consiglieri: io, Ado, Magi, Stelio, Batti nipote di Gigi che purtroppo mori immaturamente.

Ed oggi, come tu sai, dopo alcune lotte elettorali andate a vuoto, abbiamo riportato in municipio un nostro rappresentante nella persona di Livio Boncompagni da poco sostituito da Tredici Coraggio perché impossibilitato di seguire l’attività del Consiglio per impegni di lavoro.

In complesso il risveglio repubblicano è in continua ascesa in tutta Italia. Anche Arezzo che per noi è sempre stato un ambiente negativo, sta raccogliendo lusinghiere adesioni. Sangiustino e’ sempre un buon ambiente ma purtroppo con la morte del Rag. Sante Meocci, vecchio Repubblicano, e uomo di vasto ingegno, temo che non faccia più progressi considerevoli.

Anche questo argomento lo considero esaurito.

 

Parte omessa …  

 

Che faticata mi hai fatto fare! Però ti pongo una condizione: quando torni in Italia mi devi riportare naturalmente dietro rimborso delle spese 4 o 5 dollari d’argento dei differenti Presidenti o coniati per commemorare qualche fatto importante.

Ed ora Fausto chiudo il sipario.

A proposito volevo tenerti al corrente degli avvenimenti cittadini. Da tempo si verificano scioperi massicci per la Buitoni, in verità molto giustificati. Si ha ragione di temere il trasferimento della lavorazione dei prodotti dietetici. L’altro giorno la città era deserta, avevano chiuso tutti i locali, negozi ecc.

 Necrologio: Vittorio Rosati, Pisini, Pietro Giambagli il Moro, tutti morti repentinamente.

 Ciao, Fausto, se mi rispondi mi farai cosa gradita, Salutami tua moglie alla quale rinnovo i miei auguri.     

 Mia moglie contraccambia cordiali saluti e tu da me abbiti un cordiale fraterno saluto.

 Francesco Franceschini  

 

1964 stazione d’Arezzo, Francesco Franceschini al centro, vestito scuro

            

Francesco Franceschini al centro, vestito scuro.

Stazione d’Arezzo, maggio 1964, partenza dei Balestrieri di Sansepolcro per Roma per poi volare ad Alghero per la Settimana Sarda

 

 

 

 

 

Nell’estate del 1959 andai ad un campeggio nel monte Fumaiolo dietro le Balze. Una domenica mattina vidi comparire mio padre e fui sorpreso, ma cosa era successo? Mi era venuto a prendere, nel pomeriggio ci sarebbe stato il funerale, civile naturalmente, del Sor Camillo Benci e anche io dovevo fare omaggio alla sua memoria. Ricordo che era una giornata caldissima e quando sia arrivati in via XX Settembre, proprio davanti alla farmacia Galardi c’era un grande assembramento di gente, notai subito una grande vecchia bandiera verde, quella era di certo la stessa bandiera che trent’anni prima era stata causa di tanti problemi. Mussolini aveva paura di quella bandiera verde.  

Fausto Braganti

ftbraganti@verizon.net

 

Marblehead, 16 dicembre 2020

Il mio libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro.

Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.

 https://www.youtube.com/watch?v=Cuj_L36JYeQ

 

 

il diario dell’ufficiale austriaco

novembre 6, 2018

Nel novembre del 1964 abitavo con Paolo Massi ed altri amici alla Pensione Parterre della signora Checcucci, in Via Pippo Spano, vicino a Piazza della Libertá a Firenze, ma questa è un’altra storia. Come al solito un  giorno, dopo aver mangiato alla mensa di Via San Gallo, si ritornava verso la pensione quando facemmo una grande scoperta. In Via San Gallo c’era un magazzino dove si raccogliavano cartaccie e cartoni. Speso entravamo in quella specie d’antrone dove in angolo c’era una pila di libri vecchi e ci piaceva spulciare nella speranza di trovare qualche cosa d’interssante. Quel giorno fummo fortunati, molto fortunati. C’erano dei vecchi quaderni legati con lo spago. Erano dei diari di guerra scritti a matita d’un certo ufficiale Morali, originale del Mugello. Erano diari della Guerra di Libia e della Guerra all’Austria come la chiamava lui. Questa non era ancora diventata la Grande Guerra e tanto meno la I Guerra Mondiale. Purtroppo non c’erano tutti.

Per pochi soldi comprammo i diari e tornati in pensione ci mettemmo a leggerli avidamente. L’impressione generale che ricordo é che lo scrittore era un tipo pignolo e meticoloso nella cronologia delle sue giornate e degli eventi, e raramente esprimeva i propri sentimenti. Doveva essere un avvocato e faceva parte d’una corte marziale. Purtroppo questi diari, che avevamo avuto la fortuna di salvare, sono nuovamente andati perduti. Ma qualcosa si é salvato: questo stralcio d’un diario d’un ufficiale austriaco che era stato tradotto e ricopiato ed inserito fra le pagine di quello dell’ufficiale Morali. Oggi ho la copia dattilografata che feci subito dopo il ritrovamento. Ci sono delle frasi non chiare e dei frammenti di frase e nome sconosciuti e probabilmente dall’ortografia errata.

 

Dal Diario della Guerra all’Austria di R.Morali

Giovedi 27 gennaio 1916, viene a trovarmi il Cap. De Prosperi (di Padova) di complemento, del quale ho giá parlato in questo diario, e che dalle trincee va in licenza a Padova. Me ne racconta di tutti i colori! Tutti, al fronte, sono stufi di questa guerra. E questo lo sapevamo! Mi conferma il fatto del fraternizzamento de’ nostri soldati alla trincea, co’ nemici. E pure questo lo sapevo benissimo!

Mi consegnò uno stralcio d’un diario trovato nel campo di battaglia, ch’io copiai avidamente e che unisco a questo diario. É un documento importantissimo, umano, scritto da un vero filosofo e che fa molto pensare.

 

Diario di un ufficiale austriaco (copia riservatissima)

COMANDO III.a  ARMATA

(2.A Sezione Informazioni)

Diario di un ufficiale austriaco ignoto, rinvenuto sul campo di battaglia.  Nota: Il diario è guasto dall’umiditá ed ha alcune pagine sgualcite – MANCA di 42 pagine. Va dal 13 luglio  all’11 agosto (1915). É scritto in tedesco, ma la lingua lascia molto a desiderare sia in ortografia che per la grammatica e la sintassi. É evidente che chi l’ ha vergato non è tedesco: di fatti si legge a pagina 47 “son nato sloveno…”

Per quanto ricerche si siano fatte fra i prigionieri, non si è potuto avere notizia alcuna sull’autore si ha fondata ragione di credere che appartenga ad un ufficiale dell’ 87.º Fanteria, perchè in una nota menzione l’Alfiere Manfrussato dell’87.º Fanteria, 41.º Battaglione.

_______________________________________________

Testo:

…. faremo niente anche in seguito. É impossibile tener fronte ai Deport italiani coi nostri tubi da coduttura fuori uso. Che cosa sono veramente questi cannoni Deport? Non ne ho la minima idea. Ma devono essere qualche cosa di terribile. É ben vero che abbiamo alcuni pezzi da 305, ma tutto il resto si riduce a delle macchine da far rumore.

14 luglio – Il generale Cambronne ha legato il suo nome alla storia perché a gridato “merde” in faccia al nemico, io che ci vivo in mezzo da due mesi devo diventare per lo meno un semidio.

15 luglio – Gl’italiani cantano nei ripari per farsi coraggio, e perchè si sentono coristi da operetta anche in faccia alla morte…

18 luglio – Ho dormito due giorni. Fa bene essre rilevati per un po’. Si dice che Hein si sia ucciso. Pare si impazzito dalla paura. Lo si seppellirá oggi.

“Sará sepolto nel crocevia chi si sará suicidato” (Heine) I tedeschi hanno un solo vero, un solo grande poeta: Heine e non lo vogliono riconoscere. Goethe! Goethe! Verissimo, Goethe era un tedesco ma appunto per ciò non era un poeta. E va bene. Si dice che era anche un filisofo, grazie tante. Perchè ha messo in rima tante balordaggini è un poeta, perchè non si comprende ciò che ha poetato, è un filosofo. C’è più poesia in una stanza del Piccolo Testamento di François Villon che in tutto Faust.

Dove mi ha portato il povero Heine! Povero amico, sei stato un asino! Non avresti potuto aspettare la scheggia di granata? Oggi grandina. Incredibile quanto sparano oggi gli italiani. Credo che i capelli diventeranno bianchi a quelli che stanno in trincea.

20 luglio – Anniversario di Lissa. Me ne infischio. Messa da campo. “Gott erhalt” – “Weat am Rhein”. Discorsi politici. Il cappellano militare ha detto oggi tante messe che deve essere mezzo ubriaco del sangue di Cristo. Banchetti, discorsi, spumante, triplice evviva. Il Signor Maggiore si è ubriacato come una troia, e ha vomitato come uno studente. Qualche cosa di stupendo il patriottismo! E poi mi strapazza perchè non sono patriota! Pardon! Sono nato Sloveno, ho passato l’infanzia in Vienna, la prima adoloscenza in Bosnia, due anni a Budapest, tre in Svizzera poi a Parigi… e poi un povero diavolo dovrebbe sapere ciò che veramente è, ed essere per giunta un patriota austriaco .

21 luglio – Non è decente ciò che fanno gli Italiani. Non si è più sicuri in nessuna parte. Il diavolo se li porti. Oggi il Maggiore si è congratulato con me. La bocca gli puzza come il… contrario. Io mi dovrei essere comportato splendidamente di fronte al nemico. Avrò una medaglia per il mio coraggio. Ma chi dice che io ho del coraggio è un asino, e non capisce niente. Giacchè non è lo stesso aver coraggio  e non aver paura. É quindi una qualitá negativa. Mah! Sarebbe troppo da un Maggiore volere che sia uno psicologo: è giá abbastanza che non sia un “cuologo”(?).

Di sera sono andato da Mariutta: 17 anni e giá un ciuffo di peli fra le poppe.

22 luglio – Questa notte devo rilevare gli Houvert del 17º. Ricevo rinforzi. Si dice di nuovo che lá è andato malissimo. Gli Italiani avrebbero fatto prigioniero un numero enorme di Houvert. Con questo fuoco d’artiglieria!

23 luglio –  Porca di vita questa! Invece che a mezzanotte, ho raggiunto la trincea alle 4 e un quarto. Io credo che il caporale volontario di un anno, voleva farmi sbagliare strada. Una brava persona e colta. Si dice che se non fosse Italiano, sarebbe giá alfiere. Mi sorprenderebbe che non fosse così. Salve a mia Austria! Gli Houvert erano giá impazienti; se l’immagine di… Non è un gioco resistere per tre giorni sotto il terribile fuoco degli italiani. Seno dei gran signori quei bei tipi, e fanno spreco di munizioni. Succederá loro come ai Francesi. Veramente questa è una cosa che riguarda piuttosto loro ed io ho i miei pensieri coi quali rompermi il capo se mi fa piacere. Umanamente incredibile quello che succede quá: teste, zaini, gambe, zolle di terra, viscere, pietre, tutto vola in aria. É come se il mondo velesse ritornare al caos. I miei soldati sono come instupiditi e pallidi di terrore. Non basta che i porcaccioni che abbiamo rilevato, ci abbiano lasciato indietro i loro morti puzzolenti.  Anche la maggior parte dei miei è giá fatta a brani dalle schegge. Se vale la pena di ridursi in tale stato per questi quattro sassi pidocchiosi del cazzo…

24 luglio – Notte terribile! Vorrei essere giá morto. Oh, non ci si fará ad uscir mai più da questa fossa, o ci si estrarrá pazzi. Penso ai pittori di battaglie e delle poesie del campo di battaglie! Vorrei conoscere il poeta capace di mettere in bella rima questi ventri squarciati, questi brandelli di carne, questi torsi stroncati, e la chiazze di sangue e brani di cervello.

Ho avuto comunicazione che un intero battaglione di Houvert si è arreso e che il tiro italiano ha prodotto gravissimi danni anche all’artiglieria. Stiamo  freschi. Ore tragiche. Eppure bisogno che rida, non ne posso fare a meno. 

Una scheggia di granata ha asportato i genitali al mio attendente. Eppure il mondo è cosi vasto…no, proprio li doveva far centro la granata italiana. Povero Zuenke, è certo che non andrai in giro a far vedere la tua gloriosa ferita, specialmente non la mostrerai alla bella del villaggio.

25 luglio – Ore infernali. Eppure la stanchezza mi aveva conciliato il sonno. Mi svegliai che era giorno, ma non fui destato dal rombo del cannone. Senti sulla guancia qualche cosa di caldo che scendeva verso la bocca, e mi penetrò nella bocca. Dio del cielo! Erano brani di cervello di un caporale che giaceva vicino a me col cranio scoperchiato!… Dio, Dio, mi liberorò mai più di questa orribile impressione?

26 luglio – Ci hanno rilevato. Lá è finita per me. Mi sento completamente demoralizzaro. Anche i miei uomini sono instupiditi del tutto, con gli occhi sbarrati, e tremano con fili d’erba. Ieri, nel pomeriggio ne lasciai andare alcuni. Probabilmente li avranno fuciliti.

28 luglio – Ho dormito tre giorni. Mi sento meglio. Di notte riterniamo in trincea.

29 luglio – Non è a dire quanto puzzino i morti! Da non poter resistere! Si apre la bocca per mangiare un boccone e si inghiotte puzzo concentrato di cadavere.

Accanto a me c’è un torso strappato col fegato nero, chiazzate di verde. Io verrei portare quá chi abbia un figlio in guerra. Io credo che in capo ad una settimana non ci sarebbero più imperatori, nè re, nè generali. E le poverette lá, a casa, credono che i feriti vengono curati e i morti sepolti con la croce ed il nome. Giá, cose che si vedono nelle figure della “Leipziger” disegante nello studio.

Ci si suiciderebbe se non si fosse del tutto ottusi e indifferenti. Vivere in mezzo a questa putritudine e a questo orrore! E il brano di cervello in bocca. Dio! Se ci penso mi pare di impazzire!

Niente rancio, niente acqua; e nella notte si sente si sente il concerto dei rospi e delle rane. Ciò  inasprisce più la seta.

30 luglio – Se un Dio vedesse dall’alto questi solchi puzzolenti e stillanti di sangue, potrebbe pensare che madre natura ha il mestruo.

2 agosto – Il Tenente medico dice che non é cosa da prendere alla leggera. Ritornerá da me con il Maggiore medico. Io mi sento tanto male. Mah! Dicono che vaneggio tutta la notte. Il cibo mi nausea, ho sempre in bocca il sapere di cervello.

3 agosto – Mi si manderá in licenza per quattro settimane. Ció mi resta più gradito di qualsiasi medaglia. Oggi vado con Frik e Molmer a Nabresina da una ragazza. Il nostro battaglione ha perduto fin ad oggi 609 uomini, cioé 276 fra morti e feriti e 333 dispersi. Fra questi il Capitano, due Tenenti, due Alfieri morti, il Sottotenente ed il cadetto dispersi.

4 agosto – Si trova di rado un’armonia di linee come nella Gilda. Una deliziosa fusione di linee e nessuna esagerazione né nei fianchi né nel seno. E una schiena… straordinaria! La “Venere Giacente” del Velasquez non é più bella. Per quanto io preferisca le membra sode e rotonde della “Maya Svestita” di Goja. Ho mal di capo. “Re Fosco” * era troppo forte. Ci si accorge troppo tardi.

5 agosto– Non ricordo la giornata di ieri. Ho un mal di capo da impazzire. E una nausea del cibo. Se qualc’uno mi presentasse un piatto di cervella all’uovo e mi promettesse le più belle donne di tutti i tempi qualora io ne mangiassi, sia Elena, Eleonora di Poiten (?) e Madame Récamier**, io volgerei la testa dal piatto. Ho sempre in bocca quel cervello umano…

É triste! Mefistofele diventa sentimentale. E non puó ridere neppure di se stesso.

Visita del Maggiore Medico. Stasera mi si fará una inizione di morfina.

Altri 13 prigionieri italiani. É sciocco quello che si fa con loro. Si portano di quá e lá e sono sempre gli stessi. Io credo che siano quelli che abbiamo visto dieci giorni fa.

6 agosto – Oggi ho veduto per la prima volta i soldati dela Ladsturm con fucili Werndl***. Credevo di scoppiare dalle  risa. E la baionetta che vi era applicata! É vero che gli italiani sono ancora alle lancie, ma l’ “antico” non é ridicolo, il “fuori moda” invece sì. Nessuno riderebbe dinanzi un cavaliere in armatura, di un borghese in frack e pantaloni a quadrigliati riderebbero anche i morti. Fucili Werndl! Si spara, poi si prega il nemico che per amor di Dio non si muova, poi si ricarica, si spara e così via.

Gravi perdite nel treno. Gl’italiani sparano senza posa. Oggi ho chiesto di Hem. É considerato disperso; ma lo si ritiene morto. Peccato! Un ufficiale valoroso, un uomo di cuore. Non si sarebbe detto che era un ungherese, e per giunta un ufficiale di carriera.

Pace alle sue ceneri!!

Per mare si va splendidamente. Un sottomarino ha silurato ed affondato la dreadnaugt (dragamine) “Conte di Cavour”. Così la trinitá italiana si trova unita ancora  in fondo al mare: “Re d’Italia”, “Garibaldi”, “Conte di Cavour”.

Versavia caduta, Lublino presa. Banchetto alle 8 e mezza. Non ci vado. Il cantiere di Monfalcone in fiamme. Meravigliosa scena di guerra!

Pare che gli italiani sgombrano le loro posizioni. Frick dice che allo Stato Maggiore corre voce che essi preparino le trincee per coprire la ritirata.

Nell’ordine del giorno firmato dall’Arciduca Giuseppe é che un altro aeroplano nemico é stato costretto ad atterrare nelle nostre posizioni. Forse che urtó contro le sue corna…? Voglio farmi raccontare da Molmar la storia dello schiaffo al capitano degli Ussari che lo ave reso come un volgare “cocu”.

7 agosto – La “Conte di Cavour” si é trasformata in un sommergibile. Forse non é vero neanche questo, per quanto la Marina Italiana non valga niente. L’Ammiraglio capo é un alpinista!

Oggi per la prima volta ho visto che gli arei italiani sono di rosso di rosso, bianco e verde. Si dice che questa é ormai storia antica. Sará! Io non l’ho notato fino ad oggi. Cose simili mi sono del tutto indifferenti.

Piangerei dai dolori di testa, mi pare che la testa mi voglia scoppiare. Chi ha fatto la danza della morte nelle trincee e non é stato travolto, non ha che una sola via aperta innanzi a sé: la via del manicomio.

6 agosto – L’Ida puzza come un caprone ed ha le croste ai ginocchi. Ho schiacciato 18 cimici nei pagliericci.

Le contadine non guardano neppure i Drachen. Se fossero signorine di buona famiglia, verrebbero meno dal desiderio.

9 agosto – Il mio attendente, il povero Zueke é morto (cancrena). Tanto non era un più uomo. E anch’io mi sento finito! Non riesco ancora a mangiare. Tutto ha sapore di cervello umano. Schifoso!

Il Maggiore Medico é stato ancora da me. Un uomo ruvido ma benevole. Che se io sia pazzo sul serio? Soltanto che mi fa delle domande Curiose. Forse perché incomincio  credere alla vittoria finale degli Imperi Centrali.

La Russia ha tradito lo Slavismo, l’Inghilterra ha tradito il mondo, La Francia si é palesata più miserabile ancora di quanto si potesse supporre, e l’Italia si é lasciata sfuggire il momento buono. La Serbia é ormai daccordo con l’Austria per ottenere l’Albania settentrionale.

11 agosto – Ieri ho avuto la febbre, ed ho veneggiato tutta il giorno, ed oggi mi sento molto debole.

Sono sceso soltanto adesso per godermi il tramonto. I cipressi del cortile accanto sono tutti di porpora d’oro. Sono triste. Qualche cosa di dura come l’acciaio ha urtato contro la mia anima, e l’ha ridotta in frantumi.

Io siedi nell’aia, e la villana vecchia e magra scende ad attingere l’acqua e la versa nella vasca di pietra, perché i buoi ne bevano. Essa é come la guerra, che toglie gli uomini alle loro case e li versa nella trincea, perché la morte li beve.

 

 

…..”Dio punisca l’Inghilterra e la fredifraga Italia”…..

Se aspettiamo l’aiuto di Dio stiamo ferschi…

 

Maggior Generale De Nagy a Terwis. Se resta parecchio tempo fuori di casa….sará papá un’altra volta….

 

Ore 6 e mezzo. Pasta coi piccioni.

 

 

In una pagina si legge il seguente prontuario di lingua iataliana:

“Cara signorina, voi siete bella e mi piacete molto.” oppure

“Signorina,voi mi siete molto simpatica e discorrerei un pochino con voi.”

“In dove abitate? La vostra signora madre é sempre in casa?” oppure

“Quando vi potrei trovare sola soletta, per farvi un pochino di gradevole compagnia.”

“Voi avete occhi come stelle.”

 

NOTE SPARSE

 

Non v’é al mondo nulla di più stupido della guerra mondiale, giacché ognuno si troverá al punto di prima e dovrá pagare da solo e suoi debiti.

Io credo che dopo questa guerra molto teste coronate perderanno la corona se non la…testa! Luigi XVI aspetto con ansia i nuovi colleghi, e se avesse la testa riderebbe.

Non sono ancora in chiaro se l’ Alfiere Manfruzzato sia di sentimanti Austriaci o Italiani. Non entra in discorsi politici. Ho sentito dire che combatte senza entusiasmo. Ed io pure “moi aussi. Je m’en foute!”

É sciocco parlare di combattere. Stare rannicchiato nelle trincee ed aspettare una granata italiana che deve farci a pezzi non é combattere.

Se si sente Italiano deve essere tremendo quello che si sente dentro di lui, quando si trova in trincea.

Si dice che al di lá, dai “verdi”, ci sia mezzo Trieste nelle trincee; se fosse stato patriota, avrebbe dovuto scappare da tempo. Ad ogni modo vorrei guardare dentro la sua anima.

Non serve che i nostri ufficaiali si vestano di color di fieno, perché traspare giá abbastanza il fieno che hanno nella testa.

Ció sia detto degli ufficiale di carriare.

Io credo che per molte fanciulle la guerra é la benvenuta. Sono state violate, ció che fa sempre piacere ad una femmina, ed ora possono godersi la vita ed hanno mille scuse per non farsi chiamare prostitute.

 

*  Refosco e’ un vitigno autoctono diffuso in tutto il territorio friulano. Viene coltivato anche nelle campagne pianeggianti che circondano le vestigia dell’antica citta’ d’Aquileia. Da questo si ottiene un corposo vino rosso (informazione datami da Mario Besi)

** Madame Récamier. Bellissima dama del periodo napoleonico, la cui mitica

bellezza fu immortalata da David.

 

***dalla ricerche che ho fatto ho scoperto che il fucile Werndl era un vecchio modello prodotto nel 1873. Non aveva caricatore, una cartuccia alla volta. Il nostro Carcano ’91 lungo in confronto era un’arma modernissima.

 

 

9 nov. 2008, Marblehead, MA USA                                                                                         I  vostri commenti e correzioni a possibili inesattezze, scherzi della memoria, saranno apprezzati. Assieme possiamo ricostruire questo grande mosaico borghese. Mi raccomando, scrivete! Fausto Braganti      

ftbraganti@verizon.net

 

 

152 M’Arcordo… del libro “M’Arcordo…storie Borghesi” 25 aprile 2015.

aprile 25, 2017

Luisa Taba, la prima sortita di Fausto Braganti e’ diventata un manifesto

Sono passati tre anni; quel sabato pomeriggio fu per me memorabile. Infatti non voglio essere tacciato di falsa modestia, ne sono fiero ed orgoglioso. Quella fu per me la grande occasione per poter dire a tutti i Borghesi:

“È vero, me ne sono andato via; ma non mi son dimenticato di voi, il Borgo siete voi.”

Quello che sette anni prima era iniziato per caso scrivendo una serie di ricordi si era materializzato in un libro. Nel presentarlo nella grande sala consiliare del Comune di Sansepolcro avevo raggiunto un obbiettivo che non sapevo neanche esistesse.

M’Arcordo… con soddisfazione quella sala piena di amici vecchi e nuovi, che son venuti anche da lontano per condividere quel momento con me. Vederli sorridere, esser riuscito a farli ridere, mi ha dato una gran soddisfazione. Ringrazio tutti per questa grande manifestazione d’affetto.

Quello che avevo scritto, circa 800 pagine, non era un libro, era solo una serie di articoli. C’erano molti M’Arcordo… che non erano pertinenti a Sansepolcro, ma ad altre esperienze di vita in giro per il mondo. Eliminarli questi ultimi fu semplice; ma poi scegliere gli altri, metterli in qualche ordine logico e ridurre il tutto alle dimensioni d’un libro normale non fu facile. Ci sono stati momenti di scoraggiamento, un gran voglia di mandare tutto a quel paese. L’aiuto di Anna Di Varoli che mi ha aiutato a selezionare e correggere è stato fondamentale per darmi disciplina e portare a termine l’impresa. Grazie!

Avevo sin dall’inizio l’idea che la presentazione doveva esser fatta nella sala del biliardo del palazzo Marini (delle Laudi, Comune di Sansepolcro). Quella era stata la casa, si fa per dire, dove ero nato. Per me aveva un significato particolare, come se sperassi che i fantasmi dei miei si aggirassero ancora per le sale, che fossero venuti ad ascoltarmi. Ci tenevo che il sindaco, Daniela Frullani, ci fosse, sia nella sua veste ufficiale e sia come amica di famiglia. Ringrazio Daniela mi concesse la sala, e proprio quel giorno era per lei un anniversario importante. Grazie.

Libero Alberti ha continuato la tradizione d’amicizia che da sempre ha legato le nostre famiglie. Io abito lontano e ogni qual volta abbia avuto bisogno d’aiuto si è prestato senza esitazione, e anche con il libro M’Arcordo… è stato di grande aiuto. Grazie.

 

Pascale Queval, mia moglie, era venuta con me ed era particolarmente contenta e soddisfatta. Lei mi aveva seguito in questa avventura sin dall’inizio. Erano stati i suoi incoraggiamenti che mi avevano stimolato a mettere in ordine i M’Arcordo… e convincermi che era possibile tirarne fuori un libro. Lei è la più esperta francese di storia del Borgo. È stata lei che ha filmato i primi venti minuti della presentazione con il telefonino. Merci.  

Amici, Borghesi, vi voglio bene.  

Fausto Braganti 

ftbraganti@verizon.net 

Ripubblicato Marblehead, 25 Aprile 2018  

Il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro.

 

Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.

Presentazione del libro “M’Arcordo…”

 

 

 

 

 

151 Non M’Arcordo… del bisnonno Valentino

giugno 24, 2016
Valentino Laurenzi (1841-1932)

Valentino Laurenzi (1841-1932)

Diciamo che questo è un M’Arcordo… di famiglia, da scrivere assieme. Conto su tutti voi per ricostruire, per quanto sia possibile, la figura del bisnonno Valentino Laurenzi.

Aiutatemi!

Tanto per cominciare, ma come si chiamava? Valentino o Valente?

Nei due documenti che io conosco viene indicato come Valentino nell’attestato del medaglia commemorativa per aver combattuto per l’indipendenza ed unità d’Italia e Valente nel censimento del 1881.

L’unica persona che mi abbia parlato di lui è stato mio padre, Renato Braganti e di solito lo chiamava “il nonno Valentino” anche se in certe storie in cui raccontava di possibili conversazione spesso lo faceva chiamare “Sor Valente”. Questo dava al nonno un alone di rispettabilità, di signore di campagna.

La veridicità di quello che scrivo deve esser valutata attentamente, ovvero sono le storie che mio padre mi raccontava e lui aveva una grande ammirazione per suo nonno, e poi cosa ricordo io di queste storie dopo più di cinquanta dalla morte di mio padre?

Credo che la vita d’ognuno di noi non sia quella vissuta, ma quella che si ricorda e come si ricorda per raccontarla. Immaginate cosa può succedere dopo più di cent’anni e quattro generazioni.

Farò del mio meglio.

Come conferma il documento del censimento del 1881, Laurenzi Valente era nato nel 1841 a Monte Santa Maria ed è figlio di Anton Maria, il “fu” indica che il padre era già morto. Direi che la scelta del nome Anton Maria dovrebbe indicare una famiglia benestante, di certo molto cattolica e possibilmente con aspirazioni aristocratiche. Monte Santa Maria, il vecchio feudo marchesato dei Bourbon dal Monte, dopo il Congresso di Vienna, era entrato a far parte del Gran Ducato di Toscana. Quindi il bisnonno Valente nacque toscano. Anche se non sappiamo la data di nascita di Anton Maria non è da escludere che nacque francese, durante l’occupazione napoleonica e l’incorporazione della Toscana nell’Impero Francese.

Mio padre diceva che suo nonno aveva fatto “tante guerre”. Ne abbiamo la prova con la medaglia che gli fu concessa. Il babbo diceva anche che era stato molto nel meridione, è probabile che abbia partecipato alle campagne contro il brigantaggio.

Quanto segue è quello che suppongo. Nel 1859, Seconda Guerra d’Indipendenza, segna la fine del Granducato di Toscana che si unisce al Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele II. Nel 1860 Garibaldi e i suoi Mille sbarcano in Sicilia. A settembre il generale Manfredo Fanti dell’esercito sabaudo si posiziona a Sansepolcro, organizzando un corpo di spedizione per poi iniziare la marcia verso Città di Castello e la susseguente conquista dell’Umbria, al papa rimane solo Roma e il Lazio. Direi che probabilmente il diciannovenne Valente, fervente patriota, come poi dimostrò nella vita, si unì al nuovo esercito. Ci rimase per almeno sei anni, fino alla III Guerra d’Indipendenza del 1866.

Mio padre diceva che il nonno fu ferito ad una coscia e che il chirurgo aveva asportato un bel pezzo della coscia e del gluteo. Mio padre aggiungeva che qualche volta lo aveva preso in giro, ma sempre dandogli del “voi”:

“Ma nonno, se gli austriaci vi hanno ferito nel sedere vuol dire che voi fuggivi.”

Al che il nonno si arrabbiava, protestando che era stato colpito mentre, strusciando per terra, cercava di tirare entro un fosso un altro commilitone ferito.

censimento del 1881

censimento del 1881

Nella scheda del censimento sotto la voce “professione” viene indicato “Rivenditore di Sali e Tabacchi”. Questa è la prova ufficiale del riconoscimento della sua ferita, infatti gli appalti venivano spesso concessi ai feriti, agli invalidi di guerra. Era una maniera di ricompensarli per il loro sacrificio. Ho scoperto poi che questa tradizione esisteva anche in Francia, mi sembrerebbe una tipica idea napoleonica.

attestato per la medaglia commemorativa 1867

attestato per la medaglia commemorativa 1867

Nell’attestato della medaglia, emesso a Bergamo nel 1867, non viene fatto alcun riferimento al fatto che fosse un invalido di guerra e che riceveva anche una pensione. Mi domando se negli archivi militari, sapendo il suo numero di matricola, si potrebbe ancora scoprire di più.

In questa mia ricostruzioni ci sono dei vuoti, meglio dei misteri. Mio padre diceva sempre che la famiglia Laurenzi era stata ricca, avevano lo stemma con un fronda di lauro (mi pare, lo ricordo nella casa dello zio Beppe ad Anghiari). Avevano avuto prelati in famiglia, forse addirittura un vescovo di Gubbio che morì ingloriosamente cadendo dal letto (?). A conferma di questo ho un dizionario Italiano-Latino del 1792, fra i vari nomi di proprietari compare anche quello Laurenzi. Sempre mio padre diceva che quello era l’unico oggetto che veniva dalla casa del nonno a Fighille. Ma cosa successe alle varie proprietà? Il babbo diceva anche che il nonno se l’era mangiate tutte (?). Non era stato un buon amministratore.

Un altro mistero, ma perché Valente lasciò l’appalto di Sale e Tabacchi del Monte per andare al Sasso a fare il casellante della nuova ferrovia? Si raccontava che all’alba mandava la figlia Cesira, la più grande, seguita da Vittoria più piccola, a fare l’ispezione delle rotaie. Mia nonna Vittoria aveva il terrore d’entrare nelle gallerie buie, avevano solo una lanterna.

Nel foglio del censimento dopo il nome di Valente (1841, di Anton Maria) segue quello della moglie Maddalena (1842, di Pietro Ligi). Poi sono indicati i figli: Cesira (1870, sposò un Bellocci di Siena), Vittoria (1875, mia nonna paterna), Dante (1879, morirà accoltellato nel 1900), Giuseppe (1880, abitò ad Anghiari), infine la suocera Marianna Batacchi (1816, San Giustino, figlia di Batacchi Ubaldo, poi sposata con Pietro Ligi). Credo che ci sia stata un’altra figlia Rosa, nata dopo il censimento, che, da sposata, andò ad abitare a Roma.

orecchini di Marianna Ligi

orecchini di Marianna Ligi

La persona più vecchia in questo documento è la bis-bis nonna Marianna, suo padre Ubaldo di certo era nato verso il 1790 o prima. Mia cugina, Silvana Braganti (1927-2014), anni fa regalò a mia figlia Tanya un paio di orecchini antichi dicendole che li aveva ricevuti in dono dalla nonna Vittoria (Laurenzi), che le aveva detto che lei, a sua volta, li aveva ricevuti in dono dalla propria nonna. Quindi questi orecchini dovrebbero essere stati di Marianna Batacchi.

orecchini di Vittoria Laurenzi

orecchini di Vittoria Laurenzi

A proposito d’orecchini antichi ci sono anche quelli d’oro e corallo sfaccettato di mia nonna Vittoria. Non so nulla eccetto che quando stava per morire chiamò mia madre, la nuora, e glieli donò chiedendole perdono per essere stata cattiva con lei. Credo che siano molto tradizionale e tipici dell’ottocento. Una volta ne vidi un paio in un negozio d’antiquariato, su Ponte Vecchio a Firenze, ed avevano un’etichetta con la semplice dicitura “orecchini toscani.”

Di certo fui molto sorpreso quando notai che Scarlett O’Hara (l’attrice Vivien Leigh) aveva un simile paio d’orecchini nel film “Via col Vento”. Di certo mia madre, se l’avesse visti, ne sarebbe stata particolarmente fiera.

dal film "Via col Vento"

dal film “Via col Vento”

Dopo la divagazione degli orecchini ritorniamo al bisnonno Valentino. Le storie raccontate erano varie, ma di certo quella che faceva effetto era quella:

“Il nonno Valentino prese quattro mogli e la quinta donna si rifiutò di sposarlo perché lui portava male, le mogli erano proni a morire.”

Aveva ragione, lei andò al suo funerale. Non so nulla delle tre mogli che seguirono Maddalena Ligi, so solo che rimase vedovo la prima volta quando aveva più di sessant’anni. Si diede subito da fare. Mio padre diceva che l’ultima donna era stata una vecchia fiamma di Valentino ed andò ad abitare con lui nella casa a Fighille. Tutte e due avevano più di ottant’anni e ufficialmente la donna era una badante, ma i commenti dei pettegoli dicevano ben altro. Mia nonna Vittoria, simbolo del perbenismo borghese, non era contenta del comportamento del padre galletto.

Il bisnonno Valentino, nonostante le tradizioni religiose della famiglia, non andava d’accorto coi preti, o meglio col papa. Per la sua generazione papa Poi IX rappresentava l’ostacolo all’unità nazionale, era il nemico della Patria. La moglie Maddalena, nella mia casa in Francia ho la sua sedia inginocchiatoio, era una donna pia e dopo tante insistenze convinse il marito ad andare in chiesa, confessarsi per poi fare la comunione. Mio padre aggiungeva che il nonno era da trent’anni o forse più che non si confessava. Alla fine d’una lunga lista di peccati il prete cominciò la sua lista si penitenze, tanti rosari alla Madonna, altri al Sacro Cuore di Gesù e così via. Si dice che il bisnonno impaziente si alzò dal confessionale, scostò la tendina che celava il prete e gli disse:

“Prete, io lavoro, dilli te tutti ‘sti rosari, te non hai un cazzo da fare tutto il giorno!”

E se ne andò.

Nella cronaca familiare non mi è stato tramandato cosa disse la moglie Maddalena.

Un’altra storia, sempre nel tema dei suoi rapporti coi preti.

Dopo la morte della quarta moglie, come ho già detto, il bisnonno Valentino ritrovò una sua vecchia amante di gioventù e l’invitò a vivere con lui nella sua casa a Fighille. Ambedue erano sull’ottantina. Mia nonna Vittoria, si dice, era furiosa ed imbarazzata per il comportamento del padre.

Nei giorni che precedevano la Pasqua la donna, purtroppo non ne conosco il nome, diede una gran pulita alla casa in attesa della benedizione pasquale. Il bisnonno Valentino seduto sul davanti della porta di casa vide il prete col chierichetto che procedeva lungo la strada andando di casa in casa. Quando questi arrivò davanti alla sua passò oltre senza entrare. Quando il bisnonno lo vide uscire dalla casa successiva gli chiese:

“Prete, ma perché non sei venuto a benedire la nostra casa?”

“Sor Valente, mi dispiace ma non posso farlo. La vostra casa non è benedetta dal sacramento del matrimonio.”

Al che rispose:

“Ma quanto sei bischero prete! Siamo due vecchi che si fanno compagnia. Sai cosa ci devi fare con la tua acqua santa? Lavatici i coglioni, se ce l’hai!”

Ma sarà vera?

Ci sono altre storie, ma per oggi basta così.

Raccontatemi le vostre, le aggiungerò a questo scavo d’archeologia familiare.

la nonna Vittoria e' arrivata a Tuchan.

la nonna Vittoria e’ arrivata a Tuchan.

La nonna Vittoria Laurenzi, ma chi l’avrebbe mai detto, è arrivata fino a Tuchan nel sudest della Francia, non lontano da Perpignan, dove ho una casa. Quello ha destra è il nonno Barbino (Luigi Braganti). Anche lui era originario del Monte Santa Maria (per l’esattezza, popolo di Trevine, frazione Gioiello). Questa era solo una coincidenza, i due si incontrarono ad una festa da ballo a Santa Fiora (Sansepolcro) probabilmente nel 1900. Si sposarono subito ed andarono ad abitare a San Leo. Quella che scrive è mia moglie Pascale.

Questa è la sedia della bisnonna Maddalena Ligi, la prima moglie del bisnonno Valentino Laurenzi, che fu seguita da altre tre più una che non sposò: ma forse fu proprio lei che non volle il matrimonio, non voleva essere la quinta moglie a morire. Le lettere ML marcate sul legno sono le sue iniziali. Maddalena in chiesa ci andava, non era come il marito. Alla sedia originale era stata fatta una aggiunta nel di dietro che fungeva da inginocchiatoio. Mia nonna Vittoria Laurenzi l’aveva ereditata da sua madre e la teneva nel duomo di Sansepolcro. Quella era la sua sedia inginocchiatoio personale e ne era molto fiera. Mia madre, alla sua morte, ne fu l’erede. Un giorno tutte queste sedie private sparirono dalla navata del duomo, l’arciprete non le voleva in giro, tutte differenti e mai in fila. Mia madre andò subito a cercarla e la ritrovò nel dietro fella sagrestia, mi disse che ce n’erano molte tutte accatastate, Lei la riconobbe subito per quelle due lettere. Il prete non gliela voleva restituire dicendo che appartenevano al duomo. Mia madre non si fece intimidire la prese con forza e se la portò via. Avrei voluto vedere mia madre che usciva dal duomo con una sedia. La portò poi da un falegname e fece togliere quella aggiunta posticcia e ritornò ad essere una sedia normale. Adesso si trova nella mia casa a Tuchan in Francia.

la sedia della bisnonna Maddalna

la sedia della bisnonna Maddalena

Commento di Mauro Laurenzi, figlio del mio biscugino Valentino, custode del mitico nome:

“Orbene Sor Fausto….il Babbo ha letto con molto piacere il M’arcordo familiare e confermato, e riso, su molti dettagli. La sua fonte era Maddalena Laurenzi, figlia di Giuseppe e sorella di Dante, mio nonno e della Bianca Luzzi. Gli Acciarini purtroppo non ci sono più in quanto dopo la morte dell’unico figlio Sergio, lo Zio Mario, figlio di Rosa, è morto di dispiacere dopo poco. Tornando alle sue memorie c’è da premettere che a parte i ricordi infantili, una volta rimasto orfano del papà nel 42 (ucciso da una sentinella indiana a Bophal), fu messo in collegio a Collegio a Collestrada (PG). Il resto arriva dalla Zia Nena che è colei che ha custodito gelosamente i pochi cimeli di famiglia seppellendoli durante la guerra: – lo stemma araldico; – il diploma e la medaglia commemorativa; – il quadro 80×60 tratto da una foto a carboncino; – un certo numero di posate in ottone con manico d’osso. Qui arriva una piccola discrepanza, relativa alla rivendita di sali & tabacchi. Le posate, secondo la Zia Nena, provenivano da un’osteria di proprietà del Sor Valente a Monte Santa Maria. Qui il Babbo ritiene fosse qualcosa di simile a quella dei Luzzi in Viaio. Al riguardo, personalmente rammento che durante una visita a Monte Santa Maria intorno al 78, la Zia Nena ce la fece vedere, era il un vicoletto in discesa sotto ad una arcata, e sull’insegna dipinta sul cemento si intravvedeva ancora la scritta hosteria. Appena possibile farò una foto delle posate, particolari le forchette a tre punte. Per la ricerca militare, lavorando allo Stato Maggiore Difesa, sto cercando di sapere dove sono conservati, se ancora disponibili, gli atti dell’esercito sabaudo. Infine, il Babbo non sa perché diventò ferroviere presso la appennino centrale umbra ma crede che, vista la nomea di tombeur de femme che girava sempre in calesse (ferrari dell’epoca), si sia giocato l’osteria ed il resto ma non lo può confermare.”

Fausto Braganti

ftbraganti@verizon.net

 

Marblehead, 24 giugno 2016

 

Ho pubblicato (è già passato un anno) il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Cuj_L36JYeQ

 

Il mio blog fotografico https://1dailyphoto.wordpress.com/

E questo è il sito dedicato al http://il-dottore-fotografo-alla-grande-guerra.com/

 

 

 

150b M’Arcordo… di Muhammad Ali

giugno 4, 2016

italiano

The Beatles and Muhammad Ali

The Beatles and Muhammad Ali

I have no pictures with Muhammad Ali, though I am sure that somewhere in a drawer of a fan or in a newspaper’s archive I could find one. In order to remember him I borrowed this famous one of him knocking down the Beatles.

I’ve never been interested in boxing, my father was.

For a short time, in the fall of 1980, I worked as a manager for Alitalia in Philadelphia. I stayed in an old hotel, I think it was the Biltmore, convenient, classic, only a block or two from the office.

One night I was meeting a friend for dinner and when she telephoned me that she was waiting for me in the lobby, I was ready. I called the elevator. The door finally opened and I found myself in front of an elegant gentleman, jacket and tie. He was tall, imposing. I smiled and he invited me to enter with a simple gesture.

It was he: Muhammad Ali. He was big. Considering my stature, I really watched him from the bottom up. We continued our descent, no conversation, only another smile when the elevator stopped, we had arrived. We shacked hands

When the door opened, I was hit by a barrage of photo flashes. In the lobby a crowd of journalists and fans had gathered. They were not waiting for me.

My friend, who had witnessed such unexpected triumphant arrival of mine, teased me, she was happy to go to dinner with somebody famous like me.

Nobody wanted my autograph.

 

Muhammad is dead, this is my way to remember him.

  

Fausto Braganti

ftbraganti@verizon.net 

Marblehead, June 4th, 2016

 Ho pubblicato (è già passato un anno) il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015. 

https://www.youtube.com/watch?v=Cuj_L36JYeQ 

Il mio blog fotografico https://1dailyphoto.wordpress.com/

E questo è il sito dedicato al http://il-dottore-fotografo-alla-grande-guerra.com/

 

 

 

150a M’Arcordo… di Muhammad Ali

giugno 4, 2016

in English

The Beatles and Muhammad Ali

The Beatles and Muhammad Ali

Non ho nessuna mia fotografia con Muhammad Ali, anche se son certo che da qualche parte, in un cassetto d’un tifoso o nell’archivio di qualche giornale, ci deve essere. Per ricordarlo ho preso in prestito questa famosa immagine con i Beatles,

Non sono mai stato interessato al pugilato, mio padre lo era.

Per un breve periodo, autunno del 1980, ho lavorato come manager Alitalia di Philadelphia. Ero sistemato in un vecchio hotel, mi pare fosse il Biltmore, comodo, ad uno due isolati dall’ufficio.

Una sera avevo un appuntamento per cena e quando l’amica mi telefonò che era arrivata e mi aspettava nell’atrio ero già pronto. Mi avviai all’ascensore ed attesi. Finalmente la porta si apri e mi trovai davanti solo un signore elegante, giacca, cravatta ed alto, imponente. Mi sorrise, mi fece un semplice gesto invitandomi ad entrare.

Era lui, Muhammad Ali. Mi parve gigantesco, considerando la mia statura, lo guardavo davvero dal basso verso l’alto.

Continuammo la discesa, nessuna conversazione, ancora solo un sorriso quando l’ascensore si fermò, eravamo arrivati. Gli tesi la mano e lui me la strinse.

Quando la porta si aprì fui investito da un bombardamento di lampi fotografici. Nell’atrio s’era radunata una folla di giornalisti e di tifosi. Non si aspettavano che ci fossi anch’io.

La mia amica, che era stata testimone di questo mio inaspettato arrivo trionfale, mi prese poi in giro dicendomi che era contenta d’uscire con uno famoso come me, nessuno mi chiese l’autografo.

Muhammad è morto, lo voglio ricordare cosi.   

Fausto Braganti

ftbraganti@verizon.net 

Marblehead, 4 giugno. 2016 

Ho pubblicato (è già passato un anno) il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.

 https://www.youtube.com/watch?v=Cuj_L36JYeQ

 Il mio blog fotografico https://1dailyphoto.wordpress.com/

E questo è il sito dedicato al http://il-dottore-fotografo-alla-grande-guerra.com/

 

 

 

149 Non M’Arcordo… dell’ingegnere Vincenzo Benini.

Maggio 9, 2016

PDF: le Origini di Sansepolcro – Vincenzo Benini

le pagine che sembrano mancanti nella numerazione sono quelle bianche

Non m’arcordo del ing. Benini per la semplice ragione che non l’ho mai incontrato e non sapevo nulla di lui fin quando un giorno entrai nella libreria di Enrico Polcri.

Questa faceva parte delle mie visite obbligatorie, direi ritualistiche, d’ogni mia visita a Sansepolcro. La prima era Paolo Massi, che dal suo strategico angolo controllava tutto e tutti, poi, magari seguendo come un segugio l’aroma del caffe, andavo a trovare Dorieno, che immancabilmente mi offriva un espresso e se anche ogni volta cercovo, invano, di pagarlo lui mi diceva:

“Ma ‘n fere ‘l saleme, tu miqui si de chesa!”

Dopo veniva la visita alla libreria d’Enrico, allora era un’altra cosa, che mi informava di tutte le ultime pubblicazioni. E proprio durante una di queste visite mi diede questa piccola dissertazione sulle origini di Sansepolcro, che offre in poche pagine un’interessante ed acuta proposta, che di certo dovrebbe esser sviluppata.

Non so nulla del ing. Benini eccetto il fatto che aveva sposato una Giovagnoli (Giuliana?) ed in tal modo era arrivato a Sansepolcro. Ho visto una semplice lapide col suo nome al cimitero.

Mi son permesso, e non ho chiesto il permesso a nessuno, di ricopiare il trattatello (PDF) per permettere ai volenterosi che non lo conoscono di leggerlo, son solo poche pagine, ma vi assicuro merita d’esser scoperto.

Voglio solo sperare che l’ingegnere sarebbe stato contento di questa mia iniziativa.

Infine, prego quelli che l’hanno conosciuto di dirmi di lui, certo una persona degna d’esser ricordata.

Fausto Braganti

ftbraganti@verizon.net 

Marblehead, 9 maggio 2016

PS: Ringrazio il sig. Valter Baccellini di San Giustino per questo suo contributo. Valter ha di certo ricoperto una grande lacuna.

<< Sig. Braganti ho letto nel suo blog l’argomento n.149 sulle origini di Sansepolcro e la pubblicazione del Dr. Vincenzo Benini del quale chiede notizie.

Intanto le voglio precisare che io e lei ci scambiammo una email circa tre anni fa quando mi stavo interessando alla famiglia Cavazza, residente in Via Aggiunti nel palazzo Cavazza-Colacchioni, ed  in particolare alla vita della Sig.ra Miss. Clein.

Ma torniamo al Dr. Benini, io l’ho incontrato varie volte presso gli uffici del gruppo Fattoria Autonoma Tabacchi Soc. Coop. / Pro Agri Soc. Coop. in Città di Castello dove io lavoro, come responsabile di un CAA, Centro di Assistenza Agricola, mi occupo di normative comunitarie settore agricolo, ed in particolare ho il compito di redigere e presentare le domande di contributo per le aziende agricole che mi hanno dato mandato.

Il Dr. Benini o forse meglio chiamarlo Ing., credo che fosse ingegnere, veniva nei nostri uffici perché probabilmente socio della Pro Agri, la Fattoria ha solo soci che coltivano Tabacco, e veniva come tutti i soci a chiedere informazioni e servizi di vario genere quali richiesta acquisto di sementi, concimi, fitofarmaci ecc. e lavorazioni, per la propria azienda agricola o meglio quella della moglie, giustamente come dice lei Giuliana Giovagnoli.

Io lo conobbi personalmente presso i nostri uffici nell’Ottobre del 2006, sono certo di queste data perchè ho ancora dei documenti che lo riguardano, in quanto con il varo della nuova Politica Agricola Comunitaria di allora, doveva risolvere un problema risultato poi abbastanza complesso, relativo all’affitto della terra di cui era usufruttuaria la moglie e proprietari i tre figli ed i titoli assegnati da AGEA che erano invece i suoi personali.

Io mi interessai al caso scrivendo anche ad un consulente del mio CAA a livello nazionale e gli risolsi il problema, scrivendogli una bozza del contratto di affitto che lui poi si fece redigere dal suo sindacato agricolo, che credo fosse la Confagricoltura di Arezzo, sede di Sansepolcro.

Andai a trovarlo a casa sua un pomeriggio, dove conobbbi sua moglie ed una delle due figlie.

Poi non l’ho vidi più e qualche anno dopo seppi che era deceduto, di preciso il 08-11-2007.

I miei ricordi dell’Ing. Benini finiscono qui, ma la cosa più importante e curiosa è quella che mi confidò un giorno in uno dei nostri incontri…….. lui era stato il o comunque uno dei progettisti dell’Aeroporto di Fiumicino, me lo disse forse perché gli chiesi qualche cosa del suo lavoro passato, ma non ricordo.

Uomo molto gentile e fine nei modi e nel parlare, segni particolari altezza intorno a m.1,80, corporatura robusta, asciutta, capelli rossastri, era nato a Firenze  il 16-12-1926, deceduto il 08-11-2007, coniugato con Giovagnoli  Giuliana nata a Sansepolcro il  27-11-1928 deceduta il 29-07-2015, aveva avuto tre figli, Francesca del 1956, Alessandra del 1961, Massimiliano del 1958.

Tutte e tre i figli abitavano e credo tutt’ora abitano a Roma >>.

 

Ho pubblicato (è già passato un anno) il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015. 

https://www.youtube.com/watch?v=Cuj_L36JYeQ

 Il mio blog fotografico https://1dailyphoto.wordpress.com/

E questo è il sito dedicato al http://il-dottore-fotografo-alla-grande-guerra.com/

PS: contributo di Walter

 

 

148 M’Arcordo… di Giovanni Buitoni e del corpo di spedizione Borghese ad Hackensack N.J.

febbraio 10, 2016
Luisa Spagnoli e Giovanni Buitoni

Luisa Spagnoli e Giovanni Buitoni

La settimana scorsa in Italia il teleromanzo di Luisa Spagnoli e Giovanni Buitoni ha avuto un enorme successo, purtroppo non l’ho ancora visto. Sono andato nel sito RAI ed ho ricevuto una laconica comunicazione che mi informava che per ragione di copyright non mi era permesso visionarlo nel mio paese di residenza, USA. Sarà per la prossima volta che torno in Italia. Forse è meglio non averlo visto, così non sarò influenzato in quello che dirò. Più d’una volta avevo sentito parlare in famiglia di questa storia d’amore proibita, ma sempre in gran segreto, ed io attento ascoltavo, mi sembrava di far parte d’un complotto carbonaro. E pensare che poi tanti anni dopo i loro abbracci appassionati son finiti in televisione, ma chi l’avrebbe mai detto.

Debbo aggiungere che forse quello che avevo sentito dire non era corretto e mi avevano portato a conclusioni non molto edificanti. Infatti io credevo che la differenza d’età fosse ben più grande, forse vent’anni se non addirittura trenta e non era stata Luisa ad ammaliare il giovane pivello ma piuttosto il contrario. Era stato lui che usando come strumenti la seduzione e poi l’amore voleva prender controllo dell’azienda. Penso che la mia fu una percezione del tutto sballata basata su quell’errore di differenza d’età che ho scoperto in questi gioeni. In fondo 13 anni non sono molti ed una donna di 32 di certo può essere al massimo della sua gloria, aggiungendo alla sua bellezza consolidata una buona dose di conoscenza in materia. Sa quello che vuole e non ha incertezze, non perde tempo nascondendosi dietro falsi pudori e se ci fossero sarebbero solo strumenti di giochi d’amore a breve termine. Quindi anch’io mi debbo adattare al revisionismo storico.

 

A proposito della Buitoni in New Jersey scrissi un M’Arcordo… circa tre anni fa con l’intenzione di poi scriverne il seguito. E poi non l’ho fatto fino, ho continuato a rimandare fino ad oggi. Avevo bisogno che Giovanni e Luisa mi dessero una spinta.

https://biturgus.com/2012/10/26/109g-marcordo-la-buitoni-ad-hackensuck-nj/

In questo io racconto del mio trasferimento da Boston in New Jersey nel 1990 e delle memorie dello stabilimento Buitoni ad Hackensack e della presenza di Giovanni Buitoni che anche da morto si faceva sentire nella memoria di tanti. A seguito del programma televisivo il mio racconto, nonostante avessi lasciato fuori Luisa per discrezione, ha ritrovato un grande interesse fra tanti curiosi che dopo aver visto il teleromanzo volevano saperne di più e sono andati nell’internet. Nel giro di tre giorni il mio blog ha avuto quasi 1500 visite, forse son rimasti delusi sperando di trovare dettagli molto più piccanti.

Ricapitolando: Giovanni per ragioni politiche decise che era meglio cambiare aria e partì per New York, eravamo alcuni anni prima della guerra (1934-35), con l’intenzione di promuovere i prodotti Perugina. Fu un raro tipo, direi unico, di emigrante che di certo viaggiò in prima classe, e la sera si metteva lo smoking per cenare al tavolo del comandante. A quel tempo c’era un prestigioso negozio di prodotti Perugina in Fifth Avenue. Non so se ci fosse anche stato uno con i prodotti di moda “Luisa Spagnoli”, quelli morbidi di lana d’angora che la cugina Silvana di Perugia amava tanto.

Giovanni e Letizia Buitoni

Giovanni e Letizia Buitoni

So anche che fu coinvolto nell’allestimento del padiglione italiano alla World Fair del 1939, un altro evento di gran successo.

Non so quando si sposò con Donna Letizia. La coppia elegante e sofisticata entrò nel giro dell’alta società di New York. So anche che fu membro del circolo “Tiro a Segno” in MacDougal St. (Greenwich Village). Questo era, e lo è ancora, un club molto esclusivo e vanta d’essere il più vecchio (1888) e prestigioso dei circoli italiani. Nel 1996 (più o meno) fui invitato ad un pranzo d’affari da uno dei membri, un anziano operatore turistico che vantava più di mezzo secolo nel mondo dei viaggi. Durante la conversazione saltò fuori che io ero di Sansepolcro. Lui subito mi disse che c’era stato e che aveva incontrato il Sor Marco e ch’era stato amico di suo fratello Giovanni e di questo se ne sentiva fiero. Mi disse anche che era stato il suo agente di viaggio personale e mi confermò che lui era un gran signore, di gran classe. Giovanni e Letizia viaggiavano per nave ed i bauli e valigie erano tanti, aveva bisogno sia delle camice per il frac come quelle per lo smoking. Naturalmente non mancarono i pettegolezzi che resero il pranzo ancora più interessante.

Nel 1940 venne la guerra e non fu una sorpresa; si interruppero le comunicazioni fra l’Italia e gli Stati Uniti ed i “Baci” non arrivarono più. Giovanni, tagliato fuori della famiglia e senza nulla da vendere, aveva pur bisogno di sopravvivere e di certo non voleva cambiare il suo stile di vita. Aveva bisogno di far soldi. Di pasta ne sapeva qualcosa così decise di mettersi a produrre spaghetti ed aveva a disposizione un buon nome, di prestigio, e mi fermo qui, non è la mia intenzione di scrivere la sua biografia anche perché non son qualificato, vado avanti per sentito dire.

Per il momento diciamo che lui rimase come una testa di ponte in attesa d’uno contingente che doveva arrivare dall’altra parte dell’oceano. Le future truppe da sbarco erano per il momento alle prese nelle battaglie del Nord Africa e di certo non pensavano all’America.

Nino Manari, bersagliere corrazzato

Nino Manari, bersagliere corrazzato

Nino Maneri sbarcò nel 1954 ed Ezio Zoppi arrivò poco dopo di lui, ambedue erano provetti meccanici della Buitoni di Sansepolcro. Non so quando arrivò l’ingegnere Mario Giannini che poi incontrai quando stava alla Prince Spaghetti,

Forse a Nino, conoscendone il carattere focoso, sarebbe piaciuto traversare il Washington Bridge con la sua autoblinda per raggiungere Hackensack NJ, a solo venti minuti da Manhattan. Anche quel veicolo era stato uno dei tanti mezzi che partendo da Sansepolcro, dopo tante tappe ed avventure, lo avrebbe portato fino in America. Nino ed Ezio furono richiamati e partirono nell’estate del 1940 all’inizio della guerra e mentre Giovanni andava all’opera o ai concerti di Toscanini a New York, loro si ritrovarono a scorrazzare per il deserto della Libia ed dell’Egitto fino a Siwa. Furono fatti prigionieri dagli inglesi dopo El Alamein e dato che questi di prigionieri ne avevano troppi e non sapevano dove mandarli furono “regalati” agli americani. Il viaggio per nave fu lunghissimo ma c’era cibo in abbondanza. Finirono in campi differenti. Ambedue intuirono che la prigionia sarebbe stata lunga e tediosa, ma almeno non c’erano pallottole che sibilavano sopra la testa, ed ambedue decisero di metterla a buon frutto. Studiarono ed impararono l’inglese ed fu proprio questa la ragione, a parte il fatto ch’erano provetti meccanici, per cui furono scelti per andare negli Stati Uniti nel 1954, ma di questo ne riparleremo poi.

Penso che in quegli anni di guerra e del dopo guerra gli affari dello stabilimento Buitoni americana andarono bene e Giovanni ebbe la geniale idea di creare uno “Spaghetti Bar” dalle parti di Times Square a New York. Aveva avuto un intuizione, come quando aveva inventato i “Baci”, come preparare e servire un pasto gustoso in pochi minuti e cosa ci poteva essere meglio d’un bel piatto di spaghetti? Entravi, ordinavi, sceglievi il sugo e via. Aveva inventato il “fast food”. Mio cugino Umberto, ma che poi in realtà si chiamava John, me ne parlò bene.

“E la pasta era buona, al dente, con un ottimo sugo.”

Mi domando se c’era già l’idea di creare una catena di ristoranti simili. Non so come andò a finire o perché chiuse. Quando arrivai a New York per la prima volta nel 1970 lo “Spaghetti Bar” era già solo un ricordo.

Per quanto ne sappia io in quei primi anni del dopo guerra i rapporti fra lo stabilimento americano e quelli italiani e quello parigini erano limitati. Giovanni era il presidente d’una repubblica separata e tornò in Italia solo nel 1952 e questo mi pare sorprendente, era stato via almeno 13 anni, ma perché? Fu quello il ritorno del fratello prodigo? Infatti gli altri quattro fratelli lo aspettavano a braccia aperte, almeno per i fotografi che li immortalarono. La ragione ufficiale fu la celebrazione dei 125 anni della fondazione della Buitoni. Ci furono feste varie, foto ricordo con centinaia d’operai ed impiegati sorridenti ed anche il mi’ babbo ebbe la sua medaglia d’oro con tanto di diploma che fu subito incorniciato e fieramente esposto nel soggiorno. Tante case a Sansepolcro furono ornate da quelle pergamene.

Il babbo cominciò a portare a casa materiale promozionale e riviste americane, di cui non capivo niente ma di certo avranno decantato la bontà dei prodotti Buitoni e Perugina. Quella fu la volta che vidi qualcosa scritto in inglese, mi pareva che una parola si ed una no fosse “the”. Che strana lingua l’inglese. Ne ricordo una con Donna Letizia in copertina, una foto scattata dall’alto e lei con una gonna ampissima che pareva una ruota di stoffa con un milione di piegoline.

“Ma come era elegante!” Avrà detto mia madre, di certo paragonandola a Scarlett O’Hara di “Via col Vento”. Quella rivista rimase in giro per la casa per anni, forse nessuno osava gettarla via.

Di certo quella fu l’occasione per i cinque fratelli Buitoni perugini di programmare il futuro e l’espansione dell’azienda, ognuno ne avrebbe avuto una fetta. Fu anche allora che in questo spirito di espansione fu coniata la famosa frase:

“da qui… in tutto il mondo” Sansepolcro, Perugia, Roma, Parigi e New York! Mica potevano dire Hackensack? Se riuscivi a pronunciarlo sembrava una parolaccia.

Lo stabilimento americano era in una fase di grande espansione, di rinnovamento, c’era bisogno di nuovi macchinari, linee di produzione, c’era bisogno di ingegneri, di meccanici qualificati che potessero impiantarli e poi operarli e fu così che venne il turno di Nino Maneri ed Ezio Zoppi assieme a Mario Giannini ingegnere, figlio di Sostegno, personaggio storico della vecchia Buitoni. Non solo erano qualificati a svolgere le loro mansioni ma parlavano inglese, ecco per loro era stato un colpo di fortuna quando prigionieri dagli inglesi invece d’essere spediti in India od in Kenya come altri si trovarono in una nave che da Alessandria li portò in America.

Ambedue, come ho già raccontato, al ritorno dalla prigionia si sposarono, non c’era tempo da perdere, come aveva detto Ezio a Mariettina

“Sposiamoci subito, ci hanno già rubato cinque anni.”

Nino sposò la Nara e quando nacque una bambina non ebbe dubbi, doveva avere un nome americano, così a Sansepolcro ci fu la prima Jane (pronuncia “iane” alla Borghese). Io non avevo mai visto un nome così, che nome strano pensavo e si scrive anche con la “i lunga” una lettera che non è neanche nell’alfabeto. Ripensandoci Nino era stato lungimirante e quando “iane” arrivò a scuola a Nutley il nome non era più strano e divenne “gein”.

Nino e Ezio partirono prima e dopo un anno li raggiunsero le mogli con prole. Ed io da lontano sentivo tutte le storie di questi Borghesi ch’erano andati in America, ma perché il babbo non ci andava? Ci volevo andar anch’io, volevo viaggiare, per un breve tempo, ma più tardi verso la fine degli anni cinquanta, si parlò seriamente d’un trasloco a Parigi, ma poi non successe nulla ed io ero triste, anche se l’idea d’andare in una scuola dove tutti parlavano francese mi preoccupava.

La Titina, sorella di Nino, era amica di mia madre e da lei si sentiva tutto quello che i nuovi americani facevano. Mi sembrò un evento eccezionale quando ci raccontò d’una telefonata intercontinentale che avevano fatto per Natale. Ma chissà quanto sarà costata!

da sinistra: Nara Donnini Maneri, Jane Maneri , sig.ra Benassi e Letizia Buitoni

da sinistra: Nara Donnini Maneri, Jane Maneri , sig.ra Benassi e Letizia Buitoni

Donna Letizia doveva avere la responsabilità di aiutare le famiglie ad adattarsi al nuovo ambiente. Una gita in cima al Rockefeller Center doveva esser d’obbligo, naturalmente hanno tutte le signore hanno i guanti bianchi.

Nino, Ezio e Mario si erano impiantati in pianta stabile ma poi c’erano altri che andavano e venivano a seconda delle necessità. So anche che l’ingegner Longinotti passò dei lunghi periodi ad Hackensuck.

Giovanni Buitoni doveva gran parte del suo successo alla sua personalità aperta e brillante, da farsi notare. Aveva un nome importante, prestigioso, che apriva le porte e lui stesso era uno strumento per far conoscere i suoi prodotti, Buitoni era sinonimo di spaghetti. Lui si doveva far vedere, riconoscere, far ricordare quel nome alla gente che entrando in un supermercato avrebbero scelto quel pacco di spaghetti solo perché ne riconoscevano il nome.

fine anni '50 cena a New York

fine anni ’50 cena a New York

Nella foto da sinistra: Nara Donnini Maneri, ing. Longinotti, Elia Mari (segretaria) Nino Maneri, sig.ra Benassi, (cameriere?), Giovanni Buitoni, un’altra segretaria (Cassetta?) e Raffaello Benassi. Questi era di Sassuolo ed era un “montatore” ovvero uno di quelli che montava quei lunghi forni di essiccazione della pasta. Ho conosciuto personalmente il sig. Benassi che aveva lavorato anche a Sansepolcro. Era lui che comprava per mio padre casse di barolo, ancora senza etichetta e tappo legato collo spago.

Quando Giovanni Buitoni decise d’affittare il Carnegie Hall a New York per un concerto di beneficenza dove lui sarebbe stato il protagonista della serata, cantando dei brani d’opera, furono in tanti a criticarlo, una stravaganza strepitosa che sarebbe costata tanti soldi, buttati al vento. Questi si sbagliarono, il successo venne dal fatto che tutti ne parlarono, giornali, radio e televisione, e le vendite ed il guadagno compensarono la spesa di gran lunga. Ricordo che il mi’ babbo portò a casa il programma di quella serata, delle copie erano arrivate fino a Sansepolcro.

Quelli furono gli anni di espansione, del gran successo della Buitoni e Perugina in Europa, come in America. I prodotti venivano spediti in tutto il mondo. Nel film “Un Italiano in America” Alberto Sordi in poche ore da lavorante in una stazione di servizio alla periferia di Roma si ritrova nel palcoscenico d’uno studio televisivo a New York dove incontra il padre che non aveva mai conosciuto, Vittorio de Sica. La scena dai toni melodrammatici viene improvvisamente interrotta dalla pubblicità e cosa poteva esser meglio pubblicizzato d’un pacco di spaghetti Buitoni? Ve lo ricordate?

sguardo convincente

sguardo convincente

Credo che fu un bel colpo e di certo costò caro. 

Anche questa volta credo d’aver chiacchierato anche troppo, finisco la storia con Giovanni a cavallo e con lui Nino e Jane, ecco io ch’ero rimasto a Sansepolcro a cavallo non ci andavo.

Giovanni Buitoni nella sua tenuta a Paramus, NJ fine anni '50

Giovanni Buitoni nella sua tenuta a Paramus, NJ fine anni ’50

Nino ed Jane fanno compagnia a Giovanni, fine anni '50

Nino ed Jane fanno compagnia a Giovanni, fine anni ’50

Post Scriptum (senza fotografie)

“Fausto, ma tu la Hilary la pipavi?”

Diciamolo che questa domanda diretta, inaspettata e inequivocabile nel suo contenuto almeno per uno del Borgo (Sansepolcro), mi colse di sorpresa ed anche tanta. E pensare che quello doveva essere un incontro d’affari. Inoltre l’uso dell’imperfetto suggeriva il ripetersi dell’azione.

Andiamo per ordine, in questa storia Luisa Spagnoli non c’entra niente e Giovanni Buitoni solo indirettamente, diciamo per parentela.

In quegli anni in cui ero ancora con Alitalia in New Jersey lavoravo molto (spedizioni cargo) con una compagnia italiana dal gran nome, prestigiosa. Un giorno uno dei dirigenti mi telefonò annunciandomi che sarebbe arrivato un nuovo presidente “e viene dal tuo paese, è di Sansepolcro! Penso che lo conosci.” Non mi disse altro.

Organizzammo un incontro e per l’occasione il mio capo, il capo del mio capo, quello con le grandi finestre dell’ufficio che davano su Fifth Avenue, traversarono il Washington Bridge per venire in New Jersey, questo era un cliente importante. Ambedue erano miei amici e ci davamo del tu nonostante i loro titoli altisonanti.

L’ufficio moderno, spazioso dalle gran vetrate del presidente non era lontano dal Washington Bridge. Fummo scortati nel suo ufficio che aveva una scrivania grande come il ponte d’una portaerei, e lui, un aitante bel giovane elegantemente vestito (Zegna o Brioni?) ci aspettava sorridente, si alzò e venendomi incontro con la mano tesa, senza alcun preambolo, ignorando tutti gli altri, mi chiese:

“Fausto, ma tu la Hilary* la pipavi?”

Ed io fui sorpreso, e gli altri rimasero interdetti, anche perché non capivano che cosa volesse dire “pipare” a parte “fumar la pipa”.

Ed io, dopo alcuni momenti d’esitazione, più o meno risposi:

“Questa sì che è una domanda a sorpresa, da non credere, se per quasi trent’anni hai potuto vivere senza sapere quello che si faceva io ed Hilary penso che tu possa sopravvivere immaginando quello che vuoi.”

Sorrise e cominciammo la riunione.

Quando sortimmo i miei colleghi erano curiosi di quella enigmatica conversazione. La traduzione in italiano del verbo “pipare” aumentò il loro interesse ed anche loro volevano sapere cosa era successo con Hilary.

Delucidazione finale. Hilary arrivò a Sansepolcro da Londra alla fine del 1964 come governante e per insegante l’inglesi ai quattro rampolli, ed il presidente era uno di questi. Hilary non conosceva nessuno e si annoiava tantissimo nella grande casa. Mi fu presentata e cominciammo ad uscire assieme ma non molto, solo quando tornavo da Firenze. In fondo quella domanda era logica, i ragazzi la vedevano uscire quando l’andavo a prendere con la macchina e di certo rimuginavano:

“Ma cosa fanno quei due?”

Il mistero persiste, tanto non ve lo dico.

 *Hilary non è il vero nome.

Marblehead, 10 febbraio 2016

Fausto Braganti

ftbraganti@verizon.net 

Il mio blog di memorie M’Arcordo… www.biturgus.com/

Ho recentemente pubblicato il libro “M’Arcordo…” che può essere acquistato nelle librerie di copertinaSansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 

 Presentazione del libro M”Arcordo…

 

145 Non M’Arcordo… de l’Alitalia a Newark before the 1967 Revolution.

novembre 30, 2015

 

carta Alitalia pre67

carta Alitalia pre67

Ai primi di luglio del 1990 sono arrivato a Rochelle Park, come manager Alitalia responsabile per il New Jersey, a poco più di mezz’ora da Manhattan e non lontano dallo stabilimento Buitoni. L’ufficio, biglietteria e rappresentanza, erano al piano terra d’un bel palazzo moderno.

Non parlerò di questo ma piuttosto d’un altro ufficio, che non ho mai visto, e di questo foglio di carta da lettere, ritrovato nel magazzino, che era sopravvissuto a due traslochi e alla Revolution ’67.

Analizziamo il foglio. In alto il vecchio logo Alitalia con la “Freccia Alata” disegnato nel dopoguerra per la nuova compagnia aerea rinata dalle ceneri dell’Ala Littoria. 145 Non M’Arcordo… de l’Alitalia a Newark before the 1967 Revolution. bInfatti vedo nel simbolo di questa, le ali d’uccello ed il fascio, il precursore dell’arco della freccia che scocca. Questo logo fu sostituito da quello attuale, anche se questo ha subito delle piccole modifiche grafiche, nel 1970. Quando sono entrato in compagnia nel 1971 ancora c’erano aerei con questa livrea.

Il piccolo aereo che compare in basso a destra è un DC8 43, quattro motori Rolls Royce, rimasto in servizio      fino al 1974, quando fu messo fuori uso, per l’inefficienza di quei motori

Questo che racconto è una ricostruzione nata dalla memoria collettiva che mi fu tramandata da colleghi più anziani di me.

Oggi quando uno parte va all’aeroporto si presenta al banco, passaporto e bagaglio, niente biglietto, basta quello elettronico e via, ma abbiamo aggiunto file kilometriche per passare i servizi i sicurezze. Una volta c’era un servizio addizionale, oggi dimenticato, ma solo nelle grandi città. La prima volta che ho preso un aereo, 1964 Roma-Alghero, ho fatto il mio controllo a Stazione Termini, infatti c’era un banco accettazione Alitalia. Dopo aver consegnato il bagaglio ed espletato altre formalità si saliva, con la carta d’imbarco in mano, sull’autobus che ci aspettava lungo il marciapiede. Giunti a Fiumicino si procedeva direttamente verso l’uscita designata, senza preoccuparsi del bagaglio e nessun controllo di sicurezza. Ho avuto simili esperienze a Londra e a New York. Roba d’altri tempi.

Ci fu un tempo lontano, almeno 23 anni prima che arrivassi io, in cui Alitalia offriva questo servizio, proprio in quell’ufficio, indicato nel foglio di carta, al 14 Park Place, a Newark. Anche li c’era poi un autobus che avrebbe portato i passeggeri fino a JFK Airport. La comunità italiana del New Jersey era ed è ancora molto numerosa e TWA e Pan Am non offrivano questo servizio da Newark, ma solo da New York.

Poi arrivò il luglio del 1967, forse faceva molto caldo, e la città di Newark esplose in una rivolta che durò 5 giorni. Intervenne la guardia nazionale e ci furono 24 morti ed innumerevoli feriti. La città fu messa a ferro e fuoco ed i saccheggi ed gli incendi furono tanti e disastrosi. Il centro commerciale della città fu raso al suolo ed ancora oggi, dopo quasi cinquant’anni, se ne vedono le cicatrici. I giornalisti, considerando la portata dell’evento, cominciarono a chiamarlo Revolution.

Nella primavera del ’68, dopo l’assassinio di Martin Luther King, ci fu una nuova esplosione di rivolte urbane, in vari centri e di gran lunga più gravi, a Newark non c’era rimasto più molto da saccheggiare o da distruggere.

E l’Alitalia? Si trasferì in un’anonima cittadina a circa 10 kilometri ad ovest di Newark ed il servizio accettazione e trasferimento in aeroporto non fu più implementato. Gli italiani del New Jersey, ed erano e son tanti, dovettero montare in macchina ed andare a JFK, di certo la fila al banco fu più lunga.

Ma come fece questa risma di carta intestata pre1967 col vecchio logo e con l’indirizzo 14 Park Place a sopravvivere al saccheggio ed ai traslochi? Mistero. So solo che un giorno la trovai in un armadio in magazzino e fui sorpreso.

14 Park Place oggi

14 Park Place, Newark, oggi

Controllando con Google Earth ho scoperto che al 14 Park Place oggi c’è l’ingresso d’un parcheggio coperto.

 

Marblehead, 30 novembre 2015

 

Ho recentemente pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015. copertina

 presentazione del libro M’Arcordo… (in tutte le librerie di Sansepolcro, eccetto una)

Il mio blog fotografico https://1dailyphoto.wordpress.com/

E questo è il sito dedicato al http://il-dottore-fotografo-alla-grande-guerra.com/

144 M’Arcordo… de quando se facivano i ciccioli

novembre 24, 2015

Dopo tutti questi ultimi giorni pieni di tensione penso che sia meglio cambiare argomento, parliamo di cose serie, direi che è l’ora di parlare di ciccioli che, come diceva il mio amico Paolo Massi, “son tanto boni.”

1942 la soddisfazione d'avere un maiale

1942 la soddisfazione d’avere un maiale

Cominciamo dall’inizio, lo so che sembra ovvio ma non mi dispiace ripeterlo, per fare i ciccioli ci vuole il maiale. E nel 1942, quando c’era chi moriva nel deserto della Libia e chi nella steppa russa, avere un maiale dalle parti di Porta Romana a Sansepolcro era un tesoro e la gioia della famiglia, la soddisfazione del nonno che già sapeva come sarebbe andata finire, sono evidenti. Loro commemorarono l’evento con una fotografia. Poi la vera festa di certo avvenne la sera stessa della macellazione, la spaccatura, con la tradizionale cena del maiale.

Non parliamo del coratoio, una specie di  cavatappi, usato per ammazzare l’animale, non andiamo nei dettagli, orribile!

Una frase che ho spesso sentito ripetere, era quella che del maiale si buttano via solo le unghie, il resto è tutto buono, solo che certe parti non durano. Non si deve perder tempo, il problema del dover buttar via qualche cosa non sussiste, si mangia tutto, anche il sangue. Bono il migliaccio! 

Noi il maiale in casa non ce l’avevamo. Diciamo che non era un animale domestico facile da gestire; anche se uno avesse avuto l’orto o un fondo poi c’erano i vicini che si sarebbero di certo lamentato, forse anche per invidia. Il rellino non emanava un buon odore e poi ci sarebbe voluto un po’ di spazio per la stroscia, il maiale ha bisogno di spazio per rotolarsi ed infangarsi. Poi c’era il trogolo per mangiare dove finivano tutti i possibili avanzi, lui è come una macina che ingoia tutto ed anche questo spesso maleodorante, per poi non parlare delle norme igieniche.

Fu allora nel dopoguerra che il sindaco (forse Mario Baragli? Domandateglielo) passò delle norme che proibivano di allevare i maiali entro le mura cittadine.

Per risolvere il problema mio nonno ne comprava uno, per l’esattezza mezzo, già macellato e squartato. Qualcuno ci portava questo mezzo animale a casa ed il tavolo del salotto era pronto a diventare quello d’un anfiteatro anatomico. Infatti arrivava Carlino, mi pare si chiamasse così, che aveva un arsenale di coltelli affilatissimi grandi e piccoli e cominciava la lezione d’anatomia suina, meglio conosciuta come la spaccatura. E tutti al lavoro intorno a lui, si facevano salsicce, sambudelli, un prosciutto, una spalla ecc. A me interessava un prodotto in particolare, ero impaziente, uno di quelli che avremmo mangiato subito, i ciccioli. Certo non avevamo la piccola pressa (che modernità) di mio cugino Tonino Antonelli della Pieve Vecchia che vedete nelle foto. I pezzetti di carne grassa venivano messi in un pentolone, bolliti fin che si otteneva lo strutto che poi finiva nella bicica. Ecco ancora una prova dell’efficienza del maiale: si usava anche la vescica per non parlare della rete dell’intestino per avvolgere i fegatelli. Vi ricordate le palle bianche appese a qualche trave in cucina? Alla fine nel pentolone rimanevano dei pezzettini che raccolti venivano messi in una vecchia federa e strizzati, gli ultimi rimasugli di lardo sarebbero sgocciolati via e così si arrivava al prodotto finale ed io ero felice, mangiare i ciccioli caldi è una delizia.

Lo strutto credo che in Italia sia passato proprio di moda, peccato. Le patatine che si mangiano in Belgio o in Francia sono favolose, a parte l’ottima qualità del prodotto, ancora vengono fritte nello strutto. Ed anche le ciaccie fritte che una volta ho trovato in una riserva indiana sperduta nel sud dell’Arizona erano ottime, semplice, anche queste erano state fritte nello strutto.

Nel febbraio del 2002 portai Pascale al Borgo per la prima volta e lei che era stata in Italia tante volte scopri un’altra Italia, o meglio scoprì il Borgo con tante tradizioni, è stata un’ottima studentessa.

I miei cugini Tonino e Graziella con l’aiuto di Franco e Rosina non solo ci ospitarono ma ci fecero tutte quelle cosine che sapevano che mi mancavano e fu così che non mi fecero trovare i ciccioli già fatti ma piuttosto li fecero davanti a noi, con l’aiuto di Menchino naturalmente. E li mangiammo caldi.

Paolo Massi arrivò poco dopo.

Menchino comincia il suo duro lavoro

Menchino comincia il suo duro lavoro

 

lo strutto comincia a colare attraverso il torchietto

lo strutto comincia a colare attraverso il torchietto

 

Tutti voglione vedere, Pascale con i pantalon rouge circondata dalla nuova famiglia. il cibo unisce

Tutti vogliono vedere, Pascale con i pantalon rouge circondata dalla nuova famiglia. il cibo unisce

 

comincia la premitura

comincia la premitura

 

Menchino che pressa i ciccioli

Menchino che pressa i ciccioli

 

ed ora bisogna toglierli dal torchio

ed ora bisogna toglierli dal torchio

 

finalmente son sortiti

finalmente son sortiti

 

Menchino e la Rosina li separano

Menchino e la Rosina li separano

 

i ciccioli, finalmente, pronti per esser mangiati!

i ciccioli, finalmente, pronti per esser mangiati!

 

Durante un altra mia visita a Sansepolcro (circa 1989-90) fui invitato ad una cena organizzata dallo Slow-Food di Sansepolcro assieme a quello di Città di Castello. Credo che fosse verso novembre ed il tema era: La Cena del Maiale. L’evento avvenne dalle parti di Trestina. Come si poteva immaginare ci fu una grande affluenza di gente dei due stati, armonia ed fratellanza completa. Gli organizzatori, consapevoli che certe tradizioni radicate avevano delle varianti, per evitare ogni possibile incidente diplomatico che sarebbe potuto facilmente degenerare in conflitto aperto, fecero preparare due tipi di migliaccio, uno con lo zucchero ed uno col sale, così ognuno mangiò il suo e tutti furono contenti.

Mi ritrovai con due casteleni (potevano essere anche di Trestina) seduti davanti a me ad uno dei lunghi tavoli. Alla fine arrivarono con delle catinelle colme di ciccioli che misero al centro della tavola, e noi tutti giù a intingere la mani.

Che mangieta!

Fu allora che fui testimone d’una conversazione interessante

“Bóni, ‘sti céccioli!’ Disse quello anziano e quello più giovane

“Enno bóni, ma en pieni de colesterólo.

“Ma che sarà pu’ ‘stu colesterólo? ‘Na ‘olta ‘n c’éra miga, ma chi l’avrà inventèto?”

“Io ‘nn’el sò chi la inventèto, ma sò che énno come ‘l veléno, ‘gni cécciolo che magni è ‘n’ ora de méno de vita!”

“Odìo, me sa tanto alóra che me so già magnéto ‘na mesèta!” (1)

E mica smise di mangiare.

 

E proprio per finire propongo e non è la prima volta, di non usare armi chimiche o batteriologiche contro quelli dell’ISIS, usiamo armi suiniche. Ci sono dei precedenti storici, le pallottole immerse nel sangue di maiale, usate dal generale americano Pershing, ebbero un gran successo deterrente durante una rivolta di mussulmani filippini nel 1899.

Un bombardamento di ciccioli potrebbe avere degli ottimi successi, e i prigionieri coperti di strutto? Le 72 vergini non vogliono niente a che fare con gli immondi.

 

  • Ringrazio Gabrio Spapperi e gli amici dell’Academia della Sembola per la consulenza linguistica castelena.  

 

Marblehead 23 novembre 2015

Ho recentemente pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015. copertina

 Presentazione del libro M’Arcordo…

Il mio blog fotografico https://1dailyphoto.wordpress.com/

E questo è il sito dedicato al http://il-dottore-fotografo-alla-grande-guerra.com/