060a M’Arcordo… l’alluvione di Firenze (prima parte)

Il 4 novembre 1966 era un venerdi, ed io a Firenze ’n c’ero; ma forse é meglio cominciare dal giorno prima, il 3.

A quei tempi, studente di Scienze Politiche, abitavo a Firenze da un’affittacamere, la signora Clotilde,  in via della Pergola vicino al teatro. La mia camera era al quarto piano e dalla finestra si vedevano i finestroni del loggione del teatro, ed in lontananza, oltre i tetti rossi, il cupolone del duomo. C’erano altri studenti e fra questi Paolo Massi e Leonardo Carloni del Borgo. Il bello di quella camera era che aveva un caminetto dove per star caldo bruciavo un po’ di tutto. La signora era gentile e non si lamentava con noi se avevamo visite anche se che stavano tutta la notte, anzi diventava curiosa e voleva sapere i dettagli.

Ritorniamo al pomeriggio del 3: pioveva e come pioveva, scrosciava come una cascata. Avevo da tempo pensato di tornare al Borgo in considerazione della festa del 4 novembre potevo fare un ponte, o meglio un ponticello. Roberta, la mia ragazza, sarebbe venuta con me, ma poi all’ultimo momento venne fuori che quella sera doveva lavorare fino a tardi e decise che mi avrebbe raggiunto la mattina dopo, venendo ad Arezzo in treno ed io sarei andato a prenderla.

Così partii da solo con la mia 850 rossa sotto la gran pioggia; mi parve ancora piú forte nel Valdarno e mi seguì fino al Borgo. Dopo cena andai al cinema e solo quando uscii, penso fossero le undici, aveva smesso di piovere.

Al mattino, come concordato, partii per andare ad Arezzo per prendere Roberta, che sarebbe dovuta arrivare poco dopo le nove. Non pioveva, ma il cielo grigio e scuro prometteva ancora pioggia. Era giorno festivo ed il parcheggio davanti alla stazione era vuoto, ma subito mi parve strano, sembrava deserto, ed ebbi la stessa impressione entrando. C’erano solo due o tre persone. Il tabellone con gli orari degli arrivi e partenza sopra le scale che portano ai binari aveva solo i nomi delle cittá e nessun altra informazione. Mi sembrò strano, molto strano. Mi avvicinai ad un facchino con la sigaretta sull’angolo della bocca e gli chiesi:

“Mi scusi, perché non c’é scitto niente” indicando il tebellone” il treno delle nove da Firenze é in ritardo?”

“Si!” rispose con voce laconica

“Ma di quanto?”

“Oh questo ‘no so. Un mese, du’ mesi.”

“Un mese?”

“L’Arno ha portato via i ponti nel Valdarno.” E si allontanò.
Questa poi si rivelò essere notizia incorretta, ancora pensavano che i problemi fossero solo nel Valdarno.  La notizia che l’Arno avesse traboccato a Firenze non era ancora arrivata, anzi il grosso stava proprio accadendendo in quel momento, ma noi ancora non si sapeva niente.

Avevo una manciata di gettoni in tasca e corsi ad una cabina per telefonare a Roberta, niente telefonini a quei tempi. La signora Fernanda, la madre, mi rispose e con una voce tutta eccitata, mi disse:

“Non so dov’é Roberta! Mi ha telefonato dalla stazione un’ora fa, dicendomi che cercava di tornare a casa, che l’Arno ha straripato e che l’acqua stava arrivando da via Cerretani e da piazza Santa Maria Novella, poi é caduta la linea. Ma come fa ora a tornare a casa? ….” ed  in quel momento anche la mia comunicazione si interruppe.

Ritornato nell’atrio c’erano delle persone che ascoltavano una piccola radio a transistor, mi sono avvicinato. Non ricordo i dettagli di quelle notizie, parlavano di allagamenti, ma a quell’ora ancora non si sapeva molto di quello che stava succedendo.

Non c’era altro da fare che tornare al Borgo e cosi feci. Non avevo la radio in macchina, quasi nessuno ce l’aveva. Arrivato a casa cercai ancora invano di telefonare a Roberta ed altri vari numeri a Firenze, ma era chiaro che tutte le comunicazioni erano interrotte. Assieme a mia madre mi misi ad ascoltare la radio, non ricordo se al mattino ci fosse qualche telegiornale speciale, ma non credo. Piú tempo passava e piú diveniva chiaro che stava succedendo un vero storico disastro. Ero preoccupato per Roberta, non sapendo se ce l’avesse fatta a tornare a casa. Loro abitavano in via Forlanini verso la Novoli, pensai che dovevano essere abbastanza lontano dal corso dell’Arno ed evitare la valanga d’acqua. Piú tardi scoprii che avevo ragione, s’erano salvati dall’inondazione perché le sponde del Mugnone avevano arginato la corrente dell’acqua facendola defluire verso le Cascine.

Passammo la giornata ascoltando la radio, e sempre di piú ci rendevamo conto della portata del disastro che non si limitavano a Firenze; l’Arno stava travolgendo tutto fino alla foce. Le ferrovie erano bloccate e cosi l’autostrada ed altre strade che portavano a Firenze, era come fosse in stato d’assedio, l’esercito aveva bloccato tutto, solo i mezzi di soccorso potevano accedere.

Appresi poi che uno del Borgo ce la fece ad andare a Firenze quel giorno, ed io a questo non c’avevo proprio pensato. Piero Olivieri andò alla Pieve poi a Chiusi della Verna per scendere a Bibbiena e Poppi, per salire il Passo della Consuma, scendere a Pontassieve, poi Rufina per poi risalire a Fiesole ed arrivare cosi in Piazza della Libertá nel pomeriggio.

1966-11-04 Fausto e Teresa small
Fausto e Teresa al ponte del Tevere, Sansepolcro

Fu una giornata piena di incertezze e di preoccupazioni e sopra tutto di sentirsi impotenti a fare qualsiasi cosa. Cominciarono ad arrivare le notizie di altre zone colpite dal maltempo, incluso Venezia. Al Borgo, nella valle si cominciò a parlare del livello del Tevere.

Paolo Massi ed io passammo il pomeriggio assieme a Teresa Uccellini e a Piero Acquisti (detto Mechina) in giro. Il livello dell’acqua al ponte del Tevere cominciava a salire rapidamente, portava giú di tutto, alberi, rami, tavole ed animali morti, faceva paura. E come noi s’erano radunati altri curiosi e si parlava solo di Firenze e sembrava che ognuno avesse notizie piú tragiche degli altri. Poi qualcuno disse che a Pistrino il Tevere era straripato ed aveva incominciato ad allagare i campi.  Subito decidemmo d’andare a vedere, passando per San Giustino. Lasciammo la macchina lungo la strada, prima del ponte, all’asciutto. Volevamo esplorare, avvicinarci per vadere meglio; abbiamo camminato un po’ lungo un argine ancora non sommerso. Vedevamo campi e campi allagati dall’acqua che continuava a salire.

 “Citti, i versi ’n son belli, artornamo!” 

 
 
1966-11-04 Pistrino small
Allagamento lungo la strada per Pistrino

 

 

Disse qualcuno e così facemmo marcia indietro. Quando siamo arrivati alla macchina scoprimmo che la strada era stata allagata e che il livello dell’acqua era giá arrivato a mezza ruota. Quando Piero ha aperto la portiera l’acqua ha defluito nell’interno. Immaginatevi le parolaccie del Piero! Cercò invano di farla partire. Ancora piu’ parolaccie.  Siamo entrati tutti nell’acqua fredda fino alle ginocchia per spingerla fuori e dopo tanto zazzicare riuscì a metterla in moto. Era l’ora di tornare a casa, molle ed infreddoliti.

A sera abbiamo visto le prime immagini alla televisione, ma non molte, ci sarebbero voluti giorni prima di vedere quello che era successo, ma capimmo  subito il livello della tragedia che stava travolgendo Firenze. Io per tutta la sera ho continuato invano a telefonare . M’arcordo d’essere andato a letto con una gran tristezza. In qualche modo mi sentivo triste di non essere a Firenze, era come se avessi abbandonato e tradito la Roberta, gli amici e la cittá nel momento del bisogno. Fu forse proprio allora che decisi d’andare a Firenze, ma ancora non sapevo come e quando, ma di certo il prima possibile.

Il giorno dopo, sabato, rimasi incollato alla radio e poi alla televisione. Mi sembra che solo nel pomeriggio arrivò la notizia che la furia dell’acqua cominciava a diminuire. Penso che ogni mezz’ora provavo a telefonare a Roberta, ma ancora senza successo. Si, sarei andato a Firenze quanto prima e decisi che avrei, nel mio piccolo, portato aiuti. Alla radio continuavano a dire che mancava tutto, sopratutto acqua potabile. A quei tempi c’era ben poca acqua imbottigliata. Cominciai a far telefonate a medici e farmacisti ed amici e parenti. Avevo anche parlato con Paola Trivella e anche lei mi aveva subito detto che mi avrebbe aiutato a raccogliere quanto possibile e che sarebbe venuta con me e lunedi mattina saremmo partiti presto per Firenze.

Passai la domenica a raccogliera cibo e medicine. Avevo chiesto di preparare verdura fresca e giá lavata. Il dott. Cavalli, il dott. Rossi e il dott. Marrani svuotarono i loro armadi di tutte quelle medicine che avevano ricevuto come campioni. Anche i farmacisti (Galardi e Cantucci) furono generosi. Il problema era che la mia Fiat 850 non era grande abbastanza. Domenica sera la macchiana era pronta, avrei riempito d’acqua delle grandi taniche di plastica all’ultimo momento ed al mattino e poi ci saremmo fermati al forno per prendere del pane ancora caldo.

Verso le otto di sera, mentre mia madre ed io guardavamo il telegiornale, il telefono suonò. Gran sorpresa! Era Roberta da Firenze. Il suo quartiere, che non era stato allagato, fu uno dei primi ad avere i telefoni riallacciati. Mi raccontò quello che le era successo. Era arrivata alla stazione con un taxi poco prima delle otto, senza nessun problema e fu solo quando andò alla biglietteria scopri che tutti i treni  erano stati cancellati e che l’Arno era traboccato e aveva portato via dei pezzi di Lungarno dalle parti della Biblioteca Nazionale e stava defluendo nelle starde del centro.  C’era gente che entrava di corsa dicendo che l’acqua era arrivata al Duomo e che stava venendo veloce giù per Via Cerretani e Via Panzani verso la stazione. Mentre cercava invano di trovare un taxi dal lato di Via Valfonda per caso un amico di suo fratello passò in macchina e la invitò a salire. Stava andando alle Cascine per salvare i suoi cavelli da trotto. Fu lui il primo a dirle della gravitá della situazione. Nel momento che si trovarono a passare sotto il sottopassagio ferroviario vicino alla Fortezza da Basso, i chiusini delle fogne cominciarono ad esplodere con getti d’acqua alti un paio di metri. Furono gli ultimi a passare, dopo pochi minuti il sottopassagio divenne un lago. L’amico capì che non c’era maniera d’andare alle Cascine e prese Viale Redi e la riportò a casa, solo pochi minuti dopo la mia chiamata interrotta d’Arezzo. I cavalli dell’amico morirono annegati nelle stalle, non c’era stato il tempo di liberarli.

Dissi a Roberta che sarei venuto l’indomani. Mi sentivo più tranquillo.

Lunedi mattina Paola ed io partimmo presto, prometteve d’essere una bella giornata, piena di sole. Ci fermammo dal fornaio, l’Acquisti, e riempimmo l’ultimo spazio disponibile di pagnotte di pane ancora caldo. 

Ancora non sapevamo se ci avrebbero permesso d’entrare. Mi sentivo sicuro che tutte le derrate alimentari e medicine sarebbero state un lasciapassare sicuro, ed ebbi ragione.

L’autostrada era agibile e c’erano lunghi convogli militari. Quando arrivammo a Firenze Sud non c’era nessuno a prendere il pedaggio, allo svincolo che immette in Viale Europa trovammo il primo posto di blocco e non fu difficile superarlo.

Fu propio lungo il Viale Europa che ci rendemmo conto della portata dell’alluvione, del disastro.

1966-11 Alluvione entrando a Firenze
Entrando a Firenze, dalle parti di viale Europa, 7 nov. 1966

Fu il nostro primo incontro con le macchine sfasciate ed ammucchiate, i negozi sfondati e svuotati di tutto, con i mobili rotti delle abitazioni, detriti di tutti i generi e con il peggior nemico di tutti: la fanghiglia,  la fanghiglia untuosa ed appiccicosa, mischiata col gasolio di centinaia di serbatoi sventrati,  che avrebbe imbrattato tutto e tutti per mesi,  così difficile da lavar via.

Ce l’avevamo fatta, ora si doveva decidere cosa fare con il nostro carico: prima gli amici e parenti, ma ancora non si sapeva dove si poteva e dove non si poteva andare. Si vedevano strade inagibili, chiuse da barricate di macchine sfasciate ed accatastate l’una sull’altra.

Erano circa le undici, prendemmo la direzioni di Piazza Beccaria, dei Viali….

 

 

1 novembre 2009, Marblehead, MA USA                                                                                     

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