109b M’Arcordo… il mi’ babbo, quando lavorava alla Buitoni ai tempi della Marcia su Roma.

Stablimento Buitoni Sansepolcro 1930 circa

Ho trovato quest’immagine del vecchio ingresso della Buitoni nel libro “La Piazza” che Arduino Brizzi pubblicò nel 1981. Penso che l’ingresso di quel suo primo giorno di lavoro nel 1921 non fosse molto differente da quello di questa cartolina degli anni trenta e non è molto differente dai miei primi e lontani ricordi della fine degli anni 40 e 50. Il casotto sulla destra era la pesa, la porticina accanto al cancello aperto era il piccolo ingresso. All’inizio ed alla fine dei turni centinaia di operai ed impiegati si accalcavano e dovevano anche marcar la tessesa. Il portiere aveva una piccola scrivania, sul lato destro entrando c’era il centralino telefonico, poi l’infermieria dove poi avrebbe cominciato a lavorare nel 1932 la mi’ mamma diciasettenne e bellina, parecchio bellina. 

Non  so che cosa misero a fare il babbo quel primo giorno di lavoro. Di certo me l’ha raccontato ma non me n’arcordo, forse continuò a ricopiare in bella calligrafia le lettere del Sor Bindo. Quello che fu importante per lui fu il fatto che d’improvviso era entrato in una nuova classe sociale: era diventato non solo un impiegato, ma un impiegato della Buitoni, una classe privilegiata almeno a Sansepolcro.

Nell’immagine precedente della fabbrica si legge fra le varie insegne sulla facciata quella di “Mulino Cilindri”. La nonna Santina, che era la mamma de la mi’ mamma, quando parlava dello stablimento ancora usava solo un termine per identificarlo: il Mulino. Ma era proprio un mulino dove portavano il frumento per esser macinato? Non lo so. Poi la scritta é cambiata ed é diventata GIO. & F.LLI BUITONI. Di certo era una di quelle scritte con grandi letterone di maiolica blu prodotte dalla ditta di terraglie e ceremiche varie di Primo Tricca della Fonte Secca. Crede che questa fosse una loro specialità e ce n’é almeno una che m’arcordo sopravvisuta per la Via Maestra a Sansepolcro, Pizzicheria sopra la bottega di Moschina. Alla Buitoni ce n’era una altra, e di questa me n’arcordo, con scritto “Uffici” nella facciata interna dell’edificio sulla sinistra, verso il cortile che non si vede passato il cancello. Oltre agli uffici c’era anche un appartamento dei Buitoni, penso che fosse lo stesso dove andò ad abitare il Sor Marco con la Signora Tina quando venne al Borgo nel 1927, quando non era ancora commendatore. Ma di questo ne parlorò piú avanti.

Ufficio d’un dirigente

Questa è la foto dell’ufficio di uno dei capi dall’ora, direi anni venti. Alla parete sempre presente l’immagine di Giulia Boninsegni Buitoni, la fondatrice dello stablimento nel 1827 ed accanto l’immancabile signore barbuto Giovanni Buitoni che aveva dato la spinta per far divenire questa piccola fabbrichetta artigianale di provincia in una vera e propria industria moderna, pronta a conquistare il mondo con i suoi prodotti. Di certo questo non era l’ufficio del babbo.

Come ho detto non so cosa fece in quei primi tempi, forse sin dall’inizio lavorò all’ufficio tecnico. Immagino che le discussioni, i fervori politici erano la preoccupazione principale di quei giorni. Credo che vari Buitoni fossero di tendenze fasciste, come industriali di certo non avevano dubbi da che parte buttarsi, la paura della rivoluzione bolscevica con la promessa di collettivazione era contagiosa e grande. So d’uno dei Buitoni che fu molto attivo come squadrista e nel giugno del 1943 fu uno di quelli che partì dal Borgo e non artornò mai piú. Pochi anni fa Tanya (mia figlia) incontrò un Buitoni a New York e quando dopo poche settimane ebbi l’occasione di vederlo la prima cosa che mi disse:

“Io sono il nipote di F… lo sai che mio nonno era fascista?” ed io lo sapevo ” Era un fascista cattivo, lui era cattivo con tutti anche con noi, i nipoti.”

Nel dopo guerra in uno dei magazzini che il nonno Barbino fattore amministrava ed utilizzava come deposito di sementi vari, di patete ed altri prodotti e strumenti agricoli, ritrovai nascosto sopra un vecchio armadio un nerbo, ovvero un lungo scudiscio fatto con i tendini intrecciati d’un bue, tipico strumento delle rappresaglie squadriste. Ma di chi era stato? Ce l’ho ancora. Il nonno si arrabbiò, “Ma chi ce l’aveva messo? Potevano accusarmi per questo!” Penso che lui sapesse ma non aggiunse altro.

nerbo, tipico scudiscio usato dagli squadristi

Nel 1921 in occasione del seicentesimo anniversario di Dante al Borgo furono organizzate una serie di conferenze e di letture. Il babbo mi raccontava che un sera era andato ad ascoltare il Dragoni (Carlo?) detto il “dragoncino” che aveva letto e commentato un canto dantesco. Dopo la conferenza per caso il babbo, che ritornava verso casa sua alla Fonte Secca, si ritrovò a camminare dietro al Dragoni ed a Luigi Bosi  per la Via Maestra. I due amici erano socialisti e ben conosciuti come antifascisti. Forse il Dragoni accompagnava a casa l’amico ch’era un vicino di casa dei miei.

Luigi Bosi era stato eletto da poco come senatore socialista. Per inciso v’arconto, come m’è stato arcontato, che a quei tempi i senatori avevano solo una miserabile indennità per le loro spese e che lui non sempre si poteve permattere una camera in pensione quando andava a Roma. Ma un privilegio ce l’aveva: come senatore poteva viaggiare gratis in prima classe nelle Ferrovie dello Stato. Cosi a sera montava in treno a Roma e se ne andava fino a Firenze, dormendo in una di quelle comode poltrone, per poi prendeva un altro treno in senso opposto e se ne artornava a Roma per un altra giornata di lavoro a Palazzo Madama.

Quando i due amici arrivarono all’arco di Porta Fiorentina, il babbo era all’altezza del caffe di Grigino, alcuni fascisti, che s’erano messi in agguato fuori le mura balzarono su i due malcapitati. Non erano squadristi del Borgo, forse anche questa volta come nell’incursione in duomo di cui ho parlato probabilmente erano di Castello o d’Arezzo. Credo che seguissero delle direttive ben precise e che per non farsi riconoscere partecipavano solo in missioni diciamo fuori sede. Ovvero quelli del Borgo magari andavano a Perugia o a Castello. Gli squadristi cominciarono a colpire con bastoni e nerbi il Dragoni che cadde per terra e lo presero a calci berciando:

 “Sporco bolcevico!”

Nel caso del Bosi si limitarono a qualche cazzotto e spintone, offenderlo verbalmente ordinandogli d’andare a casa con la promessa di future punizioni. Cominciarono ad urlare anche a mio padre ordinandogli d’allontanarsi. A quel punto il babbo vide comparire un fascista borghese che conosceva da fuori della porta, secondo lui era stato quello lo spione che aveva identificato i due socialisti ai i fascisti forestieri. Forse inveirono sul Dragoni per far paura al Bosi, forse ancora non osavano troppo contro un senatore del regno. Ci sono tanti forse.

Il babbo fu turbato da questo incidente, conosceva troppo bene i Bosi vicini di casa, la moglie era una delle migliori amiche di sua madre (la mi’ nonna), ma non fu turbato abbastanza per ricredersi e rimase fascista, anche lui razionalizzò che questo era l’unico sistema per contenere la minaccia bolscevica e salvare la patria.

E il nonno cosa disse? Non lo so! Il nonno ebbe i suoi guai, ma diciamo piccoli in confronto. Chi s’arcorda Amarcord di Fellini? C’è una scena di cui forse non tutti hanno compreso il significato, ed immaginate gli stranieri che l’hanno visto coi sottotitoli! Nel film viene narrato l’episodio della visita di Mussolini a Rimini; quando il babbo del Titta (che poi sarebbe lo stesso Fellini adolescente) cerca d’uscire di casa e trova il cancello della villetta serrato a chiave. Le sue proteste non convincono la moglie a dargli la chiave e lei insiste che lui quel giorno se ne deve stare a casa e che lei non lo lascerà sortire e tantomeno con quel fiocco nero annodato al collo.

“Ma dove credi d’andare? A cercar guai?”

Lui, come il nonno Barbino per tutta la sua vita, invece d’una normale cravatta portava un gran fiocco nero alla Lavaliere (non son sicuro come si scriva, ma poi chi era questo signore?) che ricadeva sul petto. Era tipico di molti di sinistra di varie sfumature, dai repubblicani mazziniani agli anarchici. Una cosa era chiara: i fascisti non erano per niente contenti quando incontarvano qualcuno che sfoggiava tale capo di vestiario, era considerato un atto provocatorio, di disobbedienza civile. Strano, loro che avevano inventato la camicia nera, gagliardetti dello stesso colore andavano su tutte le furie per una lunga cravatta a fiocco di quel colore!

Non so quando successe ma una volta il nonno era in piazza di Berta ed alcuni

il Barbino (Luigi Braganti) con la cravatta a fiocco nera alla Lavaliere

giovani fascisti si avvicinaro prendendolo in giro perché portava quella cravatta, poi si fecero piú aggressivi ed uno gli fece volar via il cappello con un colpo, poi lo presero per il fiocco e cominciarono a tirarlo per la piazza sghignazzando, prima che lo lasciassero andare coprendolo d’insulti.

Cosa successe poi? Di nuovo la storia è confusa e di certo inesatta, il babbo diceva che aveva violentemente protestato con i suoi amici fascisti e che i giovinastri furono severamente ammoniniti e di non ripetere tali azioni nei confronti del padre d’uno di loro.

L’unica cosa certa che il nonno continuò a sfoggiare il sua fiocco fuori moda. Nessuno disse piú nulla e non passò alla storia per la sua attività politica contro il regime fascista. L’ultimo a portarlo a Sansepolcro dopo la sua morte nel 1960 fu il Sor Licinio Mangoni, che credo mori verso il 1968-69. Ancora ne ho uno e qualche occasione che reputo iportante me lo metto con fierezza. Fui io quello che fece il nodo al fiocco al momento di vestire il nonno alla sua morte .

 Nell’ottobre del 1922 uno dei  migliori amici del babbo partì per andare al congresso del Partito Fascista a Napoli, quella fu una grande adunata, la prova generale di quello che si stava preparando: la Marcia su Roma. Il 28 ottobre fu il giorno dell’appello generale: tutti a Roma. Qui la storia, almeno quella che so io, diventa ancora confusa o almeno non chiara. Perchè il babbo non partì? Quasi tutti i suoi amici ed inclusi alcuni colleghi d’ufficio corsero alla stazione per andare a Perugia, li c’erano Balbo e Finzi, e da li sarebbero partiti per Roma, ma il babbo armase a casa.

Non avrebbe mai avuto il brevetto di Sciarpa Littorio o potuto sfoggiarne il distintivo, simbolo dell’alta aristocrazia del partito.

Solo una volta lo zio Angelo, il fratello maggiore, fece una battuta di cui il babbo non fu contento, disse che la loro mamma (mia nonna Vittoria) era corsa alla stazione e l’aveva fatto scendere dal treno in partenza e lo fece tornare a casa come un ragazzo discolo. Il babbo protestò dicendo che non era vero, ma mi parve non molto convincente.

Dopo il 28 ottobre 1922 Mussolini andò al potere e relativamente parlando la situazione si calmò.

Il babbo intanta si preparava per la chiamata di leva e questa arrivò puntuoale all’inizio del 1924 e assieme a tutto un gruppo di coetannei di Sansepolcro fu spedito in Libia, ma questa storia l’ho piú o meno già arcontata.

https://biturgus.com/2009/03/20/49-m’arcordo-chi-s’arcordava-’l-mi’-babbo-de-la-libia/

  

NOTA: Prima di cominciare a scrivere questo lungo M’Arcordo… ho pensato a come organizzare i miei ricordi, ho cercato e trovato immagini, cartoline e materiale fotografico che hanno stimolato la mia memoria. Molto, come per esepio la foto del vecchio ufficio,  è saltato fuori in Facebook ed in particolare nel sito del gruppo “Per chi ama Sansepolcro” che Silvano Lagrimini ha creato ed ha rifornito con tantissimo materiale. Un gran grazie a Silvano che mi ha permesso anche di ritrovare vecchi amici e me ne ha fatti fare di nuovi e spesso sono stati i loro M’Arcordo che hanno rinfrescati i miei.

 

10 giugno 2012, Marblehead, MA USA

                                                                          

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